LO STATO IPOCRITA TI DA’ DELLO “SCEMO” E POI CI LUCRA SOPRA!

L’Italia è un posto strano dove tutto sembra funzionare al contrario. Si enunciano buoni principi ma poi si creano i presupposti affinchè tali principi non trovino luogo fertile.

L’Italia è un posto strano, un luogo dove lo Stato ti dà dello “scemo” perché fumi, e poi, ipocritamente, spera che tu continui a fumare per poter incamerare miliardi sonanti dalla sua tassazione.

Stiamo parlando della nuova campagna per la lotta contro il fumo, in cui il simpatico ed ironico attore Nino Frassica stimola l’idea di spegnere definitivamente quella maledetta sigaretta, che i fumatori si ostinano ad accendere, definendoli simpaticamente degli “scemi”.Ma “scemo” certamente non è il Fisco che, dati alla mano, guadagna in entrate erariali, 13 miliardi e 300 milioni (fonte Ufficio Studi della F.I.T.).Partiamo da un presupposto chiaro ed evidente: fumare nuoce alla salute; è talmente evidente che non servono né studi scientifici o dati analitici per chiarire ulteriormente tale concetto, oramai palese a tutti, fumatori e non fumatori.In Italia, dopo l’entrata in vigore della cosiddetta Legge Sirchia (dal nome dell’allora Ministro della Sanità il Professore Girolamo Sirchia), 16 gennaio 2003, è praticamente vietato fumare nei locali chiusi, se non all’interno di apposite sale fumatori, che devono rispettare una serie di norme specifiche per essere tali. Il fumatore demonizzato, è costretto quindi ad uscire dal locale per fumarsi la sua bionda preferita, isolato dal resto del gruppo, in un angolo della strada, solo o in compagnia di altri disperati come lui, inducendo una tale malinconia a quella sola vista che spingerebbe chiunque a riflettere seriamente se sia il caso o meno di smettere di fumare.Una legge questa, giusta e rispettosa di una maggioranza di italiani che sono non fumatori o ex fumatori e che non tolleravano veder trasformato il locale dove erano seduti in una sorta di ciminiera vivente. Giusta e rispettosa anche e soprattutto nel rispetto dei giovani e dei bambini, non solo per la loro salute, ma anche perché troppo spesso sono abituati ai cattivi esempi offerti dagli adulti, e certamente una sigaretta accesa in bocca non è una immagine così edificante.Non contento, lo Stato-educatore, dipinge i pacchetti delle bionde con foto shock, e scritte che dovrebbero indurre colui che acquista e legge, a smettere di fumare.Divieti, demonizzazioni mascherati da avvertimenti, multe salate per i trasgressori, campagne mediatiche, dovrebbero spingere i fumatori a smettere di fumare, con un grande sollievo per le casse statali che spendono fortune per i costi socio-sanitari (circa 7 miliardi e 500 milioni nell’ultimo anno, fonte Istituto Superiore della Sanità).Ma c’è ancora qualcosa che non torna, analizzando il numero dei fumatori: il 20,8% della popolazione italiana è fumatrice (fonte Istituto Superiore della Sanità), ed è questo un dato che è rimasto praticamente invariato negli ultimi anni.Quindi, nonostante i continui rimproveri dello Stato educatore, che con vigore tenta di spingere il fumatore a smettere, ciò non sta avvenendo.Altro dato che non quadra: lo Stato-educatore utilizza la leva fiscale per rendere le bionde più costose, tentando di indurre il vizioso fumatore a smettere (o sperando di lucrarci qualcosa in più?), eppure nonostante ciò le vendite non diminuiscono.Infatti, le sigarette hanno subito aumenti considerevoli nel prezzo di vendita, e chi ci guadagna la fetta più importante? Lo Stato! In primo luogo in quanto produttore attraverso l’ETI S.p.A., che non è più proprietario di noti marchi nazionali di sigarette (venduti, mediante asta pubblica, nel 2004 alla BAT), ma detentore di diversi stabilimenti manifatturieri ed eredititario dall’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato della commercializzazione dei tabacchi. In secondo luogo perché sulla vendita delle sigarette gravano accise e IVA che lo Stato incassa felicemente. Infatti, sulla vendita di un singolo pacchetto di sigarette, il tabaccaio incassa solamente il 10% del prezzo di vendita (il suo aggio corrisponde solo a pochi centesimi!), il fornitore 70 centesimi a pacchetto, mentre il nostro caro Stato, così educatore di sani valori morali, incassa € 2,90 in accise e 90 centesimi di IVA.Quindi il fumatore “scemo” continua a fumare, nonostante i divieti, le demonizzazioni e gli aumenti costanti, mentre lo Stato ipocrita, continua a creare campagne di sensibilizzazione, a porre divieti, ad aumentare il prezzo finale, con la scusa che più costano e meno si vendono, ed intanto, ci lucra sopra.Una ipocrisia talmente evidente che dovrebbe far riflettere qualsiasi politicante: come può lo  Stato, novello Giano bifronte, con una faccia educarmi a smettere di fumare, ponendomi una serie di condizioni, e con l’altra faccia sorridere quando incassa i soldi dei fumatori stessi? In pratica è come se un pusher ti vendesse la tua dose quotidiana di droga e mentre incassa il guadagno della vendita ti ammonisce perché con quella roba ti rovini la vita!Quello che appare ancora più ipocrita è l’atteggiamento che lo Stato assume nei confronti di altri competitors; ad esempio, le sigarette elettroniche. Nate sulla spinta di indurre il fumatore a smettere, passando dal tabacco alla svampata, il mercato si è via via inaridito, sia a causa di una pressante e martellante campagna mediatica che in modo allarmistico annunciava gravi problemi di salute sul medio-lungo periodo di assunzione (tutto ancora da dimostrare!) sia per la sua tassazione (caro Stato educatore) che è praticamente raddoppiata di colpo, facendo calare le vendite. Forse troppe persone che svampavano sigarette elettroniche invece che accendersi la classica bionda avrebbero danneggiato l’ETI ed i suoi stabilimenti manifatturieri? Chissà.q

Se invece, allarghiamo l’orizzonte dei vizi umani, possiamo notare come lo Stato riesca ad incamerare soldini sonanti pure sull’alcol e la sua vendita. Dodici miliardi di euro è il gettito fiscale annuo sulla tassazione alcolica, così suddivisa: 8 miliardi e rotti per il vino e quasi 4 miliardi per la birra. Qui, però, non ci sono campagne di sensibilizzazione sui rischi per la salute del bevitore; qui le bottiglie non presentano immagini di fegati spappolati dall’uso eccessivo di alcol; qui non ci sono scritte inquietanti, tipo “l’alcol uccide” da apporre sulle bottiglie; l’unica campagna di sensibilizzazione è rivolta a chi si mette alla guida di una autovettura con un tasso alcolemico alto, al fine di evitare stragi inaudite che imbrattano di sangue le nostre strade. Eppure, secondo recenti stime lo Stato spende annualmente circa 22 miliardi l’anno tra l’impiego di forze dell’ordine per il controllo stradale, le spese per pratiche burocratiche, per le detenzioni ed i costi legati agli incidenti stradali; e a questi andrebbero aggiunti i costi sanitari per chi subisce gravi danni dall’abuso di alcol, e allora la spesa sostenuta dallo Stato aumenterebbe vertiginosamente, ma nessuna campagna di sensibilizzazione seria viene effettuata sull’alcol. Anzi, leggendo il Piano d’azione europeo 2012-2020 per ridurre il consumo alcolico dell’Istituto superiore della Sanità, troviamo l’unica ricetta che conosce il nostro amato Stato-educatore: aumento delle tasse sull’alcol, imposte più alte per i prodotti maggiormente alcolici e incentivi per i prodotti a basso contenuto alcolico, tasse speciali per i prodotti alcolici che possano attrarre maggiormente i giovani consumatori. Tasse, solamente, unicamente tasse come la sola ricetta possibile per diminuire l’uso, o l’abuso alcolico, e, ovviamente, grazie a tale ricetta lo Stato sicuramente ne trarrà un beneficio, almeno in termini di gettito fiscale. Quindi, cari bevitori, se quando ordinerete una bottiglia di vino per accompagnare il vostro pasto, la troverete già iniziata, se quando ordinerete un boccale di birra insieme alla vostra pizza, lo troverete pieno a metà, tranquilli, è lo Stato-educatore che si è già bevuto ciò che vi manca!

Ma l’apoteosi, lo Stato-educatore lo raggiunge con un altro vizio umano: il gioco d’azzardo. Praticamente si gioca ounque, sia nelle tabaccherie, che nelle ricevitorie che online, e si scommette per qualsiasi cosa. Inoltre la crisi economica che sta attanagliando la nostra società spinge tantissime persone a tentare la fortuna per risollevare la propria condizione economica. Ma è soltanto la dea che è bendata, perché, considerando anche i neonati, la spesa media annuale destinata al gioco d’azzardo supera i 1.200 euro pro capite (fonte Associazione Libera), arricchendo sempre più le casse delle poche società che detengono il monopolio delle scommesse. Si dirà che lo Stato incamererà un gran gettito fiscale, e invece, mentre si nota un aumento costante delle entrate da gioco d’azzardo, si riscontra un fisco quasi immobile, con tassazioni  spesso irrisorie. Esempio: Superenalotto, tassazione al 44,7%; Lotto, tassazione al 27%; Gratta e Vinci, tassazione al 16,5%; Videolottery, tassazione al 3%; Poker cash e casino on line, tassazione allo 0,3%. E allora scopriamo che se la dea Fortuna è bendata, il Fisco è miope o in malafede, perché le spese sostenuti dallo Stato per i controlli amministrativi sul funzionamento delle macchine da gioco, i controlli sull’evasione fiscale, la lotta al gioco illegale, alla criminalità organizzata con le sue infiltrazioni e all’usura a cui molti giocatori dipendenti si rivolgono per coprire i debiti derivati dal gioco compulsivo, sfiorano i 30 miliardi di euro. Senza calcolare le spese sanitarie sostenute per chi è affetto da ludopatie. Si dirà che il gioco d’azzardo rappresenta una fetta importante del nostro PIL, circa il 4%, ma nessun politicante ha mai posto seriamente tale problema, e mai lo Stato ha definito “scemo” chi si gioca stipendi e pensioni alle slot machine oppure in Gratta e Vinci, ne ha mai tentato seriamente di disincentivare tale vizio, attraverso una tassazione più incisiva.

Per lo Stato è “scemo” solo chi si accende una sigaretta, bruciando, consapevolmente, un pezzetto della propria vita mentre regala soldi al Fisco. E da uno Stato-educatore così miope ed in malafede, l’offesa gratuita non deve essere accettata di buon grado, men che meno se fatta dal Ministero della Sanità, attraverso uno spot pubblicitario pagato con denaro pubblico.

Raffae
le Zoppo

 

 

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