CONCORDATO FALLIMENTARE E CARM DOWN

È molto controversa la questione se il cram down, espressamente previsto per il caso del concordato preventivo, sia applicabile o meno, in via analogica, anche alle fattispecie di concordato fallimentare, laddove pervenga una dichiarazione di dissenso da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Di seguito una ricostruzione della fattispecie, con possibili linee interpretative.

La Legge 27 novembre 2020, n. 159, che ha convertito il Decreto Legge 7 ottobre 2020, n. 125, ha introdotto importanti novità alla legge fallimentare, anticipando, attraverso le modifiche apportate agli articoli 180, 182 bis e 182 ter, L. fall., l’entrata in vigore delle disposizioni relative alla transazione fiscale e contributiva previste dall’art. 48, comma 5, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Dlgs. 12 gennaio 2019, n. 14).

In tale contesto, il nuovo cram down fiscale e contributivo mira a superare la possibile inerzia del creditore istituzionale, che può costituire un ostacolo a soluzioni alternative alla liquidazione, quand’anche più convenienti per i crediti pubblici.

Con riferimento al concordato preventivo, il comma quarto dell’art. 180, L. fall., come novellato dal D.L. 125/2020, attribuisce al Tribunale il potere di omologare il concordato preventivo anche “in mancanza di voto” da parte dell’Amministrazione finanziaria o degli enti previdenziali e assistenziali quando l’adesione da parte dei predetti enti è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 L. fall., e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’attestatore, la proposta di soddisfacimento del Fisco e/o degli enti previdenziali è (più) conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

Analogamente, per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione, al comma quarto dell’art. 182 bis, L. fall., è stata poi inserita la possibilità per il Tribunale di omologare l’accordo “in mancanza di adesione” dell’Erario e degli enti di previdenza obbligatoria quando la predetta adesione sia decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale del 60% dei creditori aderenti, richiesta dal primo comma del medesimo art. 182 bis ai fini della conclusione degli accordi.

Infine, il legislatore è nuovamente intervenuto sul tema, laddove, con il Decreto Legge n. 118 del 24 agosto 2021 ha previsto, all’art. 20, comma 1, lett. a), che le parole “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto” siano sostituite con “il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione”.

Tale intervento legislativo ha posto fine al dibattito circa l’applicazione del nuovo istituto soltanto in caso di mancanza di voto, ovvero anche in caso di diniego espresso da parte del creditore pubblico, derivante dalla differente formulazione della norma prevista per il concordato preventivo (“mancanza di voto”) rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti (“mancanza di adesione”).

Questo non preclude comunque ai creditori istituzionali l’esercizio dell’opposizione al decreto di omologazione laddove ritengano che la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria non sia stata adeguatamente valutata dall’attestatore o dal Tribunale.

Superati i dubbi sull’applicabilità dell’istituto nell’ambito del concordato preventivo anche in caso di voto espresso negativo, si stanno però registrando anche alcuni casi di richiesta di applicazione analogica dello stesso istituto anche al concordato fallimentare.

Il tema è dunque questo ovvero laddove pervenga una dichiarazione di dissenso alla proposta di concordato fallimentare da parte dell’Amministrazione finanziaria, è applicabile o meno, “in via analogica – estensiva”, il cram down nella computazione dei voti?

A parere di chi scrive, va in tal caso affermata un’applicazione restrittiva, sulla constatazione dell’assenza di modifiche da parte del legislatore all’art. 128, L. fall. che disciplina il concordato fallimentare, con la conseguenza che il voto negativo espresso dall’Amministrazione Finanziaria non può essere disatteso o comunque superato in sede di computo delle maggioranze da parte del Tribunale.

Tale lettura è del resto coerente con la ratio della novella di agevolare la tempestiva gestione delle crisi d’impresa nell’ottica di favorire la conservazione dei presidi produttivi e la salvaguardia dei livelli occupazionali. Finalità, queste ultime, evidentemente non più conseguibili nel concordato fallimentare.

Il legislatore, come visto, non ha del resto esplicitamente previsto una analoga disciplina come per il concordato preventivo per la procedura di concordato fallimentare.

Infatti, l’art. 128, L. fall., non è stato oggetto di modifiche da parte del Dl. 125/2020. Ne dovrebbe quindi conseguire l’impossibilità di una interpretazione, in via estensiva o analogica, delle modifiche apportate dal predetto Decreto-legge alla procedura di concordato fallimentare (in senso conforme si richiama la sentenza del Tribunale di Bari del 18 gennaio 2021).

La natura eccezionale della norma (non suscettibile quindi di interpretazione analogica/estensiva) sembra del resto dimostrata anche dalla collocazione delle disposizioni introdotte dal Dl. n. 125/2020, posizionate nel raccordo della emergenza pandemica.

Il potere di opposizione dell’Agenzia delle Entrate risponde peraltro (ancor più in tali casi) ad inderogabili esigenze costituzionali, quali quelle di cui all’art. 3 e 53 Cost, ed è conforme al buon funzionamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), laddove il concetto di “convenienza” della proposta deve comunque anche tenere conto delle esigenze complessive di tutela del credito erariale.

D’altra parte, il procedimento analogico può intervenire solo quando si accede al piano del completamento delle norme e dell’ordinamento, in presenza di lacune, di fattispecie cioè non disciplinate da alcuna norma, che richiedono, da parte dell’interprete, la creazione del diritto per colmarle.

Lacune nella fattispecie non presenti ed anzi espressamente escluse dal Legislatore.

Al concordato fallimentare non sembra dunque applicabile, per analogia, l’art. 3, comma 1 bis e 1 ter, del D.L. 125/2020, dettato (e disciplinato espressamente) in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione del debito.

Le fattispecie sono del resto tra loro sicuramente diverse.

La disciplina è indubbiamente differente nella parte in cui, nel concordato fallimentare, non è prevista la obbligatoria costituzione di una classe ad hoc per i crediti tributari degradati a chirografo, al contrario di quanto disposto dall’art. 182 ter comma 1 ultimo periodo L.F.; e nella parte in cui vige il principio del silenzio-assenso, laddove il concordato preventivo si regge sull’opposto principio del silenzio-rifiuto.

Che l’analogia tra le due discipline non sia ammissibile sembra infine confermato anche dal coordinamento con la disciplina comunitaria, laddove il maggior favor previsto per le ipotesi di concordato preventivo, come visto, risponde alla ratio di garantire che le imprese redditizie e gli imprenditori che si trovano in difficoltà finanziarie abbiano accesso a quadri nazionali efficaci di ristrutturazione preventiva, tali da consentire loro di continuare ad operare, ottenendo cioè una “seconda possibilità”, cosa evidentemente esclusa nel caso del concordato fallimentare (cfr., Direttiva 1023/2019).

In conclusione, giova comunque evidenziare che un’interpretazione estensiva dell’applicazione del cram down, secondo alcune pronunce di merito, non determinerebbe, invece, alcun contrasto con la direttiva 1023/2019 (cfr., Trib. di Teramo del 19 aprile 2021, e Trib. di Pescara del 27 maggio 2021).

In senso opposto, si potrebbe però anche sostenere che l’estensione del cram down non è compatibile con i principi, anche costituzionali, di separazione dei poteri (cfr., Tribunale di Bari del 18 gennaio 2021).

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