NELLA GALLERIA TORNABUONI ARTE ROMA, LA MOSTRA: GIORGIO DE CHIRICO”.

“Per diventare veramente immortale un’opera d’arte deve sfuggire a tutti i limiti umani: la logica il buon senso non potranno che interferire”, rifletteva Giorgio de Chirico.

Le composizioni del pittore, noto specialmente come uno dei massimi protagonisti della pittura metafisica, sono l’effetto di un universo enigmatico e arcano, di sogni e di una intensa solitudine.

Nato il 10 giugno 1888 a Volos in Grecia, da genitori italiani, de Chirico studiò alla Scuola Superiore di Belle Arti di Atene prima di frequentare l’Accademia di Belle Arti a Monaco. Mentre risiedeva in Germania, estese il suo interesse per i contenuti mitologici di pittori simbolisti come Arnold Bocklin.

Giunto a Firenze dopo aver concluso la scuola, cominciò a realizzare alcune delle sue opere distintive, aiutato dal suo amico Carlo Carrà. Il pittore scrisse le sue idee su quella che definiva pittura metafisica. Subito dopo, sebbene fosse divenuto famoso e condizionato da Renè Magritte e Andrè Breton, rinunciò non soltanto alla pittura metafisica e surrealista ma a tutta l’arte moderna, attraverso il suo saggio “Il ritorno dell’artigianato”, 1919.

Rivisitando l’iconografia e le tecniche classiche all’interno dei quadri neoclassici e barocchi, i lavori che attuò delusero molti critici del periodo. Per la parte rimanente della sua esistenza fece spesso copie dei suoi primi dipinti metafisici, ottenendo molto guadagno dalla loro divulgazione.

L’artista si sposò due volte: la prima nel 1930, con Raissa Calza, la seconda nel 1946, con Isabella Far.

In conclusione, trasferitosi definitivamente nella Capitale, il Maestro acquistò una abitazione a Piazza di Spagna che con il tempo divenne la casa-museo di Giorgio de Chirico. Nel 1974 fu eletto membro dell’Accademia di Belle Arti di Francia e morì a Roma il 20 novembre 1978.

Attualmente i lavori di Giorgio de Chirico sono ubicati nelle collezioni del Museum of Modern Art di New York, della Tate Gallery di Londra, della Collezione Peggy Guggheneim di Venezia e dell’Art Institute di Chicago, tra gli altri. Profondamente ispirato dal suo rapporto biografico alla Classicità greca, l’artista sviluppò una elaborazione pittorica al di là della realtà visibile.

Il vocabolo metafisico ripreso dall’omonima filosofia greca, rivela totalmente la determinazione di non fermarsi al mondo reale ma di andare oltre, oltre cioè quello che è enigmatico e inquietante. Infatti nato cresciuto e formatosi in Grecia, in de Chirico la Classicità era connaturata nell’animo e nell’intelletto.

Le sue composizioni rievocano spesso quel cosmo di bellezza idilliaca e di equilibrio; a volte con citazioni dirette (statue e architetture greche) a volte con il semplice silenzio e la perfezione delle atmosfere: il metodo era però costante.

La pittura di de Chirico è costruita mediante atmosfere oniriche, con un’illuminazione irreale e prospettive architettoniche impossibili in cui l’artista giustappone sempre oggetti di utilizzo quotidiano rappresentati sempre al di fuori del loro ambito abituale.

Gli storici dell’arte lo reputano il basilare precursore della pittura surrealista e nei suoi anni metafisici avrebbe avuto un ascendente decisivo sulle correnti artistiche successive, come la Nuova Oggettività e il Realismo magico.

Il cromatismo dell’artista era un incessante ossimoro, c’era sempre il sole ma mai il calore. L’impiego delle ocre e delle terre produceva il risultato profondo e contraddittorio di raffreddare le scene.

Mercoledì 6 dicembre 2023, la Galleria Tornabuoni Arte Roma ha inaugurato una retrospettiva rivolta appunto a Giorgio de Chirico, figura tra le più emblematiche nel dibattito artistico e culturale del Novecento.

“Dicono che Roma sia il centro del mondo e che Piazza di Spagna sia il centro di Roma, io e mia moglie, quindi, si abiterebbe nel centro del centro del mondo”.

Ricordiamo ancora che il pittore si trasferirà a Roma definitivamente nel 1944 e dal 1948 si stabilirà con la moglie nella casa studio di Piazza di Spagna, oggi Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, ottenendo in questo modo una posizione determinante nel cuore artistico della città, con gli atelier di via Margutta e via del Babuino, il Caffè Greco in via Condotti e il Caffè Aragno di via del Corso.

L’Urbe è stata infatti un luogo fondamentale nella vita del Maestro che, studiando le rovine antiche e restando ammaliato dalla Scuola di Atene di Raffaello nelle Stanze Vaticane, approfondisce i caratteri della pittura metafisica.

Il percorso espositivo della rassegna inizia con un’opera del periodo bockliniano, La Passeggiata del 1909, della Collezione Roberto Casamonti di Firenze. L’influenza del simbolismo di Bocklin e di Klinger maturata a Monaco simultaneamente alla lettura di Nietzsche e Schopenhauer tornerà a più riprese negli anni e nel lavoro dell’artista, nelle sue soluzioni iconografiche, immagini irrazionali e invenzioni nella messa in scena.

Due tele esplorano il tema del nudo femminile: il primo del 1923, della collezione di Alberto Savinio e mostrato alla XIII Quadriennale di Roma del 1998. L’altro del 1930, raffigura Cornelia Silbermann, conosciuta a Parigi nell’agosto del 1929 poi divenuta sua ispiratrice. Con lei il Maestro intratterrà un lungo rapporto attestato da un carteggio di 23 lettere, dal 1929 al giugno del 1951.

Della produzione degli anni Trenta sono Combattimento di gladiatori, del 1932, anche della collezione Roberto Casamonti di Firenze e Cavalli in riva al mare del 1935, già in collezione di Margherita Sarfatti, letterata e prima donna in Europa ad interessarsi di critica d’arte all’inizio del Novecento.

“E’ del 1940 … Ed ecco un gran drago …, disegno del ciclo per l’edizione dell’Apocalisse di Giovanni a cura di Raffaele Carrieri – In quella grande e strana casa che è l’Apocalisse (…) io sogno, incuriosito e felice, come il fanciullo, tra i suoi balocchi, nella notte di Natale”. (Giorgio de Chirico)

I cavalli diventarono protagonisti delle opere dell’artista, che li reputava gli animali maggiormente pittorici. Nelle sue composizioni, infatti, vibrano attraverso una enorme vitalità e tale tema è insito sin dai primi quadri. Nel periodo prima del viaggio a New York e di quello di Parigi, de Chirico dipinse numerose tele con soggetto dei cavalli in riva al mare.

Il cavallo nella mitologia greca è celebrato come un essere sovrannaturale, al comando di Dei immortali, trainando cocchi e carri. Idioma di potenza per il popolo greco e romano, entrambi stabilirono di adornare i propri monumenti con sculture che riproducevano generali vittoriosi su carri regali trainati da cavalli. Sono portatori di simboli politici, religiosi e di virtù militari e oltre alla bellezza esprimono libertà e forza. Nel Novecento si ebbe una trasformazione: il cavallo divenne protagonista.

In mostra anche due autoritratti: Autoritratto delle nuvole del 1948 e Autoritratto come pittore in costume del Settecento del 1957, in cui il Maestro usa l’espediente dell’abito antico accrescendo l’attrattiva

dell’opera: “il vestito moderno offre molte più possibilità per fare della pittura e dimostrare quello che si sa fare”.

In una fase più matura delle sue rappresentazioni artistiche, Giorgio de Chirico rielabora i soggetti degli anni Dieci, Venti e Trenta attraverso una interpretazione di una nuova luce, con colori vivaci e atmosfere più pacate in confronto a quelle austere e cupe della prima Metafisica, come esprime in Ettore e Andromaca del 1950, Piazza d’Italia con piedistallo vuoto del 1955.

Le piazze desolate quanto i manichini senza orecchie ne bocca, comunicavano il silenzio tipico dei rapporti umani. Anche quando due figure erano a contatto, come in Ettore e Andromaca, i loro volti silenziosi si mantenevano estranei l’uno dall’altro. Era l’identificazione della realtà contemporanea secondo il pittore, dove era appunto difficile comunicare tra individui ma ancor più tra generazioni.

Le piazze d’Italia e le spiagge si propongono come ambientazioni esemplari per inscenare o ricordare le imprese mitiche o per trasmettere emozioni ricche di attesa. Che ci siano nature morte o piazze cittadine, l’atmosfera delle rappresentazioni era permeata da una percezione di mistero.

Si sollevavano domande sulle piazze desolate e assolate: sul significato delle vele accennate dietro i palazzi delle piazze, o il motivo per cui l’orologio segnasse un’ora divergente con la luce solare. C’era qualcosa oltre la realtà visibile, ma nessuno riusciva a spiegare cosa era.

Riguardo la tela presente nella retrospettiva: Bagni Misteriosi, realizzata nel 1968, nel 1973 il pittore scrisse: “L’idea dei bagni misteriosi” mi venne una volta che mi trovavo in una casa ove il pavimento era stato molto lucidato con la cera. Guardai un signore che camminava davanti a me e le di cui gambe riflettevano nel pavimento. Ebbi l’impressione che egli potesse affondare in quel pavimento, come in una piscina, che vi potesse muoversi e anche nuotare. Così immaginai delle strane piscine con uomini immersi in quella specie di acqua-parquet, che stavano fermi, e si muovevano, ed a volte si fermavano per conversare con altri uomini che stavano fuori della piscina pavimento”. (Giorgio de Chirico

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