“Se non fosse andata in giro vestita così.”

Quante volte si è alzata implacabile la condanna morale confusa nel vociare sommesso del popolo. Il femminicidio, non è un omicidio normale: le donne uccise dagli uomini sono vittime due volte. Prima dei mariti, dei compagni, dei fidanzati di chi, insomma, le elimina fisicamente. Poi di coloro che, a diversi livelli, riportano e raccontano questi reati. La gente ed i giornali riducono le vittime a corpi straziati, mentre indugiano sulle motivazioni dei carnefici. Lo dimostrano i titoli dei quotidiani: “Ha ucciso perché lo aveva lasciato”. “Ammazza la fidanzata in un raptus di gelosia”. “Respinto, spara alla ex”. “Si era rifatta una vita, doveva pagare”. Per non parlare di stupratori improvvisati e seviziatori per caso di giovani e anziane e molte volte anche di bambine.

Perché fondamentalmente non occorre essere musulmano, ne estremista, ne avere un colore particolare della pelle per essere cresciuto in una cultura misogina e maschio centrica che fin da piccole, emargina le donne relegandole a ruoli subalterni anche nel mondo del lavoro, spingendole a credere di non essere abbastanza e di doversi in qualche modo adattare alle esigenze maschili: in casa, nella vita privata, nel sesso.

Una donna spesso è vittima di violenza psicologica prima che di violenza fisica e si sente sola. Si rassegna a vivere in quella condizione, anzi prova vergogna, ha paura di ritorsioni per sé stessa e in molti casi anche per i propri figli. Arriva a credersi colpevole, teme di non essere creduta. Quindi non basta applicare la legge, è necessario sempre assicurare alla vittima l’accoglienza, le necessarie informazioni e il dovuto sostegno, necessari ad uscire dalla condizione di soggezione ed isolamento.

Le rilevazioni diffuse dalla polizia parlano di 32 casi nei primi nove mesi del 2018, anche se sono almeno 120 i casi ogni anno. La violenza di genere è, in assoluto, la prima causa di morte violenta per il gentil sesso. Non è vero dunque che siano calati i reati, bensì, cosa gravissima, solo le segnalazioni alle forze dell’ordine.

Purtroppo sono ancora molti gli appartenenti al cosiddetto sesso forte che considerano la moglie, la compagna, l’amica, la donna incontrata casualmente, non un essere umano avente pari dignità e pari diritti, ma evidentemente un oggetto di cui si diventa proprietari. E se la proprietà viene negata, o se un altro maschio si avvicina all’oggetto che si ritiene essere proprio, scatta la cieca violenza. Il maschio alfa spesso si riduce a questo.

Nel 2019 sono già 13 quelle che hanno perso la vita, nell’80% dei casi, vittime di una persona che conoscevano. Da questa casistica sono escluse le più fortunate: violentate, sfigurate, vittime di crudeltà mentale. Ma ancora vive. A loro ed alle altre è affidato l’incarico di sensibilizzare, proteggere anche solo virtualmente e informare, raccontando atroci realtà, le generazioni future. E magari anche quello di coniare un termine nuovo a metà tra donna e femmina che, simboleggi e rappresenti una nuova speranza di rinascita per chi ha combattuto, combatte e combatterà contro una mentalità retrograda che ancora spaventa e limita l’altra parte del cielo.

Affinché tutti arrivi l’urlo silenzioso e disperato di Pamela giovane donna di Macerata violentata e fatta a pezzi ancora viva.

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