Un referendum anti-immigrazione crea attrito tra Svizzera e Ue

zCon il 50,3% di voti a favore, la Svizzera ha approvato il referendum “contro l’immigrazione di massa”, che ha lo scopo di porre un tetto al numero di cittadini dell’Ue sul suolo elvetico. La schiacciante vittoria del sì nel Ticino (68.2%), dove ci sono oltre 53 mila residenti italiani su un totale di 341 mila ticinesi, è un indicatore dell’italofobia cresciuta in questi ultimi anni in cui la crisi ha spinto sempre più persone a trovare un’occupazione oltre il confine. Quotidianamente migliaia di frontalieri, ovvero lavoratori in prestito in Svizzera, entrano ed escono dal Paese elvetico. Le fasce salariali sono molte, dal part-time al tempo pieno, con uno stipendio medio lordo di 2900 euro al mese. Praticamente il doppio se non il triplo di quello che un lavoratore può aspettarsi in Italia. Il problema è che proprio tali stipendi, indubbiamente allettanti per gli italiani, per gli svizzeri sono bassi, considerando il fatto che lì un disoccupato cronico riceve 2000 euro al mese. Inoltre, uno svizzero doc che perde il lavoro, viene mantenuto dalla collettività per due anni con una somma pari all’80% dell’ultima busta paga. Nel 2013 i frontalieri nel Paese sono stati 227.356 (3% in più rispetto al 2012) di cui 98.945 donne e 178.412 uomini. Di questi, 145.39 francesi, 65658 italiani, 56921 tedeschi, 8.119 austriaci e 1265 di altre nazionalità. Nel Canton Ticino, dove i lavoratori in prestito italiani sono 65 mila, c’è stato un aumento del 4,7 % in più rispetto al 2012. Alcuni media svizzeri parlano di “turismo criminale”, che lascia i ticinesi nell’isolamento e nella minaccia del meridione che avanza, dando luogo ad episodi di intolleranza e xenofobia soprattutto nei confronti degli italiani.

L’atteggiamento dei nostri vicini di casa non è però proprio una novità. All’inizio degli anni Settanta, James Schwarzenbach, politico xenofobo svizzero, fu promotore di un referendum che voleva limitare il numero di lavoratori stranieri in Svizzera (il 54% dei quali erano italiani). Sebbene vi fu un record di affluenza alle urne, la proposta venne respinta. Schwarzenbach non sopportava che gli immigrati portassero con loro gli anziani, le mogli, i figli. Rispetto a questi ultimi disse: “Sono braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Che minacciano nello spettro d’una congiuntura lo stesso benessere dei cittadini svizzeri. Dobbiamo liberarci del fardello. Dobbiamo, soprattutto, respingere dalla nostra comunità quegli immigrati che abbiamo chiamato per i lavori più umili e che nel giro di pochi anni, o di una generazione, dopo il primo smarrimento, si guardano attorno e migliorano la loro posizione sociale”. Insomma, il tempo passa e  i problemi si ripetono perché la storia, lo sappiamo, è una ruota. Ieri gli italiani si presentavano come mano d’opera per le fabbriche, oggi invece, non solo ci sono gli operai a chiedere lavoro, ma anche i giovani laureati provenienti da tutta Italia, che arrivano con un pacco di curricula da consegnare ovunque.

Dura la reazione dell’Unione Europea nei confronti del risultato del referendum svizzero, non rispettoso degli accordi di libera circolazione stabiliti 15 anni fa con L’Ue. Bruxelles valuterà attentamente l’atteggiamento di Berna rispetto alla messa in pratica delle indicazioni degli elettori nei prossimi tre anni. E’ comune la preoccupazione da parte di tutti i governi europei, che non accetterebbero la limitazione della circolazione delle persone e soprattutto delle merci. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato: “Le relazioni che legano la Svizzera all’Unione Europea apportano grandi vantaggi alle popolazioni delle due parti e la libera circolazione è il cuore di queste relazioni”. Mario Schulz, presidente del Parlamento europeo ha specificato: “La Svizzera gode dei benefici del mercato interno e la libertà di movimento è un pilastro fondamentale del mercato interno”. La libera circolazione fa parte di un pacchetto di sette accordi, che riguardano diversi settori come l’agricoltura, la ricerca, le comunicazioni aeree e quelle ferroviarie. I patti bilaterali sono connessi giuridicamente tra loro a mezzo di una cosiddetta «clausola-ghigliottina»: qualora uno degli accordi non fosse prolungato o venisse denunciato, anche i rimanenti potrebbero essere abrogati. E’ tuttavia vero che un referendum  rappresenta di fatto una forma di espressione democratica e diretta del suo popolo. Chi accontentare dunque? I cittadini o l’Ue? Noi italiani, ovviamente, auspichiamo per la seconda opzione. Con i tempi che corrono, la Svizzera rimane una delle possibili vie di fuga dal punto di vista lavorativo.

 

Silvia Di Pasquale

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