Occupy Istanbul

Da pochi giorni a questa parte Tayyip Erdoğan, primo ministro della Turchia, sedicesima potenza economica mondiale, non può più essere considerato un leader incontrastato. Le dimostrazioni che dilagano nella Capitale Istanbul hanno come bersaglio ben altro che la pura e semplice protesta di matrice ecologista: la difesa del Gezi Park da parte dei manifestanti svelerebbe infatti un vivo sostrato di ribellione politica a un modello portato avanti dall’Ak Party (Partito della giustizia e dello sviluppo) in sella ininterrottamente dal 2002 e guidato proprio da Erdoğan. Tra gli ultimi progetti di quest’ultimo c’è infatti la costruzione di un nuovo centro commerciale con annessa moschea e il restauro di antiche barracks ottomane nel centro della città, che dovrebbe prendere il posto proprio del Gezi Park, un’area verde di circa 600 alberi, che seppur di dimensioni ridotte rispetto ad altri spazi verdi che siamo abituati a vedere in Europa, rappresenta comunque l’ultimo polmone della parte occidentale della città. Prima della Diaspora Armena del 1915 una parte di esso era adibito alla sepoltura degli armeni, parliamo del cimitero di Pangalti, il più grande campo santo non musulmano presente a Istanbul. Successivamente e per volere di Mustafa Kemal Atatürk fu creato il il Gezi Parkı Inönü, attualmente il cuore della protesta #OccupyGezi, così ribattezzata sul social network Twitter, dimostratosi una cassa di risonanza fondamentale nelle varie Primavere Arabe. Ma il governo turco non ha evidentemente gradito le dimostrazioni dei manifestanti e ormai da giorni in città si è aperto uno scenario decisamente preoccupante per le sorti future dell’AKP. Contro il movimento, in principio sottovalutato, Erdoğan ha optato per la dura repressione; reparti antisommosse della polizia hanno colpito i manifestanti con gas lacrimogeni, idranti e gas urticanti contro quest’ultima categoria di “indignati”, che ormai sta facendo parlare di sé tutto il mondo. Lo scenario in loco è tutt’altro che rassicurante: abbiamo già visto immagini e letto resoconti in cui si apprende di una situazione caotica in cui imperversa la città. Fino a due giorni fa si parlava solo di feriti, ieri invece un manifestante turco di 20 anni e’ morto e altri quattro sono rimasti feriti dopo che un taxi si e’ lanciato contro la folla che occupava una super strada di Istanbul. La vittima, Mehmet Ayvalitas, e’ il primo manifestante che risulta aver perso la vita nelle proteste anti governative che ormai sono giunte al quarto giorno. Oggi invece il numero dei morti sarebbe salito a tre, come reso noto dall’emittente Ntv. Prima di partire per una visita ufficiale in Marocco, che non è stata disdetta forse per trasmettere ai turchi un segnale di normalità, il Primo Ministro ha ribadito la sua accusa nei confronti di quelli che ha definito come “elementi estremisti” artefici dei disordini a Istanbul e in altre citta’ e ha ripudiato ogni possibile riferimento all’affermarsi di una “Primavera turca” nel Paese: “Il principale partito d’opposizione, il Chp (Cumhuriyet Halk Partisi), ha provocato i miei cittadini innocenti, quanti nell’informazione definiscono questa una Primavera Turca non conoscono la Turchia”. Erdoğan ha poi fatto riferimento all’intrusione di elementi esterni alla Turchia stessa nell’organizzazione dei disordini. “Siate calmi e rilassati, supereremo tutto questo”, ha assicurato il premier. Ma la protesta dell’enorme folla presente nelle strade della Capitale, (200 i cortei attivi nei giorni scorsi), è a fatica inquadrabile e riconducibile all’operato di gruppi sovversivi affiliati che abbiano le loro basi all’estero. E’ prematuro ipotizzare quali saranno i possibili esiti di quello che si è rivelato un movimento di natura politica volto a destabilizzare il potente capitalismo di stampo islamico del Primo Ministro. Certo è che difficilmente l’episodio rimarrà isolato vista l’animosità con la quale questa grande fiumana umana sta manifestando il proprio dissenso.

 

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Silvia Di Pasquale

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