LE NUOVE REGOLE DELLA CRISI DI IMPRESA

Il diritto della crisi di impresa sta subendo un rilevante processo di modifica iniziato con l’introduzione del Codice della crisi di impresa (CCII) la cui entrata in vigore, relativamente alle nuove procedure concorsuali, è stata più volte rinviata da ultimo al 15 luglio 2022. Nelle more dell’entrata in vigore del CCII, il DL 118/2021 ha introdotto la Composizione negoziata nonché anticipato alcune disposizioni del CCII che favoriscono l’accesso alle procedure alternative al fallimento con lo scopo di preservare i valori aziendali. Il CCII entrerà in vigore nel testo modificato a seguito del recepimento della Direttiva insolvency con norme più flessibili che premiano la dialettica imprenditore (debitore) e creditori, facilitano il raggiungimento di accordi per la ristrutturazione, nonché la relativa ammissione e omologa da parte del tribunale.

Nelle more dell’entrata in vigore delle nuove procedure, il DL 118/2021 ha introdotto lo strumento della composizione negoziata della crisi (CNC), ossia un percorso di risanamento di tipo negoziale e stragiudiziale a disposizione delle imprese che, seppur in situazioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, hanno le potenzialità per restare sul mercato. La natura negoziale, stragiudiziale e volontaria rende il percorso flessibile, svincolato da rigide procedure, funzionale al raggiungimento di accordi con i creditori e le altre parti interessate al fine di mantenere l’impresa in attività, in cui l’imprenditore viene affiancato da un soggetto terzo e indipendente – l’esperto di CNC – con il ruolo di facilitare le negoziazioni con i creditori e le altre parti interessate, nonché svolgere un ruolo di garanzia.

La nomina dell’esperto non apre il concorso dei creditori e non determina alcun spossessamento del patrimonio dell’imprenditore che, pur essendo obbligato a garantire una gestione non pregiudizievole per i creditori e nel rispetto degli obblighi previsti dall’art. 2086 del cod. civ., mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa e può eseguire i relativi pagamenti. La CNC non è una procedura obbligatoria, tuttavia, per espressa previsione dell’art. 15 del DL 118/2021, l’organo di controllo societario, in presenza di una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, devono segnalare all’imprenditore l’esistenza dei presupposti per ricorrere alla CNC. In altri termini lo strumento della CNC è provvisto di un sistema di allerta interna da attivare tempestivamente da parte dell’organo di controllo, rientrando la segnalazione tra gli obblighi di cui all’art. 2403 del cod. civ. con implicazioni in termini di responsabilità in caso di inadempienza o immobilismo.

Il DL 118/2021 rappresenta un intervento urgente – come si evince dalla relativa Relazione illustrativa – emanato in risposta alla generalizzata difficoltà economica causata dalla pandemia, nella consapevolezza che il CCII sarebbe stato inadeguato nel periodo congiunturale colpito dagli effetti dell’emergenza sanitaria.

La CNC, con l’emanazione dell’art. 30-sexies del DL 152/2021, viene dotata di un sistema di allerta esterna. Il richiamato DL 152/2021 ha previsto, altresì, l’automazione e interconnessione tra le banche dati pubbliche e la Piattaforma telematica raggiungibile attraverso il portale internet (https://composizionenegoziata.camcom.it/) che consente all’imprenditore di accedere alla CNC. Il sistema di allerta esterna impone ai creditori pubblici qualificati, quali INPS, Agenzia Entrate e Agenzia Entrate Riscossione, di segnalare all’imprenditore, nonché all’organo di controllo, mancati pagamenti oltre determinate soglie, invitando l’imprenditore a richiedere la CNC, qualora ne ricorrano i presupposti.

La composizione negoziata della crisi non ha dato i frutti sperati nei primi mesi di avvio, essendo il numero di imprese che ne hanno fatto accesso largamente inferiore alle attese del Governo, ma la scommessa legislativa rinnova la fiducia nello strumento della CNC che viene letteralmente trasfuso nel titolo II, parte I del CCII, sostituendo e abrogando la composizione assistita, nonché la relativa procedura che coinvolgeva l’Organismo di gestione delle crisi di impresa OCRI che il vecchio testo del Codice prevedeva di istituire presso ogni Camera di commercio.

Il DL 118/2022, nelle more dell’entrata in vigore del CCII, oltre a istituire la composizione negoziata, introduce e modifica alcune disposizioni della legge fallimentare, finalizzate ad agevolare l’accesso alle procedure alternative al fallimento nell’ottica di un risanamento d’azienda, tra cui la riformulazione della regola sul “cram down” in tema di transazione fiscale, prevedendo che il tribunale omologa il concordato “anche in mancanza di adesione” dell’Amministrazione Finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie.

La riforma delle procedure di insolvenza rappresenta uno degli obiettivi del PNRR attuati, in prima fase, proprio con l’emanazione del DL 118/2021 e del DL 152/2021 di cui il Governo, nella Relazione sullo stato di attuazione del PNRR del 23.12.2021, conferma la corrispondenza con gli obiettivi del PNRR.

Nel quadro normativo in evoluzione del diritto della crisi si inserisce la delega legislativa contenuta nella L. 53/2021, per il recepimento della Direttiva 2019/1023 (c.d. Direttiva insolvency), che offre l’occasione per un intervento sulla riforma del diritto della crisi in essere, integrando e modificando le disposizioni del CCII per attuare le linee dettate dell’UE.

La direttiva persegue una serie di obiettivi, in particolare mira a garantire alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri di ristrutturazione preventiva efficaci che consentano di preservare la continuità aziendale; permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l’insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane; impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto riceverebbero in caso di liquidazione degli attivi della società; prevenire l’accumulo di crediti deteriorati; garantire di poter intervenire prima che le società non siano più in grado di rimborsare i prestiti, contribuendo in tal modo a ridurre il rischio di un deterioramento di questi ultimi nei periodi di congiuntura sfavorevole, nonché ad attenuare l’impatto negativo sul settore finanziario.

Il raggiungimento di tali obiettivi necessita di strumenti di allerta precoce che consentano di aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, incentivando l’accesso dell’imprenditore a quadri e tecniche di ristrutturazione preventiva, in una fase molto anticipata.

Lo Schema di decreto recepisce gli obiettivi della Direttiva insolvency, apportando una serie di modifiche al CCII, che favoriscono la rapida emersione dei segnali di difficoltà, il cui sbocco potrebbe essere sia la composizione negoziata, sostanzialmente trasfusa con il suo sistema di allerta nel CCII in sostituzione della più rigida composizione assistita, sia i quadri di ristrutturazione; l’accesso a quadri di ristrutturazione preventiva, ossia strumenti e procedure diverse dalla liquidazione giudiziale che consentono la conservazione della continuità aziendale le cui regole sono state oggetto di modifica per rendere maggiormente fattibile la ristrutturazione in continuità aziendale, diretta o indiretta.

Lo Schema di decreto legislativo A.G. 374 per il recepimento della Direttiva insolvency è stato approvato dal CdM il 17 marzo 2022, ossia entro la data ultima di recepimento stabilita dalla legge delega 53/2021, ed è attualmente all’esame delle commissioni parlamentari.

Lo Schema di decreto modifica il CCII al solo fine di recepire la Direttiva insolvency, come prevede la legge di delegazione europea, pertanto non potrà disciplinare aspetti diversi da quelli legati al recepimento. La necessità di apportare ulteriori correzioni al CCII, fuori dal perimetro del recepimento della direttiva, richiede l’emanazione di un apposito decreto, tecnicamente possibile, ma la cui portata fa sorgere dubbi in dottrina. In particolare si dibatte sulla possibilità o meno di modificare il CCII relativamente ad aspetti che, seppur previsti dalla legge delega 155/2017 per la riforma della crisi di impresa, come il riordino e riduzione dei diritti di privilegio non sono stati accolti per scelta legislativa nel Decreto delegato (D.lgs. 14/2019).

Il tema dei privilegi potrebbe rappresentare un aspetto complesso da gestire in questa fase soprattutto se il creditore privilegiato è rappresentato dallo Stato, ciò potrebbe avere ripercussioni negative sulla possibilità di trovare soluzioni alternative alla liquidazione giudiziale, viste le difficoltà di un soggetto pubblico nel disporre del proprio credito, esigenza che in ambito tributario e previdenziale ha trovato soluzione nel cram down fiscale e previdenziale (transazione fiscale e previdenziale), ossia la possibilità del tribunale di omologare un concordato in continuità o un accordo di ristrutturazione, anche in assenza di adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, qualora la proposta di soddisfacimento per tali soggetti sia conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.

Le difficoltà che il legislatore ha risolto con il cram down – tramite l’omologa forzosa anche in caso di rigetto della proposta da parte degli enti statali (Agenzia entrate, INPS) – rischiano di ripresentarsi nel caso dei crediti garantiti dalla SACE, cui la giurisprudenza riconosce il privilegio per la garanzia prestata, essendo intervenuta di recente in maniera massiva come garante per il finanziamento di imprese in difficoltà finanziarie dovute all’emergenza sanitaria. Il tema del riordino dei privilegi, quindi, rappresenta un argomento di interesse su cui sarebbe opportuno un intervento normativo che riequilibri i rapporti tra creditori privilegiati, spesso in maggioranza, e creditori chirografari, categoria che rischia di assumere un ruolo residuale sulla sorte della ristrutturazione.

Lo Schema del richiamato decreto A.G 374 modifica in maniera rilevante una serie di disposizioni del CCII, tra cui quelle relative alla definizione della crisi, di cui all’art. 2 c. 1, lett. a), meglio qualificata come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici, che rende difficile per il debitore adempiere alle proprie obbligazioni nei successivi 12 mesi, eliminando il riferimento allo stato di squilibrio economico-finanziario; agli adeguati assetti organizzativi disciplinati nel nuovo testo dell’art. 3 arricchito con i commi 3 e 4, in cui vengono declinati gli obblighi comportamentali per gli amministratori al fine della tempestiva rilevazione della crisi; all’allerta composizione assistita completamente sostituite con la composizione negoziata e il suo sistema di allerta interna e esterna, disciplinate dal DL 118/2021 e dal DL 152/2021, già in vigore da novembre 2021, che ricevono una sistematizzazione nel diritto della crisi; all’introduzione dei quadri di ristrutturazione, definiti dalla lett. m-bis, dell’art. 2 c. 1 del CCII come “le misure e le procedure volte al risanamento dell’impresa attraverso la modifica della composizione, dello stato o della struttura delle sue attività e passività o del capitale”.

I quadri di ristrutturazione sono tutte le procedure che presuppongono l’intervento dell’autorità giudiziaria, in fase di omologa, nonché la presentazione di un piano attestato da un soggetto indipendente e, pertanto, non includono la CNC. Gli istituti per la risoluzione della crisi riconducibili ai quadri di ristrutturazione, oltre a subire importanti modifiche, si arricchiscono di un nuovo strumento quale il piano di ristrutturazione soggetto a omologa di cui all’art. 64-bis del CCII.

Le nuove regole del CCII saranno applicabili alle procedure e strumenti i cui ricorsi introduttivi siano stati depositati dopo la sua entrata in vigore, prevista per il 15 luglio 2022.

Lo Schema di decreto interviene su tutte le procedure alternative alla liquidazione giudiziale con norme che rendono più agile il raggiungimento di un accordo, l’ammissione, nonché la sua omologa. In particolare si introduce un nuovo strumento di semplice accesso, quale il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, e viene riscritta la disciplina del concordato preventivo.

Gli interventi, conformemente a quanto richiesto dalla Direttiva insolvency, hanno l’obiettivo di dotare il diritto della crisi di quadri di ristrutturazione preventiva che consentano alle imprese il risanamento, attraverso procedure che favoriscono il mantenimento della continuità aziendale e dei relativi valori.

Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione muove dalla necessità di attuare la previsione dell’articolo 11, paragrafo 1, della Direttiva insolvency rubricato “ristrutturazione trasversale dei debiti” in base al quale gli Stati membri provvedono affinché il piano di ristrutturazione, non approvato da tutte le parti interessate in ciascuna classe di voto, possa essere omologato, divenendo vincolante per le classi di voto dissenzienti, al valere di certe condizioni.

Il recepimento di tale disposizione avviene attraverso l’inserimento nel CCII dell’art. 64-bis con cui si introduce un nuovo quadro di ristrutturazione per il debitore – il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione – che consente alle imprese in stato di crisi o di insolvenza di prevedere il soddisfacimento dei creditori, previa suddivisione in classi, distribuendo il ricavato del piano anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del cod. civ., purché la proposta sia approvata dall’unanimità delle classi; i crediti assistiti dal privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 1, del cod. civ. – relativi a retribuzioni dei dipendenti – sono soddisfatti in denaro integralmente entro 30 giorni dall’omologazione.

Il nuovo strumento per la ristrutturazione si caratterizza per l’obbligatorio classamento dei creditori, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; per la possibilità di derogare all’art. 2740 del cod. civ., ossia all’obbligo del debitore di rispondere dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri; per la possibilità di derogare all’art. 2741 del cod. civ., ovvero alle regole sulla par condicio creditorum.

Il piano è soggetto all’attestazione da parte di un professionista indipendente tenuto a esprimere il proprio parere sulla fattibilità, come stabilisce il comma 3 del richiamato art. 64-bis. L’approvazione del piano di ristrutturazione richiede il voto a maggioranza assoluta per valore dei crediti vantati in ciascuna classe oppure, in mancanza, il voto favorevole da parte dei due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti complessivi.

L’approvazione in caso di voto favorevole dei due terzi dei crediti dei creditori, prevista nella seconda ipotesi appena richiamata, consente di ottenere il via libera dalla classe di creditori che rappresentano crediti per il 33,33% del totale di ogni singola classe (due terzi del 50% = 33,33%); ciò dovrebbe semplificare l’approvazione nel piano e, dunque, il raggiungimento dell’accordo soprattutto nei casi frequenti in cui, in passato, si sono ravvisate assenze nella partecipazione da parte di alcune categorie di creditori. La previsione che facilita l’approvazione da parte dei creditori trova applicazione anche in caso di concordato, avendo lo Schema di decreto modificato la precedente disposizione introducendo il richiamato meccanismo di approvazione da parte dei due terzi dei creditori.

Le semplificazioni nella direzione di un più agile utilizzo dello strumento a vantaggio del recupero della continuità aziendale, nonché della conservazione dei valori aziendali a vantaggio di tutte le parti coinvolte, riguardano anche il ruolo del tribunale che, nel piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, effettuerà un mero controllo di legalità della procedura, senza entrare nel merito di una valutazione circa la fattibilità economica della ristrutturazione. Lo strumento del piano soggetto a omologazione riduce, quindi, al minimo la fase di ammissibilità, fornendo al debitore una maggiore libertà di azione, con il solo limite riguardante i crediti dei lavoratori, non considerati parti interessate e privi, pertanto, del diritto di voto, vista la previsione del completo soddisfacimento entro 30 giorni dall’omologa (art. 64-bis c. 1 del CCII).

Il minore quorum deliberativo per l’approvazione da parte dei creditori, nonché l’assenza di complesse valutazioni da parte del tribunale circa la fattibilità economica dei piani, non prevista, dovrebbero rendere gli strumenti di ristrutturazione più efficaci al loro scopo, ossia consentire il risanamento massimizzando il valore economico a vantaggio di tutte le parti coinvolte.

Nel caso il piano di ristrutturazione non sia approvato da tutte le classi, il debitore, entro 15 giorni dalla data del deposito della relazione redatta all’esito della votazione dal commissario giudiziale, può modificare la domanda formulando una proposta di concordato, come stabilisce l’art. 64-ter del CCII.

Il concordato preventivo, secondo le disposizioni per il recepimento della Direttiva insolvency contenute nello Schema di decreto, subisce una serie di modifiche che ne riscrivono, nella sostanza, la disciplina.

Le novità sono ispirate dall’esigenza, coerentemente con l’obiettivo unionale, di preservare i valori aziendali, la continuità, nonché facilitare il recupero della liquidità in tempi rapidi nei casi in cui l’economicità aziendale risulti non ripristinabile, rispettando e tutelando gli interessi dei creditori.

In particolare i maggiori cambiamenti alla disciplina del concordato riguardano la definizione della finalità del concordato preventivo, ossia il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale, la liquidazione del patrimonio, l’attribuzione delle attività a soggetti subentranti in qualsiasi forma possibile (art. 84 c.1 CCII). La nuova formulazione precisa, altresì, che la continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori, preservando i posti di lavoro ove possibile, semplificando notevolmente le regole precedentemente previste sulla tutela dei lavoratori (art. 84 c. 2 CCII); l’abbandono, per il concordato in continuità, della precedente impostazione che prevedeva la soddisfazione dei creditori in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità (art. 84 c. 3 del CCII), stabilendo nel nuovo testo normativo che il soddisfacimento dei creditori può avvenire anche in misura non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità; la rielaborazione della disposizione sulla possibilità di pagamento non integrale dei creditori privilegiati, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese generali, attestato da professionista indipendente. La quota residua di credito è trattata come chirografaria (art. 84 c. 5 del CCII); l’obbligo nel concordato in continuità aziendale della suddivisione dei creditori in classi (art. 85 c. 3 CCII); l’introduzione della relative priority rule per il concordato in continuità, in base alla quale soltanto il valore di liquidazione dei beni deve essere distribuito secondo la graduazione delle cause legittime di prelazione; mentre per il valore eccedente quello di liquidazione, incluse ovviamente le risorse esterne, non è necessario rispettare l’ordine dei privilegi, ma è sufficiente che il creditore di grado più elevato riceva più di chi ha un grado inferiore, senza la necessità di garantire l’integrale pagamento di una classe per passare a quella successiva (art. 84 c. 6 del CCII); la previsione della priorità assoluta sia sul valore di liquidazione sia sul valore di continuità per i crediti di lavoro, facendo altresì salvi i diritti pensionistici maturati dai lavoratori (art. 84 c. 7 del CCII); la revisione del contenuto della attestazione da parte del professionista indipendente nel concordato in continuità il quale è tenuto ad attestare che “il piano è atto a impedire o superare l’insolvenza del debitore, a garantire la sostenibilità economica dell’impresa e a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale”. Si è opportunamente abbandonato il criterio ambiguo della miglior soddisfazione dei creditori che non solo poteva prestarsi a opposte interpretazioni, ma lasciava aperte soluzioni giudiziarie influenzate da valutazioni soggettive.

Le modifiche riguardano anche aspetti importanti che attengono al ruolo del tribunale nelle procedure, in particolare quello relativo all’ammissione e all’omologa del concordato.

Le nuove disposizioni stabiliscono che il tribunale, in sede di ammissione, è tenuto a verificare (art. 47 c. 1 del CCII) l’ammissibilità della proposta e la fattibilità del piano intesa come non manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, nel concordato liquidatorio; la ritualità delle proposte, nel concordato in continuità, con la precisazione che la domanda di accesso al concordato è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori.

La nuova previsione non richiede più la complessa valutazione da parte del tribunale circa la fattibilità economica, rendendo quindi più semplice l’accesso a tale strumento di ristrutturazione. Il requisito della fattibilità economica del piano, nel testo attualmente disponibile contenente le modifiche al CCII non è più richiesta nei quadri di ristrutturazione, diversamente, tale requisito rimane presente nel testo dell’articolo 56 del CCII in materia di accordi di esecuzione di piani attestati di risanamento, laddove è previsto che un professionista indipendente debba attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica del piano di risanamento.

In maniera analoga hanno un’importante rilevanza le disposizioni che intervengono sul ruolo del tribunale nella valutazione dei piani e delle proposte di ristrutturazione in sede di omologa (art. 112 c. 1 del CCII), stabilendo che il tribunale omologa il concordato previo le seguenti verifiche di regolarità della procedura; dell’esito della votazione; dell’ammissibilità della proposta; della corretta formazione delle classi; della parità di trattamento dei creditori all’interno di ciascuna classe; in caso di concordato in continuità aziendale, che tutte le classi abbiano votato favorevolmente, che il piano non sia privo di ragionevoli prospettive di impedire o superare l’insolvenza e che eventuali nuovi finanziamenti siano necessari per l’attuazione del piano e non pregiudichino ingiustamente gli interessi dei creditori; in ogni altro caso (es. concordato liquidatorio), la fattibilità del piano, intesa come non manifesta inattitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Ferme restando le verifiche di cui ai precedenti punti, nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, procede con l’omologa, altresì, se ricorrono congiuntamente le condizioni per cui il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, ferma restando la priorità assoluta nel soddisfacimento dei crediti dei lavoratori ex art. 84 c. 7 del CCII; nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito; la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

La verifica da parte del tribunale della legalità della proposta, senza entrare nel complicato merito di valutare gli aspetti legati alla sua economicità, restituisce la definizione di una soluzione congrua alle parti interessate ossia l’imprenditore (debitore) e i suoi creditori.

Lo sforzo, inoltre, di prevedere dei meccanismi di voto che consentono un più semplice raggiungimento dell’accordo tra imprenditore debitore e creditori dovrebbe favorire l’individuazione e il raggiungimento di soluzioni idonee al superamento della crisi e dell’insolvenza, in aderenza a quanto richiesto dalla Direttiva insolvency.

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