Un attimo, non siamo ancora fuori dal tunnel

Un po’ di pazienza è essenziale. Dopo un mese di giugno all’insegna delle riaperture e della tranquillità, l’Italia e l’Europa decidono di frenare – o perlomeno rallentare – in materia di sblocco delle frontiere. E, nel Bel Paese, questo giugno non ha lasciato una bella impressione: si è verificato quanto alcuni temevano, cioè che la caduta delle restrizioni da lockdown spingesse la popolazione a ritenere il virus completamente battuto. Nulla di più lontano dalla realtà, ma il “sentito” popolare ha spinto i più a privarsi della protezione della mascherina nei luoghi pubblici, di dimenticare il concetto di distanziamento sociale e, in generale, di credere erroneamente che questa del 2020 sia un’estate come tutte le altre, fatta di ammucchiate al mare, feste e vacanze.

Ciò ha portato l’indice di contagio, pur sempre in discesa, a un primo rialzo che andrà poi a sommarsi al già preventivato “secondo picco”, quello che si verificherà a settembre con la riapertura delle scuole e con il ritorno al lavoro in sede per milioni di persone. Insomma, non è una buona notizia: nel Lazio, dove nelle scorse settimane si faceva fatica a trovare tre o quattro nuovi infetti al giorno, l’indice di contagio ha superato, nel fine settimana, addirittura quello della Lombardia (Rt = 1,21).

E, proprio per quanto concerne la Lombardia e le altre regioni più colpite, c’è chi si è giustamente chiesto quale fosse la ragione di far cadere il lockdown nel passaggio tra regioni senza che venissero prese misure sostitutive volte a contenere il contagio, nella regione capeggiata da Milano ancora alto e forse soggetto anche a un certo menefreghismo della classe imprenditoriale lombarda. Lo stesso Sala, che in lockdown invitava alla cautela, ha negli scorsi giorni affermato come fosse il momento di tornare a «la-vo-ra-re». Uno stile che non è piaciuto a molti, che lo hanno giudicato incosciente.

Se l’Italia deve ancora preoccuparsi della Lombardia, il resto d’Europa deve invece preoccuparsi del mondo. Per ora rimane il “no” ai cittadini americani: troppo alti i contagi, troppo poche le misure contenitive. Basti pensare che negli Stati Uniti una persona su cento è stata contagiata dal coronavirus. E il dato, al ritmo di 40mila nuovi infetti al giorno, è destinato ad aumentare. Come lo è in Brasile, in India, in altri stati del Sud America e in Russia – Paesi ai quali, per ora, l’Europa non vuole aprire. Comprensibilmente.

Di difficile interpretazione, invece, la riapertura alla Cina, anche per motivi politici di diverso tipo e legati alla brutale repressione nuovamente in atto a Hong Kong dopo la “pausa” dovuta al COVID-19. La Cina, certo, c’è chi la ama e chi la odia, e sarà il nodo del prossimo secolo – ma soprattutto, ora, permane il dubbio se potersi fidare o meno dei numeri sul contagio dichiarati da Pechino. Mentre interi quartieri della capitale restano isolati in lockdown, c’è da chiedersi quale sia la necessità di un simile approccio se i contagi fossero davvero nell’ordine della ventina al giorno come affermano le autorità.

Dopo aver dato un’impressione approssimativa nell’ultimo mese, è ora il governo italiano a volere più garanzie nei confronti dell’estero: la quarantena si farà, oltre le restrizioni già concordate a livello europeo. Il turismo vedrà un calo netto e deciso, certo, ma è difficile biasimare una decisione simile. Non mentre il pensiero del mondo si rivolge già verso le altre grandi tragedie di questo stranissimo 2020, dalle repressioni in America a quelle in Cina, ma senza il lusso di potersi dimenticare anche per un istante la minaccia pandemica.

 Fonte foto: Schermata con i dati dei contagi. (Marcus Spiske)

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares