INTERVISTA A GIANCARLO MAZZUCA AUTORE, CON IL FRATELLO ALBERTO, DEL LIBRO “INDRO MONTANELLI DOVE ERAVAMO RIMASTI? “(BALDINI+CASTOLDI)

Ci sono allievi che del maestro assorbono quasi l’eticità e la passione per una professione che, come quella del giornalista, può e deve reinventarsi ogni giorno lasciando aperti grandi spazi mentali su idee e fatti.

Giancarlo Mazzucca e il fratello Alberto, entrambi giornalisti, sono cresciuti professionalmente con la guida di Indro Montanelli, grandissimo giornalista, a volte contrastato, ma del quale non si può non riconoscere il rigore intellettuale e la libertà di pensiero e di espressione.

E a venti anni dalla scomparsa hanno deciso di ricordarlo con un libro che ne racconta la vita professionale come giornalista e come uomo.

Un libro dal taglio giornalistico, ricco di aneddoti, che permette al lettore di conoscere, o di riscoprire, i tratti di un uomo che nel bene e nel male è sempre e comunque rimasto se stesso con le proprie idee e con la propria onestà intellettuale. Una grande penna, una scrittura agile, profonda e interessante, la passione e l’etica di una professione da trasmettere ai suoi collaboratori più stretti.

E fra questi proprio Giancarlo Mazzuca che è stato accanto a Montanelli prima caporedattore della sezione economia a il Giornale e poi e suo vicedirettore a La Voce, ha deciso insieme al fratello di scrivere questa biografia a quattro mani per ricordare chi tanto ha contribuito alla crescita e alla formazione nella sua vita professionale.

Perché un libro su Montanelli?

“Avevo già scritto due libri su Montanelli (“Indro Montanelli la mia Voce” e “Indro Montanelli. Uno straniero in patria”). Io debbo tutto a Cilindro (così lo chiamavamo in redazione): lui mi prese in simpatia e mi insegnò l’impossibile. Di se stesso diceva sempre di essere un direttore bandiera che veniva issato sul pennone al mattino e ammainato alla sera. In realtà era un direttore h24, sempre presente in redazione e sempre pronto a dare consigli e suggerimenti. Io imparavo da lui dal mattino fino a notte inoltrata. Alla sera, prima mi portava a cena in un ristorante toscano in via Fatebenefratelli a Milano, poi veniva anche lui in tipografia per chiudere la prima edizione del giornale. Non c’è dubbio che oltre a essere stato il più grande testimone del Novecento, è stato anche un grandissimo Direttore, con la “D” maiuscola. E io, per rispetto, ho continuato a dargli del “lei” anche se in redazione tutti i giornalisti si davano del “tu”.

Indro era cresciuto nel mito di Mussolini: era legato al duce?

“Nato nel 1909 a Fucecchio, Montanelli aveva 13 anni alla Marcia su Roma, 15 nell’anno del delitto Matteotti e 26 in quello della guerra in Abissinia. Fu fascista come la maggior parte dei giovani della sua generazione e non ne fece mai un segreto. Non fu affatto legato al duce anche se all’inizio ne subìl’influenza e partecipò come giovane tenente alla guerra in Abissinia con grandissimo entusiasmo anche per un motivo molto semplice: il primo Mussolini era diverso da quello successivo. Il duce arrivò a elogiare Montanelli, in un incontro a Palazzo Venezia, perché aveva difeso, in un articolo, un giovane ebreo. Disse: “Quelle critiche sono roba da biondi ariani”. Ma poi, nel 1938, anche lui, purtroppo, fece le leggi razziali. Montanelli prese così le distanze dal fascismo tanto che il Minculpop lo espulse dall’ Albo dei giornalisti perché raccontò la verità su quanto avevano fatto le truppe di Mussolini nella battaglia di Santander, durante la guerra civile in Spagna. Successivamente, durante il secondo conflitto mondiale, venne imprigionato dai fascisti a San Vittore. Nel 1944, durante l’esilio in Svizzera, rivendicò da antifascista l’adesione al regime di Mussolini, e questo già basterebbe a fare di Indro Montanelli un esempio di coerenza e libertà critica. Dopo l’esperienza della “Voce” scrisse: “Passato per una ventina d’anni per fascista e negli ultimi dieci per comunista, me la rido di entrambe le etichette”.

I genitori di Indro?

“Maddalena, la madre, e Sestilio, il padre, appartenevano a due ceti diversi della Fucecchio di allora e il padre, che fu anche il preside di Indro al ginnasio di Nuoro e al liceo Rieti, dette ad Indro, come secondo nome, Schizogene per fare un piccolo dispetto a sua suocera Rosmunda. Quel nome, Schizogene, coniato dal greco: “generatore di separazione, seminatore dizizzania” venne considerato da qualcuno come premonitore della depressione sofferta a lungo da Indro fin dagli anni della scuola, da altri invece come un nome che si rivelò poi azzeccato perché Montanelli rifiutò sempre di allinearsi agli altri, amando mettere bene in vista le “bischerate” (come lui le definiva da buon toscano) scritte e dette da persone intellettualmente non libere.

Per sua madre Il Direttore aveva un grande rispetto e soprattutto ne invidiava quella fede in Dio che lui non aveva. Prima di morire, chiese di essere tumulato vicino alla tomba di mamma Maddalena”.

Come sono stati i rapporti di Indro con Eugenio Scalfari?

“Ufficialmente erano come cani e gatti tanto è vero che i giornalisti di Montanelli avevano ribattezzato Scalfari in modo sferzante “Barbapapà”. C’è anche una lettera durissima che Montanelli inviò a Scalfari dopo le tante offese ricevute dal direttore di “Repubblica”. Eppure, al di là dei tanti botta e risposta, tra i due ci fu sempre una certa stima reciproca che non emerse mai pubblicamente”.

Perché divorziò da Berlusconi?

“Semplicemente perché fino all’ingresso in politica, Berlusconi si era dimostrato un ottimo editore ma era chiaro che, nel momento in cui il Cavaliere scendeva in campo, l’autonomia di Montanelli veniva forzatamente ridimensionato. Da qui l’idea di Indro, dopo aver rifiutato l’offerta avanzata da Gianni Agnelli divdiventare direttore del “Corriere della Sera, di fondare una società ad azionariato diffuso che avrebbe dovuto pubblicare “lLa Voce”: Il motto di Indro era “Non più padroni”. Ma il nuovo quotidiano ebbe vita breve perché quasi nessun imprenditore era disposto a mettere soldi in un giornale dove la proprietà era spartita tra troppi azionisti”.

Montanelli è stato anche un grande corrispondente di guerra…

“Proprio di questi tempi, con le vicende dell’Ucraina, emerge chiaramente il fatto che Montanelli sia stato il più grande corrispondente di guerra nella storia recente d’Italia. Per vent’anni, dal 1936 al 1956, dalla guerra civile in Spagna alla Finlandia, dall’Albania alla rivoluzione ungherese, Indro ha girato l’Europa in lungo e in largo e ha raccontato i conflitti come, credo, nessun altro giornalista, compresi gli attuali inviati a Kiev, abbia mai fatto”.

Quale è stato il suo più grande “scoop” giornalistico?

“Indro non amava gli “scoop”, anzi ci continuava a dire di diffidare da questi. Riteneva infatti che chi forniva uno “scoop” lo faceva solo strumentalmente. Posso ricordare il più grande “scoop” che Indro ha mancato: fu un’intervista a Hitler al confine tra Germania e Polonia nei primissimi giorni della Seconda guerra mondiale. Quell’intervista venne censurata dal Minculpop e non fu mai pubblicata dal “Corriere”.

Il suo prossimo libro?

Mio fratello e io ci stiamo lavorando. Sarà una sorpresa.

Il libro di Giancarlo e Alberto Mazzucca ci restituisce integra la figura di un gigante del giornalismo, amatissimo dal pubblico seppur spesso controverso. Il suo essere controcorrente e sempre libero, critico e spesso provocatorio e irriverente, ne fa, a tutt’oggi, una delle penne più autorevoli del Novecento italiano.

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