Artrosi dell’anca: intervento o no? L’acqua è sempre protagonista.

Quando un’anca è dolente sono tanti gli adattamenti che il corpo mette in moto per riuscire comunque a svolgere le attività quotidiane. Sebbene un problema muscolare può essere spesso risolto in maniera molto semplice, diverso è il discorso per quelle articolazioni coxofemorali affette da artrosi.
La coxartrosi è, come tutte le artrosi, una patologia degenerativa dovuta al consumo delle strutture articolari dell’articolazione stessa, il che avviene sostanzialmente per invecchiamento: questo logorio “fisiologico” può essere aggravato, causando potenzialmente un esordio precoce, da alcuni fattori quali obesità, attività lavorativa gravosa, disfunzioni posturali e traumi diretti.

Alcuni casi di artrosi diventano così severi che l’arto inferiore presenta impotenza funzionale molto marcata che va dall’impossibilità di salire le scale finanche all’estrema difficoltà di mettersi in piedi dalla posizione seduta. Questa fortissima debolezza muscolare è associata al dolore, che ne è la causa: il dolore alla messa in carico del lato affetto da artrosi instaura una zoppia di fuga che comporta una perdita sempre maggiore di massa muscolare. Questo circolo vizioso che si instaura può essere spezzato in due modi: l’intervento chirurgico di protesi d’anca oppure, sempre che l’artrosi non sia in fase avanzata, le terapie conservative.

L’intervento chirurgico consiste nella rimozione della testa femorale logorata ricreando una nuova superficie semisferica e convessa che sarà accolta, se necessario, anche dal lato del bacino da una nuova cavità acetabolare.

Le terapie conservative invece prevedono l’utilizzo di tecniche fisioterapiche strumentali, che hanno come obiettivo quello di tenere sotto controllo l’infiammazione ed il dolore in maniera tale da poter procedere gradualmente con delle mobilizzazioni articolari ed il recupero della massa muscolare. Attraverso allungamenti e terapia manuale la rimozione delle contratture muscolari che si sono accumulate in mesi di dolore e cattivo utilizzo aiuta a ridurre il dolore e migliora la funzionalità residua dell’articolazione.

Punto di unione per entrambi gli scenari è l’idrokinesiterapia: sia in caso di riabilitazione post chirurgica che in caso di approccio conservativo, la possibilità di lavorare in un ambiente microgravitario permette al terapista di scegliere il livello di profondità dell’acqua più idoneo alle condizioni del paziente. Pertanto la facoltà di adattare la quantità di forza di gravità, e quindi di peso sull’articolazione di settimana in settimana o di seduta in seduta, permette il massimo comfort di lavoro e di agire fin da subito con il recupero della massa muscolare e dell’articolarità, con meno dolore; inoltre nel caso di un paziente sottoposto ad intervento, la pressione positiva dell’acqua favorisce il riassorbimento dell’edema postoperatorio.
All’interno di una vasca possono essere eseguiti, in totale sicurezza per il paziente e per l’eventuale protesi, esercizi di riequilibrio del carico, esercizi propriocettivi volti al miglioramento della sensibilità dell’appoggio a terra e del controllo articolare, recupero del corretto schema del passo. La possibilità di camminare in acqua alta fin da subito senza nessun ausilio è fondamentale per una rapida ripresa e non creare quelle incertezze tipiche del paziente arrivato all’intervento dopo esser caduto.

Insomma, che venga scelta o che ci si ritrovi sulla strada dell’intervento, o che si tenti un approccio conservativo, lavorare utilizzando l’idrokinesiterapia è la soluzione per cambiare radicalmente l’approccio fisioterapico e migliorare la propria qualità di vita.

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