“La locomotiva gialla” di Rocco Della Corte tra i vincitori del concorso letterario “Piccole pesti leggono”

“La locomotiva gialla” di Rocco Della Corte tra i vincitori del concorso letterario “Piccole pesti leggono”

C’è anche il racconto del giornalista e scrittore Rocco Della Corte nell’antologia “Piccole Pesti Leggono”, che raccoglie i dodici racconti vincitori della VII Edizione dell’omonimo concorso letterario indetto dalla casa editrice Kimerik, dinamica realtà editoriale di Messina. Una storia di fantasia, che ha come protagonisti due bambine e due bambini con un obiettivo: quello di andare a vedere cosa c’è dentro l’arcobaleno. Una favola molto breve inserita nel libro che, come si legge dalla sinossi, è pensato apposta per i più piccoli per far loro “ampliare la già immensa immaginazione che possiedono” e farli “entrare in contatto con la realtà attraverso un linguaggio semplice e colorato”. I colori sono al centro del racconto di Rocco Della Corte, che mette insieme una giornata buia, una locomotiva gialla, un arcobaleno e Arlecchino.

Cosa ti ha spinto a scrivere una favola per bambini, viste le precedenti pubblicazioni nei campi della saggistica e della narrativa?

Mi ha spinto una precisa considerazione: gli adulti vivono la loro contemporaneità con una ossessiva voglia di alleggerirsi, semplificare, fare in fretta per poter dire “ho finito”. I bambini, al contrario, vanno alla ricerca della scoperta, del tassello che aggiunge qualcosa alla loro routine, dell’elemento che rende più pieno e dunque più pesante il loro bagaglio conoscitivo. La favola, a livello narrativo, è un punto di incontro straordinario tra questi due fisiologici modi di vivere la vita.

Come cambiano i registri stilistici tra un saggio, un articolo, una storia e una favola?

Sono letteralmente lingue diverse. La favola ha in sé la complessità di dover essere sintetica, semplice, ma non banale. Richiede una forma mentis che non dia per scontate le cose e che non prenda per scemi i bambini. Inoltre deve essere rigorosa e risultare credibile anche agli occhi degli ex bambini.

Come hai scelto i nomi dei personaggi e cosa identificano?

I nomi sono assonanti, diminutivi di appellativi ben più classici, e così declinati hanno un’accezione più infantile che mi pareva consona. Si somigliano perché i bambini, in questa storia, condividono la follia di un sogno e la spensieratezza di volerlo raggiungere, quindi pur nelle loro diversità diventano un po’ uguali tra loro, proprio come i nomi che portano.

I ragazzi hanno dei nomi, i genitori no: perché?

Il punto di vista principale doveva essere quello dei ragazzi e delle ragazze, pertanto m’interessava caratterizzare i protagonisti nella loro individualità e i genitori come un’unica categoria, menzionata per contrasto.

Perché sono i genitori a essere captati dalla tecnologia, quando si dice che sono i giovani a risultare dipendenti da smartphone e tablet?

I nativi digitali sanno prendere le misure meglio di chi le competenze digitali le ha acquisite dopo. Avete mai guardato un profilo social di un ragazzo e quello di un cinquantenne? Spesso i ragazzi cercano in una certa maniera di comunicare qualcosa, tramite una foto, una frase, una posa. Alcuni adulti si perdono tra gattini e barzellette, e si ritrovano a condividere frasi di Panariello attribuite a John Lennon senza porsi il minimo dubbio.

Cos’è l’arcobaleno e che metafora rappresenta?

Lo specchio cromatico della vita. Una delle cose della natura che ancora provoca uno stupore intergenerazionale. E soprattutto una visione che si palesa ovunque, anche nei quartieri più desolati.

È l’emblema della speranza, e la vita ha senso se c’è una speranza, una prospettiva. Alla fine i poeti e gli scrittori dicono solo questo, in forme diverse. Ognuno di loro dipinge il suo arcobaleno.

Cosa rappresenta Arlecchino?

L’abitante per eccellenza dell’arcobaleno. Ne condivide i colori e lo spirito. Un elemento che colora la vita, eppure non è un pagliaccio, anzi si coccola le proprie malinconie e le proprie ansie. Ma sa trovare una prospettiva da ogni suo brandello di colore.

Qual è la morale di questa favola?

Non credo ci sia una morale ferrea. Guardare l’arcobaleno è un’azione accessibile a tutti, cercare di entrarci dentro – letteralmente – è un’azione riservata a chi non si distrae e non si arrende. E in questo caso i lottatori sono i bambini.

Intervista a cura di Emanuele Cammaroto

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