OLAV CHRISTOPHER JENSSEN L’Astrup Fearnley presenta uno dei protagonisti della sua collezione

Dal 3 maggio al 15 settembre 2019, l’Astrup Fearnley Museum di Oslo ospita la mostra Olav Christopher Jenssen – Works from the Astrup Fearnley Collection, a cura di Gunnar B. Kvaran. L’Astrup Fearnley Museum è un museo d’arte moderna e contemporanea privato, situato nella capitale norvegese, all’interno di un edificio progettato da Renzo Piano. Fondato e aperto al pubblico nel 1993, organizza ogni anno diverse mostre temporanee e collabora con istituzioni internazionali alla produzione di rassegne itineranti. Il museo presenta, inoltre, una ricca collezione permanente, in gran parte costituita di arte americana degli anni ’80, ma sempre più aperta alle novità offerte dal panorama artistico globale, che comprende opere di Cindy Sherman, Jeff Koons, Cai Guo-Qiang, Damien Hirst, Olafur Eliasson e, appunto, Olav Christopher Jenssen.

Olav Christopher Jenssen è nato nel 1954 a Sortland, un piccolo comune della contea di Nordland, in Norvegia. Attivo oggi fra Berlino e Lya (Svezia), si è formato presso l’Accademia Nazionale delle Arti di Oslo (1976-’79), per poi perfezionare gli studi all’estero, fra New York (1981-’82) e Berlino (1982-’83). Rientrato in Norvegia, dove già a partire dal ’79 aveva incominciato a esporre i primi lavori, dalla seconda metà degli anni ’80, si è fatto conoscere e apprezzare nel resto d’Europa e, dopo aver partecipato come primo artista norvegese alla IX edizione della rassegna internazionale Dokumenta di Kassel (1992), negli Stati Uniti. Una volta appresi i segreti del mestiere, Jenssen si è impegnato anche a trasmetterli, insegnando pittura presso le Accademie di Belle Arti tedesche di Amburgo (1996-2006) e di Braunschweig (dal 2007).

In quarant’anni di carriera gli sono stati conferiti numerosi riconoscimenti, come il premio dell’Unione di Arte Norvegese e Antiquariato (1983), la medaglia reale “Prins Eugen”, per gli eccezionali risultati ottenuti in ambito artistico (1998), e i premi “Willy Brandt”, per il contributo alle relazioni fra Germania e Norvegia (2001), “Henrik Steffens”, per le arti, la pianificazione urbana, il paesaggio, il folklore e le discipline umanistiche (2002), e “Iserlohner”, per la pittura (2005). Le sue opere figurano nelle collezioni permanenti di molti prestigiosi musei e gallerie di tutto il mondo, tra cui il Nasjonalmuseet for kunst, arkitektur, design, la Nasjonalgalleriet e l’Astrup Fearnley Museet for Moderne Kunst di Oslo, il Moderna Museet di Stoccolma, il Kupferstichkabinett (Galleria di incisioni) di Berlino, lo Staatliches Museen di Kassel, il Centre Georges Pompidou di Parigi, il British Museum di Londra e il Museum of Modern Art di New York.

Dall’inizio degli anni ’80, Jenssen ha sviluppato un linguaggio espressionista astratto che gli ha permesso di esplorare una vasta gamma di possibilità formali e cromatiche, in grandi dipinti caratterizzati da laboriosi grovigli di linee, figure, ambigue e metamorfiche o geometriche, e colori intensi, che egli stesso concepisce come “paesaggi interiori”. La sua esperienza, spesso accostata a quella di Albert Oehlen, Bernard Frize e Charline von Heyl, suoi contemporanei, ha in realtà radici più profonde.

Infatti, già a cavallo fra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, nel periodo di massima diffusione della Pop art, del minimalismo e dell’arte concettuale, si era avuto, in Europa, grazie ad alcuni pittori tedeschi, quali Georg Baselitz, A.R. Penck, Markus Lüpertz, Anselm Kiefer, e Jörg Immendorff, un primo ritorno all’Espressionismo, a partire dal quale si sviluppò e, nel decennio successivo, trionfò una vera e propria tendenza, che vide protagonisti, in Italia, gli artisti della Transavanguardia e, in Germania, i Neue Wilden (Nuovi Selvaggi). L’intento comune era quello di restituire al soggetto la centralità psico-fisica perduta fra la II Guerra Mondiale e gli anni di piombo. Per centralità psichica, si intendeva la congiunzione e lo scambio reciproco fra spazi e tempi vissuti in un arte transculturale e aperta nei confronti tanto dei mass media quanto della tradizione artistica. Il riscatto della centralità fisica si traduceva, invece, nel recupero dell’aspetto sensoriale e della componente manuale del fare arte, ovvero, principalmente, della pittura, in controtendenza rispetto al programma destrutturante dell’arte povera e al carattere elitario del concettualismo. Il movimento ebbe importanti risonanze in tutto il mondo, e in particolare nei Paesi nordici, presso i quali costituisce ancora oggi il punto di partenza per la ricerca espressiva di molti artisti di fama internazionale, fra cui, appunto, Olav Christopher Jenssen.

Quest’ultimo, più interessato alla sperimentazione libera e individuale di forme e colori sempre diversi, che all’adesione ad un definito progetto creativo, ben si allinea alla poetica dell’attraversamento di tutti gli stili diffusasi in quegli anni, integrando, nei propri dipinti, astrazione e figurazione, natura e cultura, memoria e fantasia. Ne sono la prova alcuni dei più affascinanti “paesaggi interiori” in mostra, come Mins fars land / La terra di mio padre (1986-’87), Lack of Memory: Vanish (1991-’92) o The Letharia Painting n° 27 (2013-’16) – opera tratta da una serie dedicata al Letharia vulpina (una specie di fungo lichenizzata, storicamente usata come veleno per lupi e volpi, ma, da molti gruppi etnici nativi del Nord America, anche come colorante e vernice), di cui richiama la forma arbustiva e ramificata e il colore giallo-verde brillante. Ci auguriamo di poter presto ammirare i suoi lavori anche in Italia.

Related Posts

di
Previous Post Next Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

0 shares