“Mica l’ho fatto apposta. Anzi, avrei volentieri evitato, ma era impossibile non vederli. Erano proprio davanti a me. Luci di mezza sala, durante la pubblicità”.
Una donna, al cinema, vede, in modo del tutto inaspettato, un’amica in compagnia dell’amante; vorrebbe far finta di nulla, e, invece, affronta con lei l’argomento; si troverà, così, invischiata in una serie di bugie, di non detti, di mezze verità, che metteranno in crisi il suo solido matrimonio, ma non, però, quello dell’amica fedifraga.
E poi, una mail scritta ad un parente, allora così molto vicino, che diventa un fragile tentativo di contatto tra mondi oramai, da tempo, non più comunicanti, per tentare di chiarire antichi perché sospesi nel vuoto, e riaprire, così, verità misteriosamente celate.
E, ancora, quei disagi vissuti in famiglia, quelle apparenze false, che nascondono verità dure da digerire, da affrontare, da rivelare, per cui è sempre più facile mentire, anzi “bisogna mentire, non c’è altra soluzione”, per evitare feroci, imbarazzanti, dure discussioni.
Queste sono solo alcune delle novelle che compongono il romanzo ‘Brividi immorali’, edito da La Nave di Teseo, e che segna il debutto letterario di una straordinaria Laura Morante.
Lei, attrice e regista, con una solida e ricca carriera sulle spalle, ha deciso di liberare la sua anima, lasciandola fluire in parole che si tramutano in inchiostro vero e sincero, che colora le bianche pagine del suo racconto.
Storie brevi, slegate fra loro, storie che non hanno nulla di intimo e personale, storie che gettano uno sguardo sulla realtà che ci circonda, indagano sui sentimenti e le relazioni che avvicinano, o dovrebbero avvicinare, gli essere umani.
Racconti sinceri, spiazzanti, apparentemente contrastanti tra loro, annodati insieme da preludi, che si offrono di disegnare la trama del romanzo, di accompagnare il lettore nell’ascolto delle varie novelle, di tenere unite parti letterarie, a prima vista, così irregolari e aritmiche fra loro.
Perché, c’è comunque una musicalità nei racconti scritti da Laura Morante, un suono, una melodia, con le note che diventano parole, e danno vita ad una musica vocale, una sorta di jam session, dalle tonalità vibranti, dure, bollenti, vivaci ed improvvisate, che spiazzano, ogni volta il lettore, ma lo irretiscono, lo coinvolgono profondamente, spingendolo ad ascoltare quel suono straordinario, immergendosi in esso.
E, a sottolineare proprio questa musicalità dei racconti scritti dalla penna ironica, raffinata e seducente di Laura Morante, troviamo, in apertura e chiusura di ogni ‘brano’, una riga di pentagramma, scritta dal Maestro Nicola Piovani, strutturando, così, il testo come fosse una sequenza di andanti e di allegri, passando da temi più leggeri e divertenti, a temi più dolenti e tristi.
E al centro di queste novelle troviamo proprio le umane relazioni e gli umani sentimenti, osservati nella loro quotidianità, protagonisti di un vivere troppo spesso immorale, alla ricerca di un brivido che dia emozioni e colore alle nostre anonime esistenze.
In queste storie incontriamo coppie in crisi, famiglie, amici, con le loro verità taciute, che si trasformano in bugie, anche perché “una bugia ostinata è spesso più convincente di una verità non verosimigliante”, con le loro paure, le loro insicurezze, i loro tradimenti, con vecchi rancori e fraintendimenti, serbati, pervicacemente nell’animo per anni, ma che improvvisamente riescono a scompaginare ogni certezza, a mutare la fine, o l’inizio di una storia, facendo saltare ogni morale costruita.
Lo sguardo attento e la penna chirurgica di Laura Morante indagano sull’universo delle relazioni umane, troppo spesso precario, sferzato dai venti umorali, e dai repentini cambiamenti di direzione, che prendiamo, ostinatamente, inseguendo la nostra morale, cercando di non farci sopraffare dalla quotidiana violenza, piccola o grande che sia, che incontriamo nelle nostre quotidianità.
Novelle che raccontano di donne fragili, inquiete, contraddittorie, di uomini infantili, razionali, pragmatici, di bambini sognanti, ma terribilmente feroci, nella loro ingenuità, di città familiari e rassicuranti, e di case che sembrano lande sterminate tutte da esplorare.
Novelle così apparentemente sfuggenti e slegate, ma nelle quali, invece, sottilmente possiamo notare quel fil rouge che le annoda insieme: un’implacabile, disarmante ironia, che nel caos della vita, nel disordine degli elementi che compongono le nostre esistenze, riesce a far emergere tutta la vera bellezza disarmante del nostro vivere, una specie di musica che nasce dalle improvvisazioni, imprevedibile e trascinante, per la quale il destino ci invita solo ad abbandonare ogni sicurezza, e lasciarsi andare, ballando finalmente liberi.
Perché questo solo possiamo fare: “una buona volta, lasciarsi trascinare verso la cascata. Precipitare in un lago di acqua scura e profonda, ma incredibilmente calma. Galleggiare tranquillamente sulla schiena, con lo sguardo rivolto al ponte oscillante, ai sentieri scabrosi e impervi. Lontanissimi, ormai”.