IL PERSONALE DIPENDENTE NELLE SOCIETÀ IN HOUSE

Nel corso degli ultimi anni, la disciplina delle società a partecipazione pubblica è stata oggetto di molteplici interventi legislativi, dove aspetti pubblicistici e privatistici spesso confondono la giusta disciplina d’applicare.

Il confine tra diritto pubblico e privato nella disciplina dei rapporti di lavoro alle dipendenze di società a controllo pubblico, come previsto dall’art. 19 del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.lgs 175/2016), può cambiare in ragione degli interessi concretamente tutelati. In particolare, le fonti ordinarie del rapporto di lavoro devono sempre tener conto, a pena di nullità delle relative clausole, dei principi in materia di tutela dell’ente pubblico.

Le società partecipate sono nate negli anni Novanta a seguito del processo di privatizzazione dei servizi pubblici. Sono società di capitali cui la partecipazione dello Stato o altro ente pubblico può essere totalitaria, maggioritaria o minoritaria. Il legislatore a seguito dell’elevato accrescimento della spesa pubblica dovuto allo sviluppo delle società partecipate è intervenuto prima con il D.lgs 164/2015 e poi emanando il TU D.lgs 175/2016 in materia di società a partecipazione pubblica per definire il quadro normativo e per ridurre soprattutto la spesa pubblica.

L’art. 2 del Dlgs n. 175/2016 definisce società partecipate quelle in cui la PA esercita un controllo ai sensi dell’art. 2359 cc. o quelle in cui la PA partecipa direttamente o tramite società a controllo pubblico. Nonostante la partecipazione dell’ente pubblico, le società partecipate conservano la loro natura privata e pertanto, ad esse si applica la disciplina comune dettata per le società dal codice civile e dalle altre norme di diritto privato.

Le società in House, anche esse di diritto privato, invece sono disciplinate dall’art. 16 del D.lgs 175/2016, che ne detta i requisiti essenziali ovvero il primo requisito è strutturale e consiste nel controllo analogo che, come chiarito dalla Corte di Giustizia e dalla giurisprudenza interna sta ad indicare la possibilità della PA di definire gli obiettivi strategici e le decisioni del soggetto in house, potendo anche esercitare il potere di autorizzare o annullare gli atti di gestione più importanti. Quindi, in virtù di questo controllo analogo, tra la PA e la società in house vi è un rapporto di gerarchia e la società in house opera come una longa manus dell’Amministrazione, in pratica ha completo controllo sulla società in house, come se fosse un braccio della propria struttura. Il secondo requisito è funzionale e consiste nel fatto che tale società può svolgere esclusivamente le attività di cui all’art. 4 III co., del Dlgs n. 175/2016 , ovvero attività di produzione di un servizio di interesse generale, progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra Amministrazioni, autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente e servizi di committenza. Inoltre, almeno l’80% del fatturato deve essere svolto a favore dell’ente pubblico. Il terzo requisito è la totale partecipazione pubblica. Sul punto occorre rilevare che l’art. 16 del dlgs n.175/2016 sembra aver eliminato tale requisito atteso che stabilisce che le società in house con capitali privati possono essere ammesse solo in presenza di una norma di legge. Pertanto, senza un intervento legislativo deve escludersi la società in house con partecipazione di capitali privati.

Pertanto, nelle società in House c’è un rapporto molto stretto con la società controllante (PA) dove la finalità pubblica è esclusiva, mentre nelle società partecipate, che hanno sempre capitale sociale appartenente ad uno o più enti pubblici, il modello organizzativo è il risultato di un compromesso tra interessi pubblici e privati.

Secondo l’art. 19 del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica si precisa che salve le deroghe previste dallo stesso t.u., ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, e delle leggi sui rapporti di lavoro

subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente e dai contratti collettivi.

Pertanto come anche ribadito dai principi contenuti nel C.C. agli articoli 2093 e 2129 a norma dei quali le diposizioni relative al rapporto di lavoro nell’impresa si applicano anche agli enti pubblici, le criticità sorgono nella fase di reclutamento del personale.

Infatti, l’art 19 prevede dei limiti alle assunzioni, in capo alle società partecipate, da rispettare. Nella fattispecie, il primo è posto in capo alle pubbliche amministrazioni socie che sono tenute a fissare, con propri provvedimenti, obiettivi specifici, annuali e pluriennali, sul complesso delle spese di funzionamento, ivi comprese quelle per il personale, delle società controllate. Gli obiettivi devono essere elaborati e assegnati tenendo conto sia delle eventuali disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni stesse, divieti o limitazioni alle assunzioni, che del settore in cui la singola società interessata opera. Le società a controllo pubblico, pertanto, non sono libere di determinare autonomamente i propri livelli e obiettivi di spesa, ma devono sottostare alla programmazione effettuata, all’esterno degli organi sociali, dalle proprie amministrazioni socie. Il secondo prevede un’obbligazione di mezzi in capo alle società a controllo pubblico, che sono tenute a garantire “il perseguimento degli obiettivi” assegnati dalle pubbliche amministrazioni socie tramite propri provvedimenti da recepire, altresì, ove possibile, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, in sede di contrattazione di secondo livello. Il terzo impone alle società a controllo pubblico di stabilire, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità, e dei principi di cui all’art. 35, c. 3, del d.lgs. n. 165/2001.

Si tratta di una vera spinta pubblicistica rispetto al modello privatistico, facendo espresso riferimento all’art. 35, c. 3, del d.lgs. n. 165/2001 trasferisce sulle società a controllo pubblico un modello di reclutamento attuato dalle pubbliche amministrazioni.

Inoltre, il comma 4 dell’art. 19 dispone che salvo quanto previsto dall’art. 2126 del codice civile, i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure imposti dal c. 2 sono nulli. Ma aderendo ad un consolidato filone giurisprudenziale precisa che “resta ferma la giurisdizione ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale”.

Da ultimo con l’ordinanza n. 3768 del 07.02.2022, la Cassazione afferma che, nei confronti di società a totale partecipazione pubblica (in house), sussiste il divieto di assunzione (o “conversione” di contratti di lavoro a termine nulli) senza l’esperimento di apposite procedure concorsuali.

Oltre ai limiti sulle assunzione il T.U. all’art.11 prevede ulteriori deroghe alla disciplina privatistica dell’art.19, incidendo significativamente sul rapporto di lavoro dei dipendenti delle società in controllo pubblico e, nello specifico, sull’autonomia negoziale privata in materia retributiva stabilendo che il trattamento economico dei dirigenti e dei dipendenti di tali società sia fissato – mediante decreto del Ministero dell’economia e delle finanze – in ragione dei limiti determinati per fasce di classificazione delle società, entro quello massimo di 240.000,00 euro; i dipendenti delle società controllanti che siano nominati amministratori di società controllate, “in virtù del principio di onnicomprensività della retribuzione, fatto salvo il diritto alla copertura assicurativa e al rimborso delle spese documentate” hanno l’obbligo di riversare alla società di appartenenza i compensi percepiti per la carica amministrativa (c. 8); coloro che hanno un rapporto di lavoro con società a controllo pubblico e che sono al tempo stesso componenti degli organi di amministrazione della società con cui è instaurato il rapporto di lavoro, sono collocati in aspettativa non retribuita e con sospensione della loro iscrizione ai competenti istituti di previdenza e di assistenza, salvo che rinuncino ai compensi dovuti a qualunque titolo agli amministratori (c. 12); è fatto divieto di corrispondere, ai dirigenti delle società a controllo pubblico, indennità o trattamenti di fine

mandato diversi o ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva ovvero di stipulare patti o accordi di non concorrenza, anche ai sensi dell’art. 2125 c.c. (c. 10).

Quando una società in house subentra, nell’affidamento di un servizio pubblico, ad un privato potrebbero riscontrarsi problematiche inerenti all’assunzione del personale.

Tale disposizione prevede per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto.

L’obbligo di inserimento della clausola sociale prevede che la società subentrante assuma il personale già in forza nell’impresa cessante.

In riferimento alla normativa preferenziale da applicare ovvero clausola sociale o 2° e 5° comma dell’art.19 del T.U. si è espressa la giurisprudenza affermando che “il ricorso alle clausole sociali non può essere usato come strumento per eludere il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica previsti in materia di assunzioni da parte delle società a partecipazione pubblica, che trova diretto fondamento nell’art. 97 della Costituzione.” (Corte dei conti Liguria n. 14/2019); in caso di affidamento in house di un servizio pubblico locale in precedenza svolto da una società privata (aggiudicataria di precedente gara pubblica), la società affidataria non può assumere direttamente il personale “ma deve procedervi previa definizione, nel regolamento interno, di criteri e modalità (aventi eventualmente fonte nel contratto collettivo nazionale di riferimento) che garantiscano, come imposto all’amministrazione pubblica socia, imparzialità e trasparenza nell’individuazione dei lavoratori da assumere”(Corte dei Conti Lombardia con sentenza n. 184/2017).

Il Consiglio di Stato invece non individua contrasti tra l’applicazione della clausola sociale (laddove esistente) ed i principi in materia di reclutamento del personale nelle società a partecipazione pubblica, posto che ha affermato che questi ultimi non vengono violati qualora si proceda con l’assunzione “a tempo indeterminato dei dipendenti in servizio presso il gestore uscente in asserita applicazione della c.d. clausola sociale […] se l’assunzione avviene per la durata del servizio svolto dalla società in house e questo anche se il rapporto sia stato definito a tempo indeterminato in quanto l’apposizione di un termine definitivo di risoluzione del rapporto fuga qualsiasi dubbio di assunzione a tempo indeterminato” (Consiglio di Stato, sez. V, 11.12.2018 n.5853).

È illegittima la previsione del contratto individuale, sulla base del principio in forza del quale “se è vero che il legislatore – da ultimo, con il citato t.u. in materia di società a partecipazione pubblica – ha inteso affidare a principi e istituti di diritto privato la regolamentazione dei rapporti di lavoro con i dipendenti delle partecipate, è altrettanto vero che la presenza pubblica continua a condizionare e valorizzare le esigenze di tutela delle finanze collettive, attraverso l’avallo di principi preesistenti a presidio dei quali sono dettate norme di carattere imperativo, immediatamente cogenti. Non può consentirsi, infatti, neppure nel caso si tratti di società partecipate, che la forma privata della regolamentazione del rapporto di lavoro travalichi principi a tutela del contenimento della spesa per la corretta gestione delle casse pubbliche, se non – in ipotesi – nei casi espressamente previsti da leggi o fonti comunque generali”. (Tribunale di Grosseto, sez. Lavoro, con sentenza 16.09.2020 n.137).

Con l’ordinanza n. 3768 del 07.02.2022, la Cassazione afferma che, nei confronti di società a totale partecipazione pubblica (in house), sussiste il divieto di assunzione (o “conversione” di contratti di lavoro a termine nulli) senza l’esperimento di apposite procedure concorsuali.

Il criterio preminente è dunque che le società partecipate da amministrazioni pubbliche devono, in ogni caso, agire in conformità con il disposto dell’art. 19 del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. n. 175/2016) procedendo a selezioni pubbliche di personale, mediante l’adozione di un regolamento interno, come richiesto dalla giurisprudenza contabile, contenente criteri e modalità (aventi eventualmente fonte nel Contratto Collettivo Nazionale di riferimento) che garantiscano, come imposto all’amministrazione pubblica socia, imparzialità e trasparenza nell’individuazione dei lavoratori da assumere.

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares