Santa Maria Antiqua: l’alba di una nuova pittura romana

Nel 1899 l’archeologo veneziano Giacomo Boni è in cerca di un antico edificio di culto situato all’interno del Foro Romano: lo trova al di sotto della chiesa di Santa Maria Liberatrice, che prontamente viene demolita per far spazio alle ricerche.

Il terreno, liberato, può finalmente restituire tutte le fasi costruttive che lo hanno interessato, dall’impluvium dell’età di Caligola alle pareti affrescate che restituiscono una preziosa testimonianza della pittura della Roma altomedievale, che tra VII e VIII secolo si è materialmente sovrapposta a quella tardoantica, allo stesso modo con il quale la nuova classe dirigente, i nuovi culti e le nuove condizioni politiche e sociali avevano ormai completamente sostituito le decadute istituzioni imperiali.

È questo il momento in cui anche il centro di Roma, un tempo fulcro istituzionale e operativo della città repubblicana, agglomerato di simboli pubblici del medesimo popolo che avrebbe poi conquistato, costruito, governato ampia parte del mondo mediterraneo, quello spazio affollato che ospitava il Senato, il fuoco delle Vestali, il Tabularium (l’archivio pubblico), l’Erario, aveva mutato pelle: anch’esso, come la città, era divenuto cristiano.

L’edificio ha subito nel corso dei secoli una lenta trasformazione architettonica, ma le tracce più visibili del periodico rinnovamento della chiesa sono le numerose pitture parietali che si dipanano tra navate, cappelle e aule, talvolta sovrapponendosi in un conglomerato artistico di strati di intonaco e pennelli diversi, per un totale di circa otto fasi decorative.

La trasformazione in edificio di culto cristiano avvenne nel VI secolo, alla metà del quale pertiene il primo degli strati altomedievali – il secondo rispetto ad uno ancora antico – della cosiddetta parete del palinsesto.

Il termine palinsesto fa riferimento ad un’operazione tipica degli scriptoria di epoca medievale: si trattava infatti di un manoscritto dalle cui pagine era stato raschiato il contenuto originario in modo tale da ottenere una pagina (quasi) pulita sulla quale fosse possibile copiare un testo diverso; la procedura permetteva di risparmiare pergamena, materiale scrittorio raro e costoso, e di aggiornare il catalogo delle opere consultabili nella biblioteca di un monastero sovrapponendo ad un testo ritenuto non più utile – o per lo meno non indispensabile – uno più interessante, recente o semplicemente più rispondente ai gusti del tempo.

Il primo dei quattro strati di questo palinsesto murario, quello datato alla metà del VI secolo, raffigura la Vergine in trono con il Bambino e un angelo, in quella che è la classica iconografia della Maria Regina, frequentissima nell’arte bizantina; di ascendenza bizantina sono del resto anche la ricchezza delle vesti, il trono gemmato sul quale siede regalmente la Vergine e la posizione frontale comune sia alle raffigurazioni delle divinità che ai ritratti dei membri della famiglia imperiale.

Nella prima metà del VII secolo a quest’immagine ne venne sovrapposta un’altra, della quale non rimangono che parte del volto della Vergine e il viso quasi completo di un arcangelo (noto come Angelo Bello) i quali, come del resto fa intendere anche il maggiore apprezzamento estetico da parte del pubblico nei confronti di queste due figure, sono testimonianze della persistenza – o riemersione – anche a Roma della tradizione pittorica ellenistica, alla quale sono riconducibili la gamma cromatica, le sfumature lievi interrotte da tratti decisi che definiscono, marcandole, luci e ombre, nonché la morbidezza plastica degli incarnati, ricoperti da vesti delicatamente ombreggiate.

Ad uno strato superiore pertiene un altro volto, circondato da un nimbo dorato, nel quale si è riconosciuto il Padre della Chiesa Gregorio Nazianzeno.

Ma la parete del palinsesto non è l’unica né la più estesa delle testimonianze pittoriche medievali custodite in Santa Maria Antiqua.

Gli interventi decorativi più estesi sono riconducibili alla committenza di due papi: Martino I e Giovanni VII. All’epoca di quest’ultimo risale, tra le molte cose, la decorazione dell’arco absidale e della cappella situata a destra del presbiterio e dedicata ai Santi Medici Cosma e Damiano, santi anargiri che secondo la tradizione offrivano cure ai fedeli senza richiedere loro nessun compenso.

La cappella a sinistra, invece, databile alla seconda metà dell’VIII secolo, risale al pontificato di Zaccaria: accanto alle storie dei santi Quirico e Giulitta (particolarmente dinamica è la raffigurazione del loro martirio) e all’imponente Crocifissione ricca di particolari di matrice orientale (ulteriore testimonianza del collegamento tra questa chiesa e il versante bizantino del mondo romano) troviamo anche – nell’ambito di una Maria Regina (e santi) conservatasi solo a metà – il ritratto del committente, Teodoto, e dei suoi familiari.

La navata sinistra presenta un’imponente teoria di santi greci e latini, culminante al centro nel Cristo in trono, che regge il Vangelo con la mano sinistra mentre con la destra benedice i fedeli. Al di sopra di questo consesso assiso scorrono affreschi che narrano, mettendole in figura, le storie dell’Antico Testamento.

In una nicchia la Vergine, Sant’Anna e Santa Elisabetta stringono tra le braccia i loro figli.

La cristianizzazione di questa porzione di Foro riguardò anche la sala d’ingresso alla Rampa di Domiziano, che anticamente conduceva alla residenza imperiale. Come avvenne a molte altre aule a pianta quadrangolare, anch’essa venne riconvertita in Oratorio, la cui dedica ai Quaranta Martiri – celebrata dagli ampi affreschi che ornano l’abside, databili all’VIII secolo – ricordava i soldati cristiani condannati a morire in un lago ghiacciato durante le persecuzioni ordinate da Diocleziano.

Il pavimento, anch’esso di epoca medievale, contribuisce, assieme alle altre decorazioni parietali, a dare un’idea suggestiva, sebbene purtroppo non completa, della religiosità altomedievale, del risveglio artistico di Roma e dell’alba di una produzione pittorica che avrebbe caratterizzato la città per i secoli avvenire.

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