Cavallini a Santa Cecilia

Non molti sanno che nella controfacciata della Chiesa di Santa Cecilia in Trastevere a Roma è celato, da un coro Settecentesco, uno degli affreschi medievali più belli di sempre, il Giudizio universale di Pietro Cavallini. Quest’opera venne riscoperta casualmente nel Novecento durante un restauro degli arredi liturgici, ma molte erano le testimonianze nelle fonti scritte, come in Vasari, Alberti e Ghiberti.

In questi affreschi si può cogliere una capacità pittorica straordinaria: basti guardare il cromatismo, la costruzione in prospettiva dei seggi, la volumetria dei corpi, i panneggi, l’espressività e la caratterizzazione dei volti con, addirittura, la peluria della barba. Grazie alla sua superlativa abilità, Cavallini riesce a rendere le trasparenze delle vesti e i chiaroscuri della pelle, delle rughe, del naso.

La decorazione non si limitava alla sola controfacciata, ma proseguiva lungo tutte le pareti della navata centrale con scene vetero e neotestamentarie, realizzate non da mano cavalliniana, ma da due artisti di altissimo livello, purtroppo anonimi, uno di loro chiamato “Maestro di Santa Cecilia”. Sfortunatamente, molto è andato perduto.

La riscoperta di questo capolavoro sconvolge il panorama pittorico del tardo Duecento, in quanto Roma era stata esclusa dal discorso del rinnovamento, attribuito agli artisti toscani, dal momento che Torriti, artista protagonista del contesto romano e prediletto dai papi, era ancora legato ad istanze bizantine. Da ciò consegue un problema legato alle datazioni. Non conoscendo date precise di Cavallini, anche perché molte sue opere sono andate distrutte, si tende a dare la precedenza ad artisti come Giotto, mitizzato al ruolo di rinnovatore della pittura.

In questo caso, la datazione è ancorata al 1293, anno in cui Arnolfo di Cambio realizza il ciborio nella stessa chiesa: infatti, Cavallini e Arnolfo lavorano contemporaneamente sia a Santa Cecilia sia a San Paolo fuori le mura negli anni 80 del 1200.

La visita alla Chiesa merita la vista!

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