Bones and All regia di Luca Guadagnino

Bones and All regia di Luca Guadagnino

Interpreti:

Sfugge ad ogni definizione di genere l’ultimo film di Luca Guadagnino, Leone D’Argento alla Mostra del cinema di Venezia 2022 per la regia, premio Marcello Mastroianni per la giovane attrice Taylor Russel

Ispirato dal libro Bones and all di Camille DeAngelis, scrittrice vegana che paradossalmente racconta una vicenda di cannibalismo.

Sinossi

Maren ha 17 anni, vive con il padre in Virginia. Alcune amiche la invitano a trascorrere la nottata in compagnia, nella condivisione di chiacchiere e risate. Maren elude il divieto del genitore, scappa dalla finestra, si unisce al gruppo di ragazze. È nell’intimità di gesti semplici di adolescenti che la giovane compie il suo “pasto”, in preda ad una pulsione immediata e repentina. Fugge Maren, torna dal padre, i due raccolgono le poche cose della loro precaria esistenza e si danno alla fuga, per sottrarsi alla giustizia, nella ricerca di un luogo dove poter vivere finalmente una vita normale. Tutto sembra riprendere in una placida routine ma una mattina la protagonista si trova sola; una lettera, un certificato di nascita, una manciata di dollari e un nastro registrato sono tutto ciò che il padre le lascia. La ragazza inizia così un viaggio nel MidWest americano, alla ricerca dell’unico legame di sangue che le rimane: la madre, ma in realtà soprattutto di se stessa. Incontrerà Sully (uno come lei, in grado di insegnarle i segreti della sua stessa condizione) e Lee, un ragazzo un po’ più grande, non meno alla deriva, che le farà conoscere l’amore.

I cannibali nella società americana non esistono.

Eppure il regista ha impiegato molta cura nelle scene “del pasto” a riprodurre lo sporco del sangue, delle viscere messe a nudo e la brutalità della carneficina che si abbatte sulle vittime malcapitate. Maren “mangia” quando prova affetto per una persona. È poco consapevole delle sue pulsioni, non ha una precisa identità, non sa ancora chi può divenire e come costruire il suo progetto di vita. Lee, interpretato da un incredibile Timothée Chalamet, attore sempre più plastico e disinvolto davanti la telecamera, sembra avere già accettato il suo destino. Apparentemente controllato, in realtà disinvolto nell’esprimere chi è, determinato a nutrirsi senza farsi tante domande, è all’apparenza privo di sensi di colpa. E poi Sully, anziano signore, un po’ indiano, un po’ yankee, malato di solitudine, alla ricerca di propri simili e di pace interiore.

Vuole colpire lo spettatore Guadagnino, farlo precipitare nella bassezza di alcune condizioni umane, fare sentire il lato oscuro della FORZA, per usare una fraseologia della saga di Guerre Stellari. Ma la chiave di lettura del film è sicuramente metaforica. L’occhio dello spettatore si deve distaccare dallo sgomento di azioni sceniche abilmente costruite, per provocare e coinvolgere emotivamente, deve altresì decodificare il livello metaforico delle immagini.

“L’amore ti salverà”.

Di fronte all’abisso causato dalle oscurità umane, ci sono due strade: la discesa all’inferno in un abbruttimento senza fine o la redenzione, ovvero uno stile di vita che ci possa rendere sereni ed in pace con noi stessi e con gli altri. Guadagnino con questo film ci esorta ad essere artefici del nostro destino, non in solitudine. È l’amore che ha un grande potere salvifico, l’amore come condivisione non solo delle scelte di vita ma anche della sfera più profonda del nostro io, accettazione di quello che ognuno è, anche nel labirinto dell’inconscio e delle pulsioni. Dormire in pace la notte senza mai dimenticarsi la propria natura, “siamo chi siamo”, è il titolo della precedente serie del regista italiano, basata su un incontro di due figure incerte sulla propria natura. La natura di ognuno di noi è unica senza inutili catalogazioni, ma nessuno di noi

ha il diritto di aggredire l’altro, accanirsi su un ipotetico nemico significa distruggere anche se stessi, dare corpo al senso di inadeguatezza, colpa, in una infelicità profonda.

Il libro da cui è tratto il film riflette sulla nostra voracità di uomini che si cibano di essere viventi (animali)

Sulla simbologia del cibo, nelle sue ritualità, riflette il film: cibarsi per vivere, ma cibarsi anche per amare. Quante volte gli amanti confessano che si “mangerebbero”, metafora di divenire uno solo, introiettare l’altro e farlo proprio, in un atto di profondo amore metaforico e non certo di cannibalismo.

Emma Borella

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