Ecco perché tutte e tutti dovremmo chiamarci Maria Paola e Ciro

Finisce sull’asfalto di una strada di provincia la vita di Maria Paola Gaglione. Poco più che diciottenne è stata punita perché innamorata di un ragazzo transessuale, Ciro Migliore 22 anni, suo compagno di vita e convivente. Non erano andati lontano dal loro quartiere di origine, il Parco Verde di Caivano, in provincia di Napoli, un luogo tristemente noto per storie terribili di criminalità, spaccio e pedofilia. Si erano trasferiti nella vicina Acerra e forse stavano tornando a casa quando, nella notte tra l’11 e il 12 settembre, sono stati speronati da Michele, il fratello di Maria Paola che non accettava il loro amore. D’altra parte, tutta la famiglia della giovane rifiutava la relazione e, stando al racconto di Ciro che è stato picchiato dal fratello della vittima dopo la caduta dallo scooter, i presupposti del tragico epilogo erano noti e già scritti. A poco sono servite le giustificazioni dell’indagato che vorrebbe discolparsi parlando di un incidente, del tentativo di convincere la sorella a tornare nella casa di famiglia, a rompere con Ciro che l’avrebbe “infettata” (un’espressione terrificante poi smentita). Resterà in carcere con l’accusa pesantissima di omicidio preterintenzionale. Le donne del Parco Verde si sono affacciate ai balconi per gridare che “non si può e non si deve morire per amore” e per chiedere giustizia per Maria Paola. In un doloroso messaggio affidato ai social network, Ciro ha scritto che sarebbe stato meglio se entrambi fossero morti. La sua esistenza, giovane e complicata, si sgretola di fronte al ricordo dei particolari di quella maledetta notte, quando implorava Michele di smettere di picchiarlo per vedere se la giovane fosse sopravvissuta all’impatto con una palina di cemento atta a irrigare la campagna circostante. Pare che, in preda ad una rabbia animalesca, l’indagato non si sia occupato immediatamente della sorte della sorella, che aveva inseguito per “darle una lezione”. I fatti di Caivano hanno riaperto il baratro di giovani vite spezzate dalla brutalità, creando un filo rosso che lega Maria Paola e Ciro a Willy, il ragazzo di Colleferro di origini capoverdiane assassinato per avere cercato di difendere un suo amico dalla violenza del branco. La cronaca di queste prime settimane di settembre restituisce storie terribili di giovani che ne uccidono altri in un Paese scosso dalla pandemia da Covid-19. La stradina di campagna dove è morta Maria Paola incrocia il rovente dibattito parlamentare sul DDL Zan, ovvero la legge che riconosce l’omolesbobitransfobia come una specifica aggravante di reato, al pari del razzismo e della xenofobia. Come sempre in ritardo rispetto agli altri Paesi dell’Occidente, ammesso che si giunga alla approvazione della legge, l’Italia si divide quando c’è da riconoscere diritti basilari come la libertà di amare chi si desidera senza temere per la propria incolumità. Ci sono le resistenze della Chiesa, le opposizioni della destra più retrograda, e perfino il “fuoco amico” di alcune realtà associative, sedicenti femministe, contrarie perché nel DDL Zan si parla di identità di genere e misoginia. Secondo questo punto di vista, le persone transessuali dovrebbero essere distinte dalle donne e dagli uomini cisgender, ovvero le femmine e i maschi tali alla nascita. Poco importa se Ciro si autodefinisca uomo perché, in assenza della procedura medicalmente assistita di riassegnazione del sesso, rimane Cira e dunque dovrà sentirsi ripetere di essere una ragazza e che il suo con Maria Paola era un amore lesbico. Senza volere entrare nel merito della querelle tra sesso e genere, tantomeno in quella ancora più aberrante tra opposti fanatismi, rimane l’urgenza di approvare il DDL Zan e di portare avanti tutte le politiche necessarie per l’uguaglianza di genere. La dedica di Ciro al funerale della sua compagna si chiude con una promessa di amore e di libertà che recita così: “Ti amerò oltre le nuvole”. Quando avremo ben chiaro che l’obiettivo da conseguire è rappresentato da una società basata sull’inclusione e sul rispetto della dignità delle persone, solo allora potremo dire di chiamarci tutte e tutti Maria Paola e Ciro.

Foto tratta da huffingtonpost.it

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