La rete dell’odio: insulti, minacce, fake news. Che fare?

Chiunque abbia letto i commenti indirizzati a Carola Rackete, comandante della nave della Ong Sea Watch che opera per il salvataggio dei migranti in mare, sarà rimasto letteralmente senza parole per la loro volgarità. Chi scrive ha scelto di non riportare alcuno di questi commenti offensivi nei confronti di Rackete, ma anche di altri personaggi pubblici, poiché li considera irripetibili. D’altra parte, l’allarme sulla violenza verbale presente in rete è stato lanciato già da molto tempo, anche se non ha prodotto risultati apprezzabili in termini di contrasto al fenomeno. Questo veleno, che scorre copioso soprattutto sulle bacheche pubbliche dei social di politici, opinion maker, cantanti, attori, giornalisti e così via, sembra non avere più alcun argine. Tutti possono finire nel mirino degli haters (‘odiatori’): i personaggi famosi e le persone comuni, le organizzazioni più disparate, i partiti politici, ecc. In un articolo online del settimanale Donna Moderna del 2017, possiamo trovare alcune utilissime considerazioni del Prof. Giovanni Ziccardi, docente di Informatica Giuridica presso l’Università Statale di Milano ed autore del volume “L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in Rete” (Cortina Editore), che accendono i riflettori sulla pervasività delle diverse forme della violenza presente nel web: “Oggi, non si aggredisce più solo per motivi politici, religiosi o razziali – chiarisce l’autore – ma anche per cose banali come l’elezione di miss Italia. Siamo tutti potenziali vittime: la Rete amplifica e veicola la violenza verbale a fasce più ampie di individui. E la rende persistente: una campagna di odio online resta per sempre, pronta a riemergere quando l’evento torna di attualità.” Nel caso delle campagne di odio in rete, si può dire che non vale la teoria di Marshall McLuhan seconda la quale “il mezzo è il messaggio”, dal momento che esse possono nascere, continuare, alimentarsi anche in ambienti comunicativi diversi da Facebook, Instagram, Twitter. Il caso più eclatante è quello delle cosiddette Echo Chambers, ovvero ‘bolle’ di interazione digitale, frequenti soprattutto nelle chat private come possono essere i gruppi Whatsapp o nei gruppi privati di Facebook, all’interno delle quali passa di tutto: dalle notizie false per esempio su reati attribuiti ai migranti fino a materiali audiovisivi a sfondo pornografico e talvolta pedopornografico. L’ottimo lavoro svolto da Selvaggia Lucarelli per Il Fatto Quotidiano ha avuto come esito la chiusura di alcuni di questi gruppi e la scomparsa dei profili dei loro amministratori. Ma, come metteva in guardia l’autrice del reportage, questi gruppi virtuali ricompaiono quasi subito con altri nomi, animati sempre dalla stessa volontà di distruggere le persone prese di mira. Uno dei ‘carburanti’ della rete dell’odio è certamente rappresentato dalla violenza di genere. Nei confronti delle donne si riversano infatti insulti a sfondo sessuale e sessista, laddove l’augurio più ricorrente è quello di essere stuprate così da imparare la lezione. Questo orrore è toccato alle donne delle più diverse appartenenze politiche e culturali: Carola Rackete forse è l’ultima in ordine di lista, prima di lei ci sono stati i casi di Boldrini, Boschi, Raggi, Meloni, ecc. L’elenco è purtroppo lunghissimo. Le piattaforme dei social network dicono di avere adottato strumenti di contrasto come la rimozione di post e pagine pubbliche dedite ai discorsi dell’odio (hate speech). Tuttavia, il loro intervento è evidentemente tardivo e poco efficace. Perfino l’immenso lavoro della Polizia Postale fatica ad individuare e chiudere questi account, soprattutto quando essi sono immersi nel cosiddetto deep web. Di recente, lo studio legale Wilde Side e l’associazione Tlon hanno lanciato, proprio sui social network, un’accesa campagna contro la diffamazione online, attraverso l’adozione dell’hashtag #odiareticosta. Invitano le vittime a difendersi e ad inviare una email di segnalazione all’indirizzo odiareticosta@gmail.com, riportando il link (non lo screenshot) di pagine e post dai contenuti violenti. Il loro team di esperti chiederà una richiesta di risarcimento per le offese ricevute. Siamo dunque agli esordi di una battaglia lunga e complessa che può essere vinta, a patto che vi sia la ferma volontà da parte di tutte e tutti di bucare la rete dell’odio

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