Bill Russell.Nella vita di un uomo, ci sono linee che non possono essere oltrepassate

BILL RUSSELL, RED AUERBACHAlcune storie di sport non sono solo dei freddi resoconti di gesta atletiche o un mero di dati numerici. Alcuni racconti sportivi sono delle vere e proprie leggende, che hanno segnato in maniera indelebile la cultura di una nazione e di un popolo. Le vite di alcuni sportivi sono esempi, che hanno realmente cambiato il mondo. È il caso dell’incredibile storia di William Felton Russell, detto Bill, nato Monroe in Louisiana il 12 febbraio del 1934. La Louisiana degli anni ’30 non è un bel luogo dove nascere e crescere se sei un nero: nonno Jake è il primo Russell ad essere nato uomo libero ma, anche se la schiavitù è stata ormai abolita in tutti gli stati dell’Unione, in molti di essi rimane la segregazione. La Louisiana è uno di questi. Ad un ragazzo nero non è consentito di bere alla stessa fontanella di un bianco, non gli è concesso di andare a scuola con i bianchi né, tantomeno, socializzare con loro anzi, avere una relazione con un individuo afroamericano è vietato dalla legge. Il padre di Bill, Charlie, fa il trasportatore e ogni mattina si reca al distributore di benzina più vicino per fare rifornimento; il gestore lo obbliga minacciandolo con un fucile ad aspettare che abbiano fatto benzina tutti i clienti bianchi che arrivano, anche se sono giunti dopo di lui. Un giorno Bill torna a casa furioso cercando il fucile del padre. Vuole risolvere una volta per tutte le questioni con un gruppo di ragazzi bianchi che lo tormentano da tempo ma la madre, Katie, lo invita a non reagire con violenza ma ad affrontare la difficoltà lottando. Così lo porta da quei ragazzi e lo obbliga a battersi con ognuno di loro, sempre a testa alta, con fierezza e questa sarà la prima grande lezione di vita che Bill non dimenticherà mai. Rimanere in Louisiana però non è possibile e così i Russell, come tante altre famiglie afroamericane, si trasferiscono a Nord o ad Ovest e precisamente ad Auckland a due passi da san Francisco. Papà Charlie fa l’elettricista e Bill lo aiuta nel lavoro ma poi accade qualcosa che sconvolge la vita di tutta la famiglia: muore mamma Katie. Sul letto di morte scongiura il marito di far studiare Bill, perché solo con l’istruzione un ragazzo nero può difendersi dalla violenza. Così Bill si iscrive alla scuola serale per neri e lì qualcuno lo nota offrendogli di giocare per la McClaymonds High School (la nostra scuola superiore). All’inizio non è molto bravo nel gioco, è legnoso ed impacciato, ma si scorgono in lui delle qualità che non si sono mai viste su un campo da basket, un’energia e un’atleticità sconosciute prima. Così vince una borsa di studio per l’Università di San Francisco, coronando in questo modo il sogno di mamma Katie. Il suo allenatore è un conservatore del gioco, che vuole che si difenda piegati e con i piedi per terra, invece Bill salta più in alto di tutti e ferma ogni tiro degli avversari, corre da una parte all’altra del campo. L’amore tra i due non ci sarà mai ma entrambi sanno che l’altro è indispensabile per vincere e la vittoria per Bill è tutto. Dunque i Dons di San Francisco comquistano il campionato NCAA (il torneo dei college universitari) nel 1952 e nel 1956, vincendo 55 partite consecutive, guidati da Russell. Addirittura il presidente degli USA, Dwight Eisenhower, gli fa visita al college e lo scongiura di partecipare con la nazionale statunitense alle Olimpiadi di Melbourne del 1956, Bill sta per diventare un professionista ma accetta l’invito. Va a Melbourne e, naturalmente, gli Stati Uniti vincono l’oro distruggendo tutti gli avversari, compresa l’Unione Sovietica in finale. La sua prima stagione nell’NBA (la lega di basket professionistico americana) inizia in ritardo dopo l’Olimpiade e precisamente il 22 dicembre 1956, una data storica per la storia della pallacanestro perché da allora le cose non saranno più le stesse. Di fatto Bill Russell inventa il basket moderno, conservando anche da professionista quel modo rivoluzionario di giocare; per tutta la sua carriera militerà nei Boston Celtics creando una coppia leggendaria con l’allenatore Red Auerbach, l’unico che capì prima di tutti la grandezza di Russell, il primo dal quale Bill si sentiva finalmente apprezzato. Entrambi avevano una vera e propria compulsione per la vittoria, la loro sintonia era perfettamente modulata sul desiderio spasmodico di vincere, non a caso Auerbach, proprio come Russell, era un emarginato essendo un ebreo ortodosso di Brooklyn. Si dice che tale fosse la tensione agonistica e la spinta alla vittoria che Bill ogni sera, prima della partita, vomitava. Per queste ragioni Bill Russell è entrato nella leggenda: ha vinto 11 titoli con i Celtics (record ancor oggi imbattuto) è stato più volte votato come il miglior giocatore della lega e delle finali e la sua stella non fu oscurata nemmeno nel 1962, quando entrò nell’NBA Wilt Chamberlain, il giocatore che detiene ancora oggi il record di punti e rimbalzi di media nella stagione, l’uomo che segnò 100 punti in una sola partita, che fece cambiare le regole del gioco, un individuo che in molte civiltà antiche sarebbe stato considerato un semidio. Eppure Wilt vinse solo 2 titoli, mentre Bill 11 perché per lui vincere era come vivere, il padre gli aveva insegnato che doveva farsi rispettare, che ci sono linee che non doveva permettere che si oltrepassassero come una volta, al college, quando stese con un pugno un compagno che lo aveva soprannominato “palla di neve”, rischiando di essere espulso. Russell conclude la sua carriera con i Celtics nel 1969 ricoprendo il ruolo di allenatore e giocatore: è stato il primo allenatore afroamericano della storia di tutti gli sport professionistici statunitensi. Si dice che all’ultima partita di quella stagione fosse presente anche nonno Jake e che, durante l’intervallo, chiese all’uomo seduto davanti a lui: “Scusi, ma quei 5 bianchi fanno quello che dice mio nipote?” e una lacrima scese dai suoi occhi, poi aggiunse: “Scusi, ma quei 5 bianchi fanno la doccia con mio nipote?” e un’altra lacrima scese sulle guance del vecchio Jake. Oggi Bill Russell ha quasi 80 anni e a lui è intitolato il premio per il miglior giocatore delle finali NBA il Bill Russell Trophy, ma la sua grandezza va oltre questo. È la grandezza di un ragazzo nato con pochissime speranze e divenuto un uomo in grado di cambiare, realmente, le cose.    

Patrizio Pitzalis

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares