Brasile 1950.Il Maracanazo

maracanazoSpiagge assolate, tramonti paradisiaci, donne meravigliose in grado di far perdere la testa ad un uomo, solo rivolgendogli lo sguardo, tutto questo è il Brasile. Ma non solo, il Brasile è e sempre sarà il calcio. O futebol nella nazione carioca non è uno sport, è una religione. Questo vero e proprio culto ha milioni di fedeli di tutte le etnie (in Brasile sono tantissime), ogni estrazione sociale, sesso e livello di istruzione. Naturalmente ha anche i suoi dei, i calciatori, che sono idolatrati come santi e le cui gesta hanno il potere di cambiare la storia, non solo sportiva, del proprio Paese. Del resto, il Brasile è l’unica nazione ad aver vinto per ben cinque volte il Campionato del Mondo di calcio, ma la sua storia all’interno di questa competizione inizia con una sonora e cocente sconfitta, patita nel Mondiale del 1950, organizzato proprio nella terra del samba. Il racconto inizia con l’ascesa al potere politico di Getulio Vargas, ricco proprietario terriero e governatore dello Stato del Rio Grande do Sul, che favorì prima un governo militarista e poi divenne Presidente, grazie anche ad un colpo di stato nel 1937, con conseguente sospensione delle libertà civili e instaurazione della cosiddetta “Costituzione polacca”, chiamata così perché molto simile a quella imposta dalla svolta autoritaria del “regime dei colonnelli” di Pilsudski. Il consenso a Vargas non era però totale ed egli non era visto di buon occhio dalla agiata borghesia paulista, che viveva sulla costa atlantica del Brasile. I suoi collaboratori, che avevano assistito in missione diplomatica all’organizzazione dei Mondiali del 1934 in Italia da parte del regime fascista, gli suggeriscono che il calcio può essere la strada giusta per raccogliere il consenso assoluto. Vargas fa carte false e, alla fine, riesce a fare assegnare al Brasile i Mondiali ma c’è un problema, scoppia la Seconda Guerra Mondiale e l’evento viene posticipato. Quel campionato si giocherà 12 anni dopo, perché la Federazione stabilisce come data il 1949, ma il Brasile chiede un anno di proroga. Il motivo è la realizzazione di un sogno: costruire il più grande stadio di calcio di tutti i tempi e la nazione verdeoro ci riesce, viene edificato in un solo anno il Maracanã, con una capienza che arriva fino a 160.000 posti. Tutto è pronto dunque e il grande evento può iniziare. Vengono formati i quattro gironi, perché le squadre sono stranamente 13, in seguito al forfait dell’India, della Scozia e della Turchia. Tra le teste di serie c’è naturalmente il Brasile padrone di casa e superfavorito per la vittoria finale, l’Italia che è campione uscente doppio, avendo vinto le edizioni del ’34 e del ’38, l’Uruguay che ha vinto il primo Mondiale nel 1930 e, cosa sensazionale, per la prima volta si degnano di partecipare alla competizione anche i “maestri” inglesi, che si vantano di aver inventato il calcio stesso. L’Italia sarebbe una squadra fortissima se non avesse subito, nel maggio del 1949, la tragedia più grande e sentita della sua storia sportiva. Il 4 di maggio di quell’anno, infatti, avvenne il disastro di Superga, con lo schianto dell’aereo che trasportava la più forte squadra italiana di sempre, il Grande Torino di Valentino Mazzola. La Nazionale italiana era composta, di fatto, da quel Torino e inoltre i nostri calciatori non vollero comprensibilmente andare in Brasile in aereo, perciò si sobbarcarono un lunghissimo viaggio in nave e giunsero al Mondiale stanchissimi, venendo eliminati al primo turno. Ma la più grande sorpresa di quelle eliminatorie avvenne con la partita Inghilterra – Stati Uniti. Tra le fila dei britannici gioca il più grande calciatore della storia del football inglese, Stanley Matthews, uno dei più grandi attaccanti di sempre, che però quel giorno si rifiuta di giocare “contro i sudditi” cioè gli Americani, in attacco c’è Mortensen, un colosso che segna tantissimi gol e gioca nell’Everton. È l’idolo di un giovane e promettente ragazzino di Liverpool, un certo Paul Mc Cartney, che qualche anno dopo farà parte di una band piuttosto famosa: i Beatles! Mortensen verrà poi immortalato sulla copertina del più rivoluzionario disco della storia della musica, Sgt. Pepper’s Lonley Heart’s Club Band, dove figura alle spalle di George Harrison e al fianco della femme fatale per eccellenza, Marlene Dietrich. Gli Inglesi perdono uno a zero, con il gol di un certo Joe Gaetjens, immigrato di origini haitiane che di mestiere faceva il cameriere. Lo shock è tale che i “maestri” perdono anche la successiva partita con la Spagna e in patria è tanta la sorpresa, che le persone credono in un errore di stampa, ma debbono mutare opinione e i tabloid titoleranno enfaticamente “The death of English football” (La morte del calcio inglese). Arriva poi il giorno della finale, al Maracanã si sfidano il Brasile e l’Uruguay davanti a 205.000 persone. L’ultima volta che tanta gente ha assistito riunita ad un evento sportivo era stato al Colosseo e i gladiatori combattevano con le belve. Tra i padroni di casa milita o maestro Zizinho, considerato da Pelé il più grande giocatore brasiliano e nella Nazionale albiceleste gioca el futbol, Juan Alberto Schiaffino, che militerà anche nell’Inter ed è uno dei più grandi fuoriclasse del calcio. A raccontare l’evento c’è Ary Barroso, giornalista e artista carioca che ad ogni gol del Brasile suona una specie di armonica e ha scritto, tra le altre cose, Aquarela do Brasil, la più famosa canzone popolare brasiliana. Il primo tempo finisce zero a zero ma nel secondo l’Uruguay, guidata dal suo leader, il mediano Obdulio Varela, entra in campo con un altro spirito. A segnare per primi però sono i brasiliani con Friaça, ma gli uruguagi ribaltano il risultato con la reti della stella Schiaffino e di Ghiggia, che giocherà nell’Inter e nella Roma. Quello fu il disastro del Marcanã, il Maracanazo, una delle più grandi tragedie della storia brasiliana non solo sportiva. Barroso si rifiuterà per sempre di commentare una partita della Nazionale, che da quel giorno cambiò colore di maglia e passò dal bianco al verdeoro attuale; sarà proclamato il lutto nazionale e il portiere Barbosa sarà additato per anni come un traditore. Lo stesso Ghiggia, l’unico ancora in vita degli uruguagi, anni dopo tornerà in Brasile e un doganiere lo fermerà accusandolo di aver ucciso il padre, morto d’infarto 10 minuti dopo il suo gol. La nazionale carioca si rifarà negli anni successivi, ma quella resta una delle più grandi onte subite dal Paese.

 

Patrizio Pitzalis

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