Un cold case dal 1497: l’assassinio di Juan Borgia

Imbattersi in un cadavere nella Roma rinascimentale non era certamente un evento raro. Il Tevere, in particolare, era diventato tristemente dimora dei molti che furono brutalmente uccisi e poi gettati, nottetempo, nel fiume, nella speranza che le sue correnti cancellassero la prova di quel delitto. Molti degli assassini di questi uomini e queste donne non vennero mai processati e in molti casi nemmeno troppo attivamente ricercati: se a scomparire era una delle circa 7000 prostitute attive nella Roma clericale, infatti, nessuno si preoccupava di farle giustizia.

Il 14 giugno del 1497, però, a sparire fu il figlio del papa Alessandro VI: Juan Borgia, duca di Gandia, Gonfaloniere e Capitano Generale di Santa Romana Chiesa e anche, da appena una settimana, duca di Benevento, titolo creato appositamente per lui dal padre e motivo recente di scandalo, dato soprattutto dalla giovane età – aveva circa 21 anni – del novello duca.

Quel pomeriggio il duca aveva cenato a casa della madre Vannozza Cattanei insieme a suo fratello, il famigerato Cesare Borgia che però, a questa altezza cronologica, era ancora un cardinale, e ad un altro cardinale, cugino e omonimo della vittima, Juan Borgia, personaggio vicinissimo al papa e suo importante sostegno in Curia.

Finita la cena erano tornati verso il Vaticano e all’altezza di Ponte S. Angelo si erano divisi: Juan aveva infatti detto al fratello e al cugino di doversi recare da solo da qualche parte; i due cardinali lo avevano esortato a non andare da solo – Roma, come detto, era una città pericolosa, specialmente di sera e specialmente per qualcuno che, visibilmente ricco come Juan, poteva rappresentare il bersaglio per una rapina o che, come era il caso del giovane duca, aveva una lunga serie di nemici potenziali o dichiarati.

Juan, per tranquillizzarli, aveva mandato un suo stalliere a recuperare la sua armatura leggera in Vaticano; lo avrebbe atteso in Piazza Giudea, verso la quale si dirige, subito raggiunto e affiancato da un uomo vestito di un mantello scuro: i due si allontanano insieme.

Cesare e il cardinale Juan restano per un po’ ad attenderlo nei pressi del Ponte, poi si ritirano in Vaticano. La mattina successiva ci si accorge che Juan, invece, non ha fatto ritorno; nessuno, però, sembra dare troppo peso alla faccenda, né suo fratello né suo cugino e nemmeno suo padre si allarmano: capitava spesso che il duca di Gandia passasse tutta la notte fuori casa, generalmente in compagnia femminile, dunque non c’era alcun motivo di preoccuparsi.

Le ore passano, però, e Juan non torna in Vaticano. Il papa convoca suo figlio e suo nipote, loro gli raccontano cosa era successo la sera precedente; viene anche ascoltato lo stalliere, che riferisce di essere stato aggredito nel tragitto per andare a prendere l’armatura ma, stando ai resoconti, si era comunque recato all’appuntamento con il duca e, non vedendolo arrivare, anche lui aveva concluso che fosse in ottima compagnia, ed era rientrato in Vaticano.

Alessandro VI dà avvio alle ricerche. A Roma, ben sapendo che l’ira del papa sarebbe stata proporzionale all’amore che nutriva per il figlio, che lui stesso definiva il suo favorito, si genera il panico: molti commercianti chiudono le loro botteghe e molti nobili, compresi gli Orsini, i

Colonna e i Caetani, fortificano i loro palazzi. Il papa non mangia e non beve, piange lungamente nelle sue stanze e solo a pochi concede, con riluttanza, di entrare.

Per due giorni le ricerche non portano a nulla. È la testimonianza di un commerciante di legname a dare un indizio su dove concentrare le ricerche: aveva visto infatti cinque uomini, uno dei quali a cavallo, scaricare un cadavere. Alla domanda sul perché non avesse riportato prima l’accaduto aveva risposto che centinaia di volte gli era capitato di assistere a scene simili – aveva infatti l’abitudine di controllare il punto, sulla riva al Tevere, nel quale aveva scaricato la sua merce – ed era la prima volta che qualcuno faceva domande su uno di quei cadaveri.

Infatti le ricerche, a questo punto concentrate sul fiume, riportano alla luce prima il corpo di un uomo, uno sconosciuto. Poi viene ripescato un giovane di bell’aspetto, vestito riccamente, con i guanti addosso, la borsa ancora appesa alla cintura e ancora contenente ben 30 ducati; era stato pugnalato nove volte, e non si era trattato di una rapina.

Il figlio prediletto del papa viene sepolto con tutti gli onori nella chiesa di S. Maria del Popolo; in un concistoro pubblico Alessandro VI dichiara che avrebbe rinunciato alla tiara papale e a qualsiasi dominio territoriale, pur di riaverlo indietro. Si aprono le indagini e i sospettati, personaggi di primissimo rilievo, vengono tutti scagionati nell’arco di una settimana.

Prima ancora delle serie tv sui sempre mal rappresentati Borgia ci pensò la Roma contemporanea a produrre l’ipotesi, quanto meno ardita, che ad ucciderlo fosse stato suo fratello: secondo queste voci il futuro Valentino sarebbe stato invidioso di volta in volta dell’affetto paterno, della carriera militare e laica toccata in sorte al fratello e non a lui (l’unico movente plausibile, se si vuole Cesare colpevole), oppure – come dimenticare l’ipotesi più fantasiosa – perché geloso dell’amata sorella la quale, doppiamente incestuosa, gli avrebbe comunque preferito Juan. Sebbene tutto ciò si presti splendidamente a copioni shakespeariani, la Storia non fu quella che autori successivi, prevalentemente ottocenteschi, cementificarono nell’immaginario collettivo, quella dei Borgia incestuosi e spietati avvelenatori: Lucrezia e Cesare non furono mai amanti; il veleno per loro fu, sì, un’arma, ma non in misura maggiore di quanto non fosse comune all’epoca; il Valentino sarà spietato nei confronti dei suoi nemici, ma non abbastanza, probabilmente, per classificarlo come fratricida.

La velocità con la quale le indagini furono dismesse fecero pensare che i Borgia avessero individuato il colpevole e che appena se ne fosse presentata l’occasione avrebbero – come poi accadrà – messo in atto la loro vendetta.

Dunque, chi fu l’assassino?

Ad uccidere Juan furono, molto probabilmente, gli Orsini, le cui ostilità con i Borgia si erano intensificate proprio nell’anno precedente: in qualità di capo militare dell’esercito pontificio Juan si era scontrato proprio con loro, i quali non soltanto lo avevano sconfitto, ma, nel corso dell’assedio della rocca di Bracciano, erano riusciti persino a ferirlo. L’idea del papa era di conquistare i territori degli Orsini e conferirli a suo figlio il duca di Gandia; purtroppo per Alessandro VI, però, Juan non era un grande condottiero e gli Orsini non erano inclini ad arrendersi. Per costringerli alla resa il papa aveva fatto imprigionare a Castel dell’Ovo, a Napoli,

Virginio Orsini, eccellente comandante militare al soldo dei francesi, il quale però si era rifiutato di ordinare ai suoi familiari di cedere all’esercito pontificio.

Il 13 gennaio del 1497, cinque mesi prima dell’omicidio di Juan, Virginio Orsini era morto improvvisamente. Come? Avvelenato, secondo molti, dal nuovo re di Napoli, Federico I (nel cui regno Orsini stava scontando la sua prigionia e mettendo in atto la sua resistenza), alleato del papa Alessandro VI; circa una settimana prima che Juan venisse ucciso il papa aveva incaricato l’altro suo figlio, l’ancora per poco cardinale Cesare, dell’incoronazione – un atto di riconoscimento ufficiale, garanzia di legittimità del sovrano che la riceveva – di questo nuovo e collaborativo re di Napoli.

Alessandro VI aveva colpito al cuore la casata degli Orsini, dunque gli Orsini, perfettamente in linea con le violente logiche della faida, decisero di mirare al cuore del pontefice, al centro del quale, per sua stessa ammissione, era l’amato figlio Juan.

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