Nel nome del Figlio

11111555555555555555555555Sarebbe un argomento interessante, se solo fosse di qualche interesse. Se solo fosse davvero l’unica notizia di cui trattare, se non fossimo ancora sommersi dalla disoccupazione che non accenna a diminuire; anzi. Sarebbe un argomento da approfondire senza dubbio, se solo non dovessimo fare i conti giornalmente con il prezzo della benzina, con gli stipendi dei parlamentari, con una classe dirigente che ha un serio disturbo di personalità unito a severi deliri di onnipotenza. Decisamente; sì. Si potrebbe parlarne nei salotti buoni, al bar con gli amici, la sera in discoteca, su face book, su what’s app, si potrebbe produrre un tweet che ecceda i caratteri consentiti solo per esprimere la propria opinione in merito e, perché no, provare a dare un suggerimento in merito a quale possa essere il nome più adatto al pargolo per essere in linea con il suo lignaggio. Sicuramente potrebbe essere un tema su cui dibattere se solo non vivessimo in un paese divorato da una crisi economica derivata da una ancora peggiore crisi culturale e dei valori, se questo non fosse uno Stato zimbello e banderuola, se solo non continuassimo a dimenticarci dell’ignoranza e dell’indifferenza che popola le strade delle nostre città e non fossimo spettatori di ciò che accade attorno senza muovere un muscolo per cambiarlo.

Ovviamente la gravidanza, nonché il parto hanno sempre monopolizzato la conversazione comaresca per le vie dei paesi e piccoli centri fin dai tempi più antichi. Eppure ho come la sensazione che questo evento storico, per non sbilanciarsi in “epocale”, possa essere messo in secondo piano solo per un attimo, se non – ma qui sto osando troppo- addirittura, trattarlo per quello che è: un lieto evento che non merita molto più che una citazione nelle ultime righe del gobbo a fine telegiornale. Intanto, per fare un riepilogo: in Siria si continua a morire per attraversare la strada sotto i colpi dell’esercito, in Egitto la guerriglia urbana non accenna a diminuire, in Iraq i soldati americani continuano ad esportare un sistema di governo fallimentare per definizione a suon di proiettili. Ma, anche senza abbandonarsi in facili buonismi, e lasciando stare la cosiddetta “Primavera Araba” (che ben poco ha di primaveresco); potremmo semplicemente concentrarci sui temi citati ad inizio monologo, e magari osare alzare la testa a casa nostra, dove c’è davvero bisogno che si torni a parlare di politica. Di quella vera. Dove c’è una disperata necessità che i “Circoli” che vediamo fiorire qua e là tornino ad ospitare congreghe di intellettuali e non assembramenti di ventenni in preda ad una eclissi della ragione intenti a gettare il tempo in pasto a musiche che di musicale hanno ben poco. Che si torni a pensare. Questo è il desiderio più grande che ritengo sia corretto avere in questo momento. Ma mi rendo conto che sto chiedendo troppo a questi giorni di intelligenze desolate e cuori inariditi dalle CPU.

Nonostante tutto ciò, immagino che il nome dell’ultimo arrivato nella casa regnante Britannica sia comunque un ottimo argomento di conversazione, esattamente come il nome del figlio del mio amico Felice, nato esattamente il medesimo giorno del pargolo Reale.

Giampaolo Giudice

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