Tra maschere, coriandoli e baldoria il Carnevale è il simbolo del divertimento che accomuna grandi e piccini Ti conosco, mascherina!

Alzi la mano chi non ha mai sentito questa espressione. Significa che non si è fatti trarre in inganno da qualcuno nonostante le apparenze. La sua origine deriva proprio dalle feste di Carnevale, in cui la popolazione poteva travestirsi da nobile o da ricco signore per qualche giorno, ribaltando i rapporti di potere nelle città.

Una festa tutta da scoprire. E come non poter rivederne origine e curiosità di quella che rappresenta la festa più amata e attesa dai bambini e perché no anche da molti adulti che dietro una maschera riscoprono quanto è meraviglioso tornare bambini anche se per pochi giorni.

Il Carnevale è una festività dalle origini molto antiche, basta ricordare le dionisiache greche o i saturnali romani per capirlo.

Durante queste festività era lecito lasciarsi andare, liberarsi da obblighi e impegni, per dedicarsi allo scherzo e al gioco. Inoltre mascherarsi rendeva irriconoscibili il ricco e il povero e scomparivano così le differenze sociali.

Il proverbio associato al carnevale, derivato dall’antico detto latino «semel in anno licet insanire» – “una volta l’anno è lecito impazzire” – la dice lunga!

Si tratta di festeggiamenti caratterizzati da parate pubbliche in cui dominano elementi giocosi e fantasiosi e dove l’elemento distintivo è sicuramente la maschera.

Da un punto di vista storico e religioso il Carnevale rappresentò un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante i festeggiamenti, infatti, il caos sosti-tuiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva per dar vita ad un nuovo ciclo, quello del nuovo anno solare.

Suggestivo è ripercorrere le cerimonie e le usanze del carnevale in Italia sin dal XV e XVI secolo. A Firenze i Medici organizzavano grandi mascherate su carri chiamate “trionfi” e accompagnate da canti carnascialeschi (canzoni che si accompagnavano al divertimento del Carnevale del Quattrocento). Nella Roma del regno pontificio si svol-geva, invece, la corsa dei barberi (cavalli da corsa) e la “gara dei moccoletti” accesi che i partecipanti cercavano di spegnersi reciprocamente. In diversi Carnevali il mar-tedì grasso viene rappresentato, spesso con un falò, che simboleggia la “morte di Car-nevale”. L’antica tradizione del Carnevale si è mantenuto anche dopo l’avvento del Cri-stianesimo: anche a Roma stessa la maggiore festa pubblica tradizionale è stata il Car-nevale Romano fino alla sua soppressione negli anni successivi all’Unità d’Italia. An-che l’istituzione del Carnevale a Venezia è attribuita alla necessità della Serenissima, al pari di quanto già avveniva nell’antica Roma, cioè concedere alla popolazione, e soprattutto ai ceti più umili, un breve periodo dedicato interamente al divertimento e ai festeggiamenti, durante il quale sia i veneziani che i forestieri si riversavano in tutta la città a far festa con musiche e balli sfrenati. Attraverso l’anonimato che garantivano le maschere e i costumi, si otteneva una sorta di livellamento di tutte le divisioni sociali ed era autorizzata persino la pubblica derisione delle autorità e dell’aristocrazia.

Tra usanze e tradizioni del passato quello che incuriosisce e l’origine del nome. Tutti lo chiamano così, ma quanti sanno cosa esattamente significa? Il termine deriverebbe da un’espressione latina “carrum novalis” (carro navale) cioè una specie di carro alle-gorico, a forma di barca, con cui i romani inauguravano le commemorazioni o da “car-men levare” (eliminare la carne) poiché anticamente indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima, momento in cui a nessuno era concesso di mangiare carne.

A voler dare una data al Carnevale sfatiamo ogni mito: non ha una data fissa. Nella tradizione cattolica indica il periodo dell’anno antecedente la Quaresima (cioè letteral-mente il quarantesimo giorno prima di Pasqua). Per alcuni comincerebbe addirittura dal giorno di Santo Stefano, subito dopo Natale, collegando così le due principali feste religiose della cristianità. Per altri dopo l’Epifania.

Insomma, ogni anno dipende da quando cade Pasqua. Il tempo di Carnevale infatti inizia la prima domenica delle nove che precedono quella di Pasqua.

Dunque se sull’inizio non c’è unanimità, tutti sono d’accordo sulla fine: il martedì prima del “Mercoledì delle Ceneri” che dà inizio alla Quaresima.

Fà eccezione Milano: nel rito Ambrosiano – che viene osservato nella diocesi di Milano e in alcune diocesi vicine – la giornata principale per il festeggiamento del Carnevale non è il Martedì Grasso, ma il Sabato, quattro giorni dopo il martedì Grasso del rito Romano. Il ritardo è legato al culto di Sant’Ambrogio, patrono della città lombarda. Nel IV secolo il Carnevale era una festività rinomata e la leggenda narra che i milanesi aspettarono il loro vescovo, in ritardo per un pellegrinaggio, per i festeggiamenti. Del racconto ci sono due versioni: la prima secondo cui furono i milanesi ad approfittare dell’assenza per prolungare la festa, la seconda che vuole che sia stato il vescovo Am-brogio a chiedere di attenderlo.

Al di là di riti religioni e tratti storici quello che piace del Carnevale è la sua aria gioiosa piena di colori, musica, giochi, maschere coriandoli e dolci tipici. Ma andiamo per ordine. Vi siete mai chiesti perché ci si maschera a Carnevale?

Sono diverse le ipotesi, una di quelle è da ricercarsi nell’antica tradizione pagana. Du-rante il periodo dei Saturnali il povero per una volta poteva tramutarsi in ricco e vice-versa. Un’altra ipotesi, invece, ha un’origine più arcaica: si dava modo allo spirito dei defunti di fare festeggiamenti sfrenati in cambio di abbondanti raccolti.

Altre fonti, tra cui Apuleio, ci dicono invece che il “travestimento” deve essere fatto risalire a una festa in onore della dea egizia Iside, durante la quale erano presenti nu-merosi gruppi mascherati. Questa usanza venne importata anche nell’impero Romano: alla fine del vecchio anno un uomo coperto di pelli di capra veniva portato in proces-sione e colpito con bacchette.

Proiettandola ai giorni nostri, invece, mascherarsi indica un modo per uscire dal quo-tidiano, disfarsi del proprio ruolo sociale, negare sé stessi per divenire altro.

In Italia ogni regione festeggia il Carnevale a suo modo, ma colori e voglia di divertirsi accomunano le feste di tutto lo Stivale.

A Venezia, ad esempio, si festeggia uno dei “Carnevali” più famosi del mondo, dove regnano sfarzo e costumi bellissimi, lasciti di una tradizione secolare; a Viareggio in-vece sono i carri allegorici a rendere tutto magico, così come ad Acireale, in Sicilia; a Ivrea poi c’è la celeberrima Battaglia delle Arance, mentre a Sciacca vengono realiz-zate splendide opere in cartapesta.

Il Carnevale più vecchio d’Italia è quello di Fano, i cui primi festeggiamenti risalgono al 1347. A Putignano, invece, è uno dei più lunghi: inizia il 26 dicembre e prosegue fino al martedì grasso!

E per chi volesse riscoprire tradizioni e usanze che caratterizzano il Carnevale in al-cune parti d’Italia, la battaglia delle arance di Ivrea e il Volo dell’Angelo a Venezia sono tra le più suggestive. In Piemonte, precisamente a Ivrea: dal 1808, 9 squadre che rappresentano le diverse contrade si danno battaglia a colpi di arance. L’origine risale al Medioevo: una rivolta cui diede vita una giovane mugnaia, neo sposa, che rifiutò di sottostare allo jus primae noctis e decapitò il tiranno, scatenando la ribellione popolare che portò alla distruzione del castello. Le squadre sono nove: Picche, Morte, Tuchini, Scacchi, Arduini, Pantere, Diavoli, Mercenari e Credendari. La battaglia si svolge nelle principali piazze di Ivrea tra i carri che seguono il corteo e le squadre a piedi. Una commissione premia le squadre di aranceri che si sono distinte per coraggio e tecnica di lancio. A Venezia, invece, il simbolo tradizionale è il Volo dell’Angelo: quest’ap-puntamento trae origine dall’esibizione di un giovane acrobata turco che, in un’edizione di metà Cinquecento, riuscì a raggiungere il campanile di San Marco camminando in equilibrio su una corda tesa.

Una curiosità di molti è il perché si usano i coriandoli. Nel Rinascimento per Carnevale i semi del coriandolo venivano glassati con lo zucchero, e da li iniziò la tradizione dei coriandoli a Carnevale, in un secondo momento formati da piccole pallottole di gesso, attualmente dischetti di carta multicolori. L’usanza di lanciare piccoli oggetti è in realtà molto più vecchia e risale all’Antica Grecia. Lanciare qualcosa secondo alcuni sarebbe il modo per mostrare la propria partecipazione al trionfo anche senza poter raggiungere fisicamente la persona. Il lancio di fiori o di coriandoli richiamerebbe il lancio di doni. Secondo altri l’usanza avrebbe origine con i poteri magici attribuiti ai fiori e alle piante.

E non potevamo fare un’inchino a questa festa millenaria senza prima gustare i dolci tipici di questa festa. Tra chiacchiere, frappe o bugie i dolci tipici del Carnevale si vestono di sapori e nomi differenti a seconda della regione d’Italia. Ogni regione e città in Italia hanno, infatti, i propri dolci tipici e tradizionali da preparare in occasione del Carnevale. Tra i dolci più famosi troviamo le chiacchiere, conosciute anche come frappe o bugie. In Lombardia, Sicilia, Puglia, Sardegna e Campania si chiamano chiac-chere. Nel Lazio e in Umbria sono chiamate frappe, in Veneto si chiamano galani, nelle Marche cresciole, in Toscana i cenci, mentre in Piemonte si chiamano bugie, mentre in Friuli crostoli e in Calabria le nacatole. Qualunque sia il luogo e la cucina di prove-nienza, questi dolci sono accomunati dal fatto di essere estremamente friabili, dorati, principalmente fritti, anche se è possibile trovare la versione cotta al forno. Che dire non resta che staccare dalla routine di una vita fatta di stress e preoccupazioni e im-mergersi nel gioco festoso e travolgente di una festa che da millenni piace a grandi e piccini.

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