UNA VITA NON ORDINARIA RACCONTATA IN UNA MOSTRA STRAORDINARIA: IL GENIO DI ANTONIO LIGABUE TRA TORMENTI E INCANTI

Geniale, ma tormentato, come tanti. Forse, proprio in questo risiede il tratto unico e distintivo di un artista: nella sua lucida follia, nell’emotività dei sentimenti più forti e contrastanti, che rasentano quasi la pazzia mentale. Antonio Ligabue (il cui vero cognome era Laccabue, ereditato dal compagno della madre naturale) era così, un uomo profondamente segnato da disgrazie, sradicamenti, solitudine, fame e miseria. Nato a Zurigo nel 1899, ma con radici italiane, trascorre la sua vita tra la famiglia adottiva, la precarietà economica, i problemi legali in Svizzera e un rapporto ambiguo con la madre adottiva che lo portano ad estraniarsi da un mondo che percepiva troppo distante da sé, a una totale ribellione aggressiva e alla solitudine estrema, tanto da finire ricoverato per la prima volta in una clinica psichiatrica nel 1917. Solo il disegno era in grado di calmare le sue ripetute crisi nervose, e il suo isolamento dagli altri lo portano ad una vita errabonda che gli offre l’opportunità di venire in contatto con numerose opere di pittori svizzeri e artisti che provenivano dal mondo dei venditori ambulanti e dei girovaghi, e di frequentare i musei di San Gallo. Cacciato dalla Svizzera, la sua terra natale, arriva in Italia, ma il ricordo dei luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza resteranno in lui indelebili, come documentano tanti dipinti nei quali fonde presente e passato: le terre piatte della Bassa reggiana e le montagne, i castelli, le case con le bandiere al vento, le diligenze elvetiche. Un altro ricovero nel 1937 all’Istituto psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia e poi il terzo nel 1940, e ancora nel 1945, il più lungo, in cui dipinge e la stampa e la critica cominciano a interessarsi alla sua opera. Si cimenta anche nella scultura, ma la sua dedizione va ai dipinti di grandi dimensioni, nei quali si riflette apertamente la sua idea della vita come perenne battaglia, lotta senza tregua, all’interno della quale s’aprono talvolta finestre di idillio e di serenità. Particolarmente significativi sono, da questo punto di vista, gli autoritratti, impietoso specchio di un’esclusione patita nelle proprie carni e di un malessere profondo. Trascorre, così, un’intensa attività artistica, spesso oscura se non incompresa e derisa, fino alla consacrazione definitiva a Roma nel 1961 grazie a un’importante esposizione personale alla Galleria “La Barcaccia”. Ma la sua carriera appena sbocciata volge al termine con lo stesso dramma che ha avvolto la sua vita personale e privata. Nel 1965, dopo un’ emiparesi che lo scalfisce nel corpo e nella mente, Ligabue muore. Una tragedia artistica e umana che, oggi, viene celebrata e ricordata in una mostra interamente dedicata a lui: “Antonio Ligabue (1899-1965). Tormenti e incanti”. Una rassegna monografica che intende proporre al pubblico la sua intensa attività declinata nelle diverse tecniche attraverso le quali Ligabue si è espresso. Due sono i filoni fondamentali a cui si è dedicato: gli animali esotici, della foresta e i predatori; gli autoritratti, un capitolo di dolente e amara poesia. Non mancano, tuttavia, altri soggetti: scene di vita agreste, animali domestici e alcuni ritratti su commissione. Con più di ottanta opere, la mostra si articola come un excursus storico e critico sull’attualità dell’opera di Ligabue che, seppur incentrata su pochi temi sempre ripetuti e rinnovati, rappresenta ancora oggi una delle punte più interessanti dell’arte del Novecento. Promossa dalla Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri, e curata da Sandro Parmiggiani, direttore della stessa Fondazione e da Sergio Negri, presidente del comitato scientifico, con l’organizzazione generale di Arthemisia Group e C.O.R. Creare-organizzare-realizzare, l’esposizione è in corso d’opera al Palazzo Reale di Palermo ove sarà visitabile fino al 31 agosto. Dall’ 11 novembre 2016 al 8 gennaio 2017, saranno le sale del Complesso del Vittoriano di Roma ad avere l’onore di ospitare i lavori di Antonio Ligabue, tra cui gli olii Carrozza con cavalli e paesaggio svizzero(1956-1957), Tavolo con vaso di fiori (1956) e Gorilla con donna (1957-1958), le sculture in bronzo comeLeonessa (1952-1962) e Lupo siberiano (1936), la produzione grafica con disegni e incisioni quali Mammuth(1952-1962), Sulki (1952-1962) e Autoritratto con berretto da fantino (1962). E, poi, tutta la sua vicenda tormentata, inquieta, solitaria, errante, finalmente destinata ad essere ricordata nella storia italiana. Come lui stesso, “straniero in terra straniera”, sosteneva: «Io sono un grande artista, la gente non mi comprende, ma un giorno i miei quadri costeranno tanti soldi e allora tutti capiranno chi veramente era Antonio Ligabue».

Piera Feduzimin

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares