LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA IN CASO DI MOLESTIE DEL CAPO UFFICIO

È legittimo il licenziamento del dirigente che rivolgere apprezzamenti molesti alle colleghe. Una simile condotta realizza una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario, in quanto, oltre ad essere lesiva della dignità altrui, compromette l’organizzazione del lavoro all’interno dell’ufficio, in ragione del comprensibile turbamento delle relazioni gerarchiche, e dimostra che la figura apicale non sa correttamente relazionarsi con i sottoposti, il che fa venire meno, in capo al Datore, quel sereno affidamento circa la corretta esecuzione dei compiti affidatigli.

Dalla lettura della ordinanza n. 27363/2023 della Corte di cassazione (Sez. L), emerge che è legittimo il licenziamento del dirigente che molesta le colleghe rivolgendo loro apprezzamenti a sfondo sessuale. La condotta suddetta realizza una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario, in quanto, oltre ad essere lesiva della dignità altrui, compromette l’organizzazione del lavoro all’interno dell’ufficio, in ragione del comprensibile turbamento delle relazioni gerarchiche, e dimostra che la figura apicale non sa correttamente relazionarsi con i sottoposti, il che fa venire meno, in capo al Datore, quel sereno affidamento circa la corretta esecuzione dei compiti affidatigli.

In linea generale, per giustificare il licenziamento disciplinare del lavoratore dipendente, i fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario.

Come chiarito più volte dalla giurisprudenza di legittimità, la valutazione sul punto deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti. Nella fattispecie, in base alla natura e alla qualità del singolo rapporto; alla posizione delle parti; al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente; al nocumento eventualmente arrecato; alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi; ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo.

Ebbene, nella vicenda processuale in esame – avente oggetto il licenziamento inflitto da una Fondazione teatrale a un proprio dipendente, svolgente la mansione di Capo del personale – gli elementi sopra elencati sono stati tutti presi adeguatamente in considerazione dal Giudice di merito, ai fini dell’accertamento della rilevanza disciplinare dei seguenti due episodi: 1. L’incolpato ha dato una pacca sul sedere a una collega; 2. Il medesimo, a un’altra collega, intenta a fare delle fotocopie girata di spalle, ha detto che, «data l’età», «aveva un bel sedere e l’ha invitata a girarsi in modo tale da mostrarlo anche al sig. (omissis)”, altro dipendente, “affinché anche lui potesse fare i propri apprezzamenti».

A fronte degli episodi suddetti, la Corte d’Appello di Palermo ha riscontrato la giusta causa di recesso, in ragione sia della irrimediabile lesione del vincolo fiduciario sia dell’obiettivo disvalore sociale dei fatti addebitati, anche se non abituali e reiterati. Ebbene, il verdetto del Collegio territoriale è stato avallato dai magistrati di Roma.

Violazione del Codice Etico e lesione dell’elemento fiduciario del rapporto Gli Ermellini, nel respingere il ricorso per cassazione del lavoratore incolpato, hanno rilevato come la Corte distrettuale abbia ritenuto i fatti certamente contrari al Codice Etico, tanto più se si considera che il ricorrente, in qualità di Capo Ufficio del personale, aveva l’obbligo espresso di adoperarsi per il mantenimento di un clima interno rispettoso della dignità e della personalità individuale dei dipendenti/collaboratori.

La Corte di merito ha anche evidenziato che il ricorrente, quale Responsabile della Prevenzione e Corruzione e Responsabile della Trasparenza, rivestiva un ruolo di garanzia specifica in relazione alla concreta ed effettiva applicazione delle norme e dei principi di cui al Codice Etico.

Da quanto sopra derivava una specifica attività di segnalazione, che proprio il Responsabile

della prevenzione e corruzione ha disatteso, «con esternazioni sulla “sculacciata” appena data, ovvero sul “bel sedere giovanile”, di donne-lavoratrici a lui sottoposte, commentandole, proprio come i militari di una “camerata”, con altri dipendenti, ed invitando costoro ad esprimere, a loro volta, i loro apprezzamenti”».

Dalla gravità della condotta appena descritta, è derivato, tra l’altro, un nocumento all’organizzazione lavorativa della Fondazione direttamente riconducibile al ricorrente. In proposito, la Corte di merito, nella sentenza impugnata, ha osservato che: «Tale irrimediabile lesione del vincolo fiduciario è consequenziale anche ed in specie al peculiare ruolo di Capo del personale rivestito dal F., ed alle connesse responsabilità, e dal venir meno di quel sereno affidamento circa la corretta esecuzione dei compiti affidatigli, in ragione dell’atteggiamento irrispettoso manifestato verso le lavoratrici e dell’ambiente professionale del teatro in cui tale figura apicale deve sapere correttamente relazionarsi con le dipendenti siano esse amministrative (come la D.) o appartenenti all’area artistica (come la R.)», soggiungendo che: «Le condotte censurate hanno, poi, compromesso l’organizzazione del lavoro all’interno della Fondazione anche in ragione del comprensibile turbamento delle relazioni gerarchiche che il F., sovraordinato, doveva intrattenere con gli altri dipendenti».

Alla stregua di tutto quanto sopra esposto, la Sezione lavoro della Corte di cassazione ha ritenuto corretta, sia sotto il profilo giuridico che motivazionale, la decisione impugnata, che, tenuto conto della posizione delle parti, del grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, del nocumento arrecato all’organizzazione del lavoro e alla ricorrenza dell’elemento intenzionale, ha giustamente reputato i fatti indicati nella lettera di licenziamento come rilevanti sotto il profilo della lesione del vincolo fiduciario e, comunque, connotati da obiettivo disvalore sociale.

La Corte di legittimità, in conclusione, ha respinto il ricorso e, per l’effetto, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, in favore della controricorrente.

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