Istanbul: “la bellezza del suo panorama è nella sua tristezza”

Istanbul è da sempre considerata una delle più affascinanti città del mondo, sospesa com’è tra mondo orientale e mondo occidentale, e nella narrazione resa dal suo celebre e controverso abitante lo diventa ancora di più. Orhan Pamuk, recentemente insignito del premio Nobel per la letteratura, scrive questo libro con l’intento di raccontare la sua città e lo fa illustrandoci il suo percorso di vita, in un arco di tempo che va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del Novecento. La sua vita dunque si intreccia alla vita e alla storia complessa di Istanbul, suscitando in lui sentimenti opposti che vanno dall’amore all’odio. Il ritratto che ne esce fuori dalla narrazione è a tutto tondo, dove le ombre, talvolta, sovrastano le luci. Pamuk ricorda passeggiate bellissime nei quartieri più poveri e decadenti, parla di musei sempre deserti, di importanti reperti archeologici considerati dagli abitanti solo macerie. Nella sua dissertazione non manca nulla, corredata com’è, ad ogni pagina, da raffinate foto in bianco e nero: testo e immagini si compenetrano, si incrociano e si rispecchiano in modo armonico,  l’intera storia recente della città viene rievocata anche attraverso la storia dei giornali, dei quadri, delle citazioni di celebri autori europei che della città hanno trattato. Lo scrittore parallelamente racconta la sua vita, vissuta all’ombra dell’alta borghesia della città, in una famiglia di intellettuali molto permissivi ed inclini ad assecondare il talento personale. Un’infanzia senza scossoni, agiatamente serena e piena di affetti, seguita da un’adolescenza ricca di letture con il seguente approccio alla pittura. Sua prima passione artistica, infatti, fu proprio la pittura, a cui si dedica con dedizione, passando interi pomeriggi a disegnare il profilo degli edifici sul Bosforo e il panorama del Corno d’oro su cui si affacciavano le sue finestre. Attraverso la descrizione di ciò che vede, da attento osservatore quale è, Pamuk trasmette al lettore tutte le atmosfere e gli stati d’animo predominanti della città, ossia la malinconia e la tristezza per un passato glorioso e purtroppo perduto, i cui fasti si riconoscono nelle rovine, nelle case decrepite che conservano il ricordo di quello che Istanbul è stata l’opulenza dei tempi passati di un impero che decadendo non è riuscito a contrapporsi all’inevitabile attacco della modernizzazione. Un intero capitolo è dedicato proprio a questo sentimento che scivola nella vita della città, nella poesia, nella musica e nella vita dello scrittore, ed è un sentimento sia positivo che negativo, ma soprattutto affascinante. Non solo: il lettore riesce a sentire le voci, gli odori, i rumori della città. Come i fischi delle navi e dei traghetti del Bosforo, che diventa quasi una metafora: esso rappresenta l’unione della città col mare, da qui provengono la forza e lo spirito di Istanbul, il sentimento di libertà. Il racconto apre continue finestre sul mondo esterno fatto degli avvenimenti e la storia della città con l’aiuto dei giornali dell’epoca per poi ripiegare ancora sulle vicende personali; i rovesci economici della famiglia e ancora l’amore per il mare. Soprattutto per chi già conosce Istanbul, tutta la narrazione si trasforma in un’appassionante rilettura di nomi e strade già conosciuti, rivissuti sotto la luce non più del turista, ma dell’oriundo. Il ritratto dipinto dall’autore della sua città natale è senza dubbio a volte malinconico, a volte critico, ma sempre affezionato, proprio di chi ha un fortissimo legame con la propria città, nel bene e nel male. Pamuk riesce a tuffarsi pienamente nella sua città, a viverla e raccontarla da dentro, ma al tempo stesso riesce a guardarla come se fosse uno straniero, con una specie di estraneità, come se la guardasse da fuori, da una finestra. Lo scrittore riesce ad essere personaggio e insieme osservatore. La sua vita dunque si intreccia alla vita e alla storia complessa di Istanbul, suscitando in lui sentimenti opposti che vanno dall’amore all’odio.

Cinzia Murgia

Orhan Pamuk, Istanbul, Einaudi 2003, pagine 380, 13 euro.

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