Hilla von Rebay, la baronessa del Guggenheim

Il museo Guggenheim di New York è una sorta di totem della città e dell’arte contemporanea. La forma a spirale che si innalza verso il cielo contribuisce all’aspetto sacrale che deve avere il tempio degli artisti. Ad idearlo fu l’architetto Frank Lloyd Wright che non sopravvisse tuttavia alla sua creatura più celebre. A volerlo fu Solomon R.Guggenheim, collezionista americano d’arte che viveva con sua moglie Irene in un appartamento all’Hotel Plaza. A popolarlo, sin dall’inizio, i più grandi pittori del tempo: Kandinskij, i coniugi Delaunay, Mondrian, e tanti altri. A pensarlo come porto d’approdo delle avanguardie del ‘900 ci fu una donna, poco nota, che si chiamava Hildegard Anna Augusta Elizabeth Freiin Rebay von Ehrenwiesen, o più semplicemente Hilla Rebay. Nei circoli artistici della New York di fine anni Venti si favoleggiava di una liaison con Solomon Guggenheim. Eppure – come ci racconta il mensile Elle – in realtà la baronessa Rebay aveva rinunciato all’amore molti anni prima. Nata nel 1890 in un’aristocratica famiglia tedesca sin da bambina manifesta le sue inclinazioni artistiche. Hilla von RebayI genitori, sperando che incontrasse un marito, la assecondano, consentendole di andare a Parigi. Lì, nel 1913, riesce ad esporre i suoi dipinti ed è molto severa con se stessa, tant’è che scrive: “I mie lavori sono orribili. È triste che l’arte sia così dura. Più si va avanti e più lo diventa”. Dopo gli anni trascorsi nella Ville Lumière si trasferisce a Berlino dove si lega sentimentalmente al pittore Rudolf Bauer. La loro è una relazione molto complicata e Hilla rifiuta di sposarlo pronunciando parole memorabili: “Essere sposati, questo sarebbe ridicolo, stupido … I legami per me sono ingestibili e completamente impossibili. Ne sono distrutta, non potrei mai rimanere con qualcuno per sempre.” Nel 1927, all’età di trentasette anni, si trasferisce a New York per ricominciare, ancora una volta, tutto d’accapo. Ed è qui che incontra Guggenheim, iniziandolo alla cosiddetta “arte non oggettiva”, da qualcuno definita astratta, cosa che la mandava su tutte le furie. Scrisse anche un pamphlet su questa nuova forma d’arte, sancendo che la prima regola doveva essere l’annullamento di qualsiasi riferimento a forme naturali. Se il rapporto con il magnate e collezionista americano fu una sorta di idillio (forse anche amoroso), i problemi sorsero con il suo entourage ed in particolare con Irene, la moglie. Alla signora Guggenheim la nuova arte proprio non piaceva e non riusciva a perdonare al marito la sua conversione dalle bellezze consolidate e rassicuranti della tradizione al nuovo sperimentalismo figurativo. Hilla veniva chiamata b, come baronessa ma anche come bitch. Fu nel 1939 che il suo ruolo di curatrice del museo, che all’inizio fu ospitato in un’ex concessionaria di automobili, divenne ufficiale. I lavori per l’apertura del nuovo museo durarono a lungo e al party di inaugurazione Hilla scelse di non andare, perché sentiva di non appartenere alle nuove correnti artistiche dell’America degli anni Cinquanta. Contribuì a creare un nuovo mondo ma capii quando era tempo di andare.      

 Pasquale Musella

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