Alla scoperta di rovine nascoste tra boschi e rocce, perdendosi all’interno di una necropoli millenaria. Non ci troviamo a Hollywood e non stiamo parlando di “Indiana Jones”, ma di Norchia, un locus amoenus della Tuscia viterbese, situato a poco più di un’ora a nord di Roma, a pochi chilometri da Vetralla. Si tratta di ciò che resta di un’antica città etrusca: tombe a dado disposte lungo una vallata e costruite a scaloni. Antiche vestigia di una città fondata forse già nell’età del bronzo, prosperata nell’epoca etrusca e poi caduta in rovina durante l’età imperiale romana. Le rovine di una chiesa medievale, nascosta nel verde, aggiungono fascino al sito archeologico, frequentato con fasi alterne dal Paleolitico superiore, fino al Medioevo.
L’antico abitato si trova lungo la romana via Clodia e anticamente doveva essere conosciuto con il nome “Orclae”. In epoca etrusca si trattava di un centro orbitante intorno alla potente Tarquinia e raggiunse il suo apice tra il IV ed il II secolo a.C. Mentre scarse sono le testimonianze di epoca romana, periodo in cui l’abitato doveva avere un’importanza secondaria, nel Medioevo diventò un insediamento fortificato papale che ruotava attorno al Castello dei Di Vico e alla Chiesa di San Pietro risalente al IX secolo d. C. e innalzata sulle fondamenta di un tempio etrusco-romano. La città venne poi abbondonata a metà del XV secolo, forse a causa di un’epidemia, e presa d’assalto dalla vegetazione, per essere riscoperta e studiata in epoca recente.
Centro focale della visita a Norchia sono sicuramente le tombe a dado e a semi-dado: costituite da un grande blocco di tufo squadrato (il “dado”), al quale si accedeva da due scale laterali scavate nella roccia e da una zona porticata inferiore. Attraverso un “dromos”, un corridoio a gradini, si scendeva alla camera sepolcrale. Il sito, di notevoli dimensioni, presenta numerose tombe rupestri etrusche disseminate non solo sull’altura dove sorgeva l’abitato, ma anche lungo i fossati circostanti coperti dai boschi e scavati dai corsi d’acqua: come la necropoli del Fosso del Pile, la necropoli di Acqualta, la necropoli del Biedano, e la zona di Sferracavallo. Presso Acqualta meritano attenzione le tombe a tempio o doriche, caratterizzate da una fronte che riproduce le forme del tempio dorico. Tra le sepolture principali anche la Tomba delle tre teste, le Tombe Smurinas e la Tomba Lattanzi. Interessanti sono anche i resti della via Clodia, alcuni tratti “tagliati” nel tufo, e la porta di accesso all’antica città.
Il sito si presenta in tutta la sua bellezza grazie all’opera dell’Associazione Amici di Norchia, che a giugno scorso ha ripulito il sito liberando i complessi funerari dalle sterpaglie e realizzando dei percorsi di visita. L’Associazione organizza anche visite guidate, curate dall’archeologa e cultural project manager dottoressa Simona Sterpa. Risultati che sono stati raggiunti grazie al sostegno di uno dei proprietari di Norchia, la famiglia Carlo Stelliferi che ha messo a disposizione mezzi e operai a proprie spese per portare al termine i lavori. E non è tutto, perché da qualche anno si è ripreso a studiare il sito, tramite una sinergia tra pubblico e privato che ha visto collaborare la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria Meridionale, insieme al Trust di Scopo Sostratos Onlus con il dottor Lorenzo Benini, principale finanziatore delle indagini archeologiche e del restauro dei materiali rinvenuti. Importate per la promozione e valorizzazione del sito anche la già citata fondazione dell’Associazione Amici di Norchia: imprenditori e professionisti dei beni culturali che si sono uniti per il rilancio del territorio e la complessa valorizzazione di questo grande sito archeologico, ancora poco conosciuto.
Foto Simone Paris