Negli ultimi anni, il dibattito sul saluto romano è tornato al centro dell’attenzione mediatica e politica in Italia, spesso alimentato da interpretazioni ideologiche e da strumentalizzazioni che ne distorcono la natura e il significato giuridico. Le recenti sentenze della Corte di Cassazione, in particolare quella delle Sezioni Unite del 17 aprile 2024 (n. 16153), hanno chiarito in modo inequivocabile che il saluto romano non costituisce di per sé un reato, a meno che non sia accompagnato da un concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista o da intenti discriminatori e violenti. Questo pronunciamento rappresenta un punto di svolta nella giurisprudenza italiana, sottolineando la necessità di valutare il contesto e le circostanze specifiche di ogni caso, senza cedere a pregiudizi ideologici. Al contempo, emerge un fenomeno preoccupante: l’uso strumentale dell’antifascismo da parte di gruppi di sinistra radicale, che, sotto la bandiera della lotta al fascismo, si rendono protagonisti di atti di violenza, distruzione di proprietà private e attacchi alle forze dell’ordine. Questo articolo si propone di analizzare il quadro giuridico del saluto romano, evidenziando come esso non comporti violenza né danno al prossimo, e di denunciare il paradosso di un antifascismo che, invece, si traduce in comportamenti distruttivi e antisociali.
La Corte di Cassazione, con la sentenza delle Sezioni Unite del 2024, ha ribadito che il saluto romano, così come la “chiamata del presente”, non è automaticamente qualificabile come apologia del fascismo ai sensi della legge Scelba (n. 645/1952). L’articolo 5 di questa legge punisce “chiunque, partecipando a pubbliche riunioni, compie manifestazioni usuali del disciolto partito fascista” con la reclusione fino a tre anni, ma solo se tali atti siano idonei a generare un “concreto pericolo di riorganizzazione” del partito fascista. La Cassazione ha sottolineato che il saluto romano, in contesti commemorativi o privi di intenti eversivi, non soddisfa questo requisito. Ad esempio, durante la commemorazione di Acca Larentia del 7 gennaio 2024, il gesto è stato compiuto in un contesto di ricordo delle vittime di un attentato terroristico, senza che vi fosse alcuna evidenza di un progetto di ricostituzione fascista.
Questa interpretazione si inserisce in una lunga tradizione giurisprudenziale che distingue tra la libertà di espressione, tutelata dall’articolo 21 della Costituzione, e le condotte che rappresentano una reale minaccia per l’ordine democratico. Già nel 1957 e nel 1958, la Corte costituzionale aveva precisato che l’apologia del fascismo è reato solo quando si traduce in un’esaltazione capace di condurre alla ricostituzione del partito fascista o di creare un “effettivo pericolo” per la democrazia (sentenze n. 1/1957 e n. 74/1958). In assenza di tali elementi, il saluto romano rimane un gesto che, pur richiamando un simbolo storico controverso, non può essere criminalizzato di per sé.
Un ulteriore chiarimento è stato offerto in merito alla legge Mancino (n. 205/1993), che punisce l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. La Cassazione ha stabilito che il saluto romano può integrare questa fattispecie solo in presenza di un’organizzazione che abbia tra i propri scopi la discriminazione o la violenza razziale. Tuttavia, come ha dichiarato l’avvocato Domenico Di Tullio, difensore di alcuni imputati in un processo relativo al saluto romano, “non è il caso del “presente” e del saluto romano che non ha i requisiti della riorganizzazione né di discriminazione”.
Uno degli aspetti più rilevanti delle sentenze giurisprudenziali è la chiara distinzione tra il saluto romano e qualsiasi forma di violenza o danno al prossimo. Il gesto, quando
compiuto in contesti commemorativi, come quelli legati alla memoria di caduti o vittime di atti terroristici, non ha come finalità l’incitamento all’odio o l’offesa a terzi. Al contrario, si tratta di un atto simbolico che, secondo la Cassazione, può essere espressione di un sentimento di pietà o di omaggio ai defunti, come nel caso di cerimonie svolte in cimiteri o in luoghi di memoria.
Ad esempio, il Tribunale di Imperia, nel 2019, ha assolto due persone accusate di apologia del fascismo per aver compiuto il saluto romano durante una celebrazione in memoria dei caduti della Repubblica Sociale Italiana. La sentenza ha evidenziato che il gesto, in quel contesto, non aveva finalità eversive né rappresentava un pericolo per l’ordine pubblico. Analogamente, il Tribunale di Milano, nel febbraio 2019, ha assolto alcuni manifestanti di estrema destra, sottolineando che il saluto romano non determinava un “serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista”.
Questi pronunciamenti dimostrano che il saluto romano, lungi dall’essere un atto intrinsecamente violento, è spesso un’espressione rituale che non lede i diritti altrui né compromette la sicurezza pubblica. La giurisprudenza ha quindi posto un argine alle interpretazioni ideologiche che vorrebbero criminalizzare qualsiasi richiamo al passato fascista, senza considerare il contesto e le reali intenzioni dei soggetti coinvolti.
Mentre il saluto romano viene scrutinato con rigore dalla magistratura, un fenomeno ben più preoccupante sfugge spesso all’attenzione mediatica: la violenza perpetrata da gruppi di sinistra radicale sotto il pretesto dell’antifascismo. Negli ultimi anni, le cronache italiane hanno registrato numerosi episodi di devastazione e aggressione compiuti da collettivi antifascisti, che utilizzano la lotta al fascismo come giustificazione per atti di vandalismo e attacchi alle forze dell’ordine.
Un esempio emblematico è rappresentato dalle proteste antifasciste organizzate in risposta a manifestazioni di gruppi di destra, come quelle di CasaPound o Forza Nuova. Durante questi eventi, non è raro che i manifestanti antifascisti distruggano vetrine di negozi, incendino automobili o lancino oggetti contro la polizia. A Torino, nel 2018, una protesta antifascista contro un comizio di CasaPound si è conclusa con scontri violenti, danni a proprietà private e feriti tra le forze dell’ordine. Simili episodi si sono verificati a Milano, Roma e Bologna, dove i collettivi antifascisti hanno trasformato le loro mobilitazioni in occasioni di caos e distruzione.
Questi atti non solo compromettono la sicurezza pubblica, ma rappresentano una contraddizione intrinseca: mentre si proclama la difesa della democrazia e dei valori antifascisti, si ricorre a metodi violenti che richiamano proprio quelle pratiche autoritarie che si dicono di combattere. L’antifascismo militante, in questi casi, si trasforma in un’ideologia che giustifica l’intolleranza e l’aggressione, minando il dialogo democratico e alimentando un clima di tensione sociale.
Il contrasto tra la natura non violenta del saluto romano, come riconosciuto dalla giurisprudenza, e l’aggressività di certi movimenti antifascisti evidenzia un paradosso: mentre il primo viene demonizzato come simbolo di un passato autoritario, i secondi godono di una certa indulgenza mediatica e politica, nonostante i loro comportamenti antisociali. Questo doppio standard rischia di alimentare una narrazione distorta, in cui il saluto romano viene presentato come una minaccia alla democrazia, mentre la violenza antifascista viene minimizzata o giustificata.
La Cassazione, con le sue sentenze, ha cercato di riportare il dibattito su un piano giuridico, evitando che il saluto romano diventi un capro espiatorio per battaglie
ideologiche. Come ha sottolineato l’avvocato Emilio Ricci, vicepresidente dell’ANPI, la decisione delle Sezioni Unite rappresenta “una presa di posizione molto significativa” che chiarisce i confini tra libertà di espressione e reato. Tuttavia, la chiarezza giuridica non sembra aver placato le polemiche, spesso alimentate da una sinistra che utilizza l’antifascismo come strumento di propaganda politica.
Le sentenze giurisprudenziali sul saluto romano offrono un’occasione per riflettere sui valori fondamentali della nostra democrazia: la libertà di espressione, il rispetto del pluralismo e la condanna di ogni forma di violenza. Il saluto romano, come chiarito dalla Cassazione, non è un gesto intrinsecamente pericoloso né lesivo dei diritti altrui, ma un atto che deve essere valutato caso per caso, senza pregiudizi ideologici. Al contrario, la violenza perpetrata da gruppi antifascisti rappresenta una minaccia concreta per la convivenza civile, che merita una condanna univoca e senza ambiguità.
Per costruire una società più equilibrata, è necessario superare le polarizzazioni ideologiche e promuovere un dibattito basato sui fatti e sul diritto. La giurisprudenza italiana, con il suo rigore e la sua imparzialità, ha indicato la strada da seguire: punire chi realmente minaccia la democrazia, senza criminalizzare gesti che, in assenza di intenti eversivi, rientrano nella sfera della libertà individuale. Solo così potremo difendere i valori antifascisti senza cadere nella trappola di un antifascismo violento e distruttivo, che finisce per tradire gli stessi ideali che pretende di rappresentare.