IL PIANO DI CONCORDATO ED I CONTENZIOSI

I crediti contestati devono essere riportati nel piano di concordato prestando attenzione alla normativa speciale prevista per i crediti tributari.

Il concordato preventivo può arrivare alla fase di omologa prima della conclusione dei contenziosi che il debitore ha in essere e, quindi, prima che siano accertati, in maniera definitiva, i diritti di credito delle parti in causa. La questione richiede una particolare attenzione nel caso i diritti di credito oggetto di controversia siano di natura tributaria, in quanto si applica una specifica disciplina da coordinare con le norme previste per la generalità dei crediti contestati. I principi da utilizzare per stimare i crediti relativi a contenziosi in essere saranno sia quelli contabili, genericamente previsti per la redazione del bilancio, sia quelli per la redazione dei piani di risanamento, tenendo altresì in considerazione i principi di attestazione.

Il professionista che interviene nella redazione di un piano di concordato preventivo, oppure nella sua asseverazione, dovrà prestare particolare attenzione ai crediti oggetto di contestazione aventi natura tributaria. Il caso tipico riguarda le somme iscritte a ruolo, a seguito dei controlli condotti dall’Agenzia delle Entrate, in relazione alle quali il contribuente ha presentato ricorso al giudice tributario, contestando la pretesa fiscale e, quindi, il credito tributario. Qualora il contenzioso tributario non sia ancora terminato, con sentenza passata in giudicato, nel momento in cui viene redatto il piano e presentata la proposta di concordato, vi sono specifiche regole che il redattore del piano deve osservare nella valorizzazione dei crediti tributari relativi al contenzioso pendente.

Nel caso invece le somme non siano iscritte a ruolo, per esempio qualora gli atti di accertamento siano stati annullati in via provvisoria dal giudice tributario, valgono le regole generali sulla redazione dei piani di concordato previste per tutti i crediti contestati.

Nelle seguenti note verranno illustrate le specifiche regole da osservare nella valutazione dei crediti tributari contestati ai fini della redazione dei piani di concordato, passando attraverso le regole previste per la generalità dei crediti contestati, che trovano applicazione per i crediti tributari non iscritti a ruolo.

Il concordato preventivo può arrivare alla fase di omologa prima della conclusione dei contenziosi

che il debitore ha in essere e, quindi, prima che siano accertati i diritti di credito delle parti in causa. La questione richiede una particolare attenzione nel caso i diritti di credito da accertare siano tributari, in quanto si applica una specifica disciplina da coordinare con le norme previste per la generalità dei crediti oggetto di contestazione.

L’assenza di una sentenza passata in giudicato comporta evidenti difficoltà nel determinare l’entità, la natura e il grado di privilegio del credito tributario; ciò potrebbe rendere l’esito del concordato preventivo incerto nel caso i crediti tributari contestati siano di ammontare tale da incidere sul soddisfacimento dei creditori chirografari, nonché sul concreto realizzo di quanto previsto nella proposta concordataria.

La pretesa creditoria da parte dell’Agenzia delle Entrate, o degli altri enti impositori, potrà essere accertata e definita soltanto all’esito del giudizio e il passaggio in giudicato della relativa sentenza emessa dal giudice tributario cui è demandato, quindi, il compito di individuare l’an et quantum del credito. Tale determinazione ha impatti sul concordato preventivo, in quanto la quantificazione del credito tributario, rappresenta la base su cui applicare la falcidia concordataria.

Le disposizioni che disciplinano i crediti contestati nell’ambito del concordato preventivo sono contenute nell’art. 176 c. 1 del Regio Decreto 267/1942 (l.f.) e nell’art. 180 c. 6 della l.f., cui si aggiunge l’art. 90 del DPR 602/1973, norma speciale applicabile ai crediti di natura tributaria.

In base all’Art. 176 l.f. c. 1, “Il giudice delegato può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò pregiudichi le pronunzie

definitive sulla sussistenza dei crediti stessi”. La norma per giurisprudenza consolidata viene interpretata nel senso che nelle procedure concordatarie, diversamente da altre procedure, la verifica dei crediti non è funzionale alla selezione delle posizioni concorrenti ai fini del riparto dell’attivo, ma alla mera individuazione dei crediti ammessi al voto della proposta di concordato da considerare nel calcolo delle maggioranze (cfr. Cassazione 21 novembre 2019 n. 30456).

Secondo l’Art. 176 l.f. c. 2 “I creditori esclusi possono opporsi all’esclusione in sede di omologazione del concordato nel caso in cui la loro ammissione avrebbe avuto influenza sulla formazione delle maggioranze.” La norma prevede un rimedio per i creditori rimasti esclusi dal voto, consentendo l’opposizione in sede di omologa, qualora il loro voto avrebbe potuto decidere in maniera diversa l’esito dell’approvazione della proposta.

L’Art. 180 c. 6 l.f. stabilisce che “Le somme spettanti ai creditori contestati, condizionali o irreperibili sono depositate nei modi stabiliti dal tribunale, che fissa altresì le condizioni e le modalità per lo svincolo.” La norma prevede una specifica tutela per i creditori titolari di crediti oggetto di contestazione e contezioso, ossia quella di imporre al tribunale l’individuazione delle somme relative ai crediti contestati che, nella fase di esecuzione della sentenza di omologa del concordato, devono essere oggetto di deposito. Il deposito potrà essere svincolato secondo le modalità e condizioni definite sempre dal tribunale.

Infine, in merito all’Art. 90 DPR 602/1973 si stabilisce che se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli articoli 176 e 180 c. 6 della l.f.

Nel caso i crediti contestati abbiano natura tributaria, quindi, le regole illustrate degli artt. 176 e 180 l.f. vanno coordinate con la disciplina specifica dell’art. 90 c. 2 del DPR 602/1973 per cui: se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli articoli 176, c. 1 e art. 180, c. 6 l.f.

Le disposizioni appena richiamate richiedono al redattore del piano di concordato di prestare particolare attenzione ai crediti di natura tributaria oggetto di contestazione, con giudizio pendente nel momento della predisposizione del piano. Nella fase di preparazione del piano, quindi, il redattore dovrà stabilire le condizioni in base alle quali dovrà trovare rappresentazione il credito oggetto di disputa all’interno del piano di concordato preventivo; individuare i criteri di stima e di esposizione del relativo ammontare; tenere conto degli impatti che i debiti potenziali per contenziosi in essere hanno sull’attestazione del piano; considerare la valutazione della fattibilità del piano che il tribunale è tenuto ad effettuare, qualora il contenzioso pendente abbia ad oggetto un credito fiscale rilevante; tenere conto della funzione del deposito delle somme spettanti ai creditori contestati cui il tribunale dovrà provvedere ai sensi dell’art. 180, c. 6, l.f.; applicare la specifica disposizione dell’art. 90, c. 2, del DPR 602/973 in base alla quale per le somme iscritte a ruolo oggetto di contenzioso, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli artt. 176, c. 1, e 180, c. 6 l.f.

I crediti oggetto di contestazione nel concordato preventivo, tolte le richiamate disposizioni dell’art. 176 e 180 l.f., non hanno una specifica disciplina. In maniera diversa, nella procedura fallimentare, vi sono regole applicabili ai crediti oggetto di contestazione.

In particolare, l’art. 113 l.f. – relativamente alle ripartizioni parziali nella procedura fallimentare – prevede l’obbligo di accantonare il 20% dell’attivo a copertura di spese future, nonché per il soddisfacimento dei crediti oggetto di contestazione. In maniera simile, l’art. 117 l.f. – relativamente alle ripartizioni parziali nella procedura fallimentare – prevede che vengono distribuiti anche gli accantonamenti precedentemente effettuati, incluso quello generico del 20%, ma se i provvedimenti relativi ai crediti oggetto di contestazione non siano ancora passati in giudicato, la somma è depositata nei modi stabiliti dal giudice delegato, perché,

verificatisi gli eventi indicati, possa essere versata ai creditori cui spetta o fatta oggetto di riparto supplementare fra gli altri creditori.

Le richiamate disposizioni, riferite alla procedura fallimentare, non riguardano il concordato preventivo e la giurisprudenza, nonché buona parte della dottrina, non ritiene estensibili analogicamente tali norme alla procedura concordataria.

I crediti contestati, non ancora oggetto di sentenza definitiva, secondo la giurisprudenza consolidata di cassazione, devono trovare rappresentazione nella proposta di concordato con la necessità del loro inserimento in classi omogenee, oppure in una classe ad essi riservata (cfr. Cass. Sentenze 7 marzo 2017 n. 5689, 26 luglio 2012 n. 13284, 26 luglio 2012 n. 13285).

Il motivo va ricercato in una duplice esigenza. Nella fattispecie, la mancata rappresentazione nel piano e nella proposta di concordato pregiudicherebbe gli interessi di coloro che non hanno ancora un titolo definitivo per il riconoscimento del credito, ma che possono essere ammessi ai fini del voto della proposta; ovvero l’assenza di indicazione nel piano e nella proposta altererebbe le previsioni del piano di soddisfacimento degli altri creditori, i quali non sarebbero in grado di fare valutazioni corrette sul loro grado di soddisfacimento, in quanto dipendente dall’esito del contenzioso (nel caso si accertasse un credito di una certa rilevanza, il grado di soddisfazione dei creditori chirografari si ridurrebbe).

La presenza di crediti contestati impatta sui flussi finanziari necessari per il loro soddisfacimento, quindi, l’insufficiente stanziamento del fondo rischi potrebbe incidere sulla percentuale di soddisfazione dei creditori chirografari, quindi, l’insufficiente stanziamento rischia di far saltare il piano di concordato.

Nella predisposizione del piano e della proposta concordataria, spetta al debitore, determinare l’an e il quantum (se e quanto) riportare in merito al credito contestato. Tuttavia, il tribunale ha il potere di disporre e di quantificare gli accantonamenti, nonché di decidere che non vadano rappresentati, nel caso si evinca, nell’ambito di una valutazione incidentale, che il credito o i crediti contestati non siano esistenti; ciò al fine, tra l’altro, di evitare un blocco alla procedura concordataria per una pretesa creditoria non fondata.

Il debitore deve, quindi, informare il ceto creditorio dell’esistenza di crediti contestati, partendo dall’ammontare complessivo della pretesa, ma esprimendo il proprio giudizio circa la infondatezza della stessa e del conseguente importo che si reputa ragionevolmente dovuto. A valle di tale valutazione dovrà provvedere a inserire nel piano un fondo rischi con riferimento alla quota del credito contestato suscettibile di conferma e riconoscimento da parte del giudice competente.

L’inserimento nel piano concordatario di un fondo rischi richiede, quindi, la stima dell’an et quantum debeatur da parte dell’impresa che presenta domanda di concordato, da effettuare in maniera analoga alla valutazione che comunemente l’impresa è tenuta ad effettuare in sede di redazione del bilancio di esercizio, quindi, secondo i criteri stabiliti dal principio contabile OIC 31.

Il richiamato principio prevede l’obbligo di stanziare un fondo per i rischi il cui concreto avverarsi sia giudicato probabile sempre che il relativo onere sia misurabile. Tuttavia, le indicazioni del richiamato principio contabile vanno coordinate con altri principi. Essendo la valutazione effettuata in sede di predisposizione di un piano di concordato, la stima dovrà confermarsi anche ai princìpi regolanti gli obblighi informativi in tema di concordato – principi per la redazione dei piani di risanamento; ai princìpi di attestazione a cui il professionista attestatore si deve uniformare e ai quali il debitore si deve conseguentemente attenere.

In relazione al primo punto, la dottrina ritiene che la stima e l’informativa riguardante il fondo rischi deve riflettere la diversa finalità della relazione del piano di concordato – di cui all’art. 161, c. 2, lett. a), l.f. – la quale ha la funzione di illustrare quali siano le effettive possibilità di soddisfo dei creditori, prescindendo dall’attuazione del piano; ciò impone di dare rappresentazione a tutti gli elementi che possono incidere su

tale soddisfacimento, con la conseguenza che, per quanto difficilmente determinabili, dovranno trovare illustrazione anche la stima degli effetti economici di passività potenziali seppur remote, diversamente da quanto si effettua comunemente in sede di predisposizione del bilancio di esercizio.

Per quanto riguarda i principi di attestazione, l’attestatore dovrà verificare che la quantificazione operata nel ricorso di concordato, con particolare riguardo anche alla stima degli interessi e delle sanzioni, nonché all’eventuale previsione circa l’esito dei contenziosi in essere, seguendo i principi di attestazione dei piani di risanamento, approvati con delibera del CNDCEC del 16 dicembre 2020. In particolare, per quanto riguarda i rischi in essere i richiamati principi chiariscono che l’attestatore sarà tenuto a verificare che il debitore abbia “dato evidenza nella proposta dell’esistenza di crediti oggetto di contestazione e che abbia previsto le modalità del relativo soddisfacimento nel caso e nella misura in cui gli stessi risultassero dovuti tramite la costituzione di adeguati fondi rischi (di importo pari alla percentuale di soddisfacimento del credito contestato offerta nella proposta di concordato), tenendo altresì conto dell’importo dell’eventuale quota privilegiata degradata a chirografaria”.

L’attestatore deve, quindi, verificare che il debitore abbia rappresentato nella proposta l’esistenza di crediti contestati, prevedendo la modalità di soddisfazione, nel caso e nella misura in cui gli stessi risultassero dovuti tramite la costituzione di adeguati fondi rischi.

Il giudizio di fattibilità del piano da parte del tribunale, con specifico riferimento ai crediti contestati, segue criteri analoghi a quelli che conducono alla redazione e attestazione del piano stesso.

Secondo la dottrina la valutazione della capacità dell’attivo disponibile di soddisfare il passivo concordatario, quindi la fattibilità economica del piano, nonché la valutazione dell’incidenza dei contenziosi in essere sono aspetti che incidono in una fase anteriore a quella del decreto di omologazione del concordato. In tale fase i crediti in contenzioso giudicati presumibilmente dovuti dal tribunale devono trovare congrua copertura nel fondo rischi, applicando i criteri tecnici di valutazione dei principi richiamati nel paragrafo precedente.

La fase successiva all’effettuazione della proposta concordataria ai creditori, ossia una volta che sia stata votata favorevolmente dai creditori ed omologata, prevede l’esecuzione del piano. La disposizione di cui al richiamato art. 180 c. 6 l.f., assegna agli organi del concordato il potere di assicurare che gli altri creditori abbiano piena e adeguata informazione dell’esistenza del debito in contestazione e degli elementi che caratterizzano il contenzioso, affinché essi possano consapevolmente decidere se accettare o respingere la proposta. Il rischio di soccombenza non può trasformarsi in un obbligo di pagamento da parte del giudice, tuttavia il debitore non potrà destinare le risorse prima che l’accertamento del credito non sia concluso. Pertanto l’accantonamento di cui all’art. 180 l.f. svolge la funzione di deposito cauzionale. Una volta determinato l’importo da accantonare e da lasciare in deposito secondo i dettami del tribunale, lo stesso sarà oggetto di liberazione qualora si giunga ad una pronuncia definitiva in relazione ai contenziosi pendenti. Viceversa, qualora, in esito alla pronuncia definitiva, l’ammontare accantonato fosse insufficiente potrebbe dar luogo ad ipotesi, successive all’omologa, di risoluzione del concordato. Infatti, appostando una somma inferiore alle pretese creditorie, il debitore si espone al rischio, che in caso di soccombenza nel giudizio di contestazione del credito il creditore vittorioso possa agire anche per la risoluzione del concordato omologato o presentare istanza di fallimento.

In tale contesto relativamente ai criteri di determinazione del deposito ex art. 180 c. 6 l.f. la Cassazione nella sentenza 13 giugno 2018 n. 15414 ha stabilito che:

“il Tribunale, nell’omologare il concordato, ha il potere di disporre e di quantificare gli accantonamenti, ma anche di non prescriverli, ove reputi, all’esito di una valutazione di natura incidentale, che il credito o i crediti contestati non siano esistenti: e che, ove si reputasse, al contrario, la necessità di disporre sempre e comunque l’accantonamento, le conseguenze sarebbero inaccettabili, poiché qualunque pretesa di un

qualsivoglia soggetto, anche la più sconclusionata, potrebbe paralizzare l’omologazione di un concordato. La teorica latenza di cause di prelazione o di crediti, tutt’altro che certi, ma anzi condizionati alla emissione di una sentenza di accertamento definitiva, non obbliga quindi di regola – gli organi della procedura ad accantonare risorse nella previsione di un eventuale riconoscimento del credito disconosciuto”.

Nel caso il credito contestato abbia natura tributaria sorge la necessità di coordinare le norme appena illustrate con la regola dell’art. 90 del D.P.R. n. 602/1973. Tale norma, costituisce una disposizione tributaria di natura speciale, al cui secondo comma prevede che, qualora in relazione alle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito tributario è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli artt. 176 e 180 c. 6.

La giurisprudenza di Cassazione è consolidata nell’interpretare il richiamato art. 90 c. 2 del DPR 602/1973 nel senso che, in tema di omologazione della proposta di concordato preventivo, ai sensi dell’art. 180 l.f., il Tribunale esercita esclusivamente il potere di determinare la modalità di accantonamento delle somme, in quanto per effetto della richiamata norma speciale l’accantonamento è obbligatorio.

I richiamati principi, fondati sul fatto che la norma tributaria del richiamato art. 90 è una disposizione speciale, sono stati affermati e riconfermati, di recente, nelle ordinanze del 25 marzo 2021, n. 8504, e del 22 novembre 2021, n. 35954.

Gli effetti pratici, in applicazione della richiamata regola conducono a ritenere che le somme iscritte a ruolo, devono essere sia accantonate sia inserite nell’elenco dei creditori ai fini del voto; le somme non iscritte a ruolo, non essendo soggetto alla disposizione dell’art. 90 del DPR 602/1973 seguono i principi applicabili alla generalità dei crediti contestati. In quest’ultimo caso, potrebbe essere quello delle somme per la quali non trova applicazione la riscossione provvisoria, oppure il caso in cui gli atti di accertamento sono stati annullati in via provvisoria dal giudice tributario.

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