I tempi che stiamo vivendo ci proiettano verso un’inevitabile riflessione sul senso della vita e sul valore di essa. Questa Ecuba moderna parla un linguaggio “misto”, un susseguirsi di racconto di una piccola vita che si scontra con i terreni problemi del quotidiano con improvvise impennate poetiche, che elevano la sua sensibilità al “linguaggio di tutte le madri”, alla lingua del cuore di chi dà la vita e non si rassegnerà mai al vedere questa stessa vita che si dissolve, preda dell’ingiustizia che si annida nel potere, nelle guerre, nelle prevaricazione. E’ un’Ecuba che viaggia a piedi fra i binari dell’Europa in cui c’è chi erige muri di filo spinato e c’è chi chiude pesanti porte di vecchi treni. Ma c’è anche chi si accosta al viandante per passargli una bottiglietta d’acqua e c’è chi offre una branda di una stanza di una casa modesta per condividere il viaggio terreno con altri esseri umani compagni di cammino.
I tempi che stiamo vivendo ci proiettano verso un’inevitabile riflessione sul senso della vita e sul valore di essa. Fino a qualche anno fa il rispetto di questo potente valore sembrava una intoccabile sicurezza. Ora siamo sempre meno sconcertati di fronte a uno scivolamento continuo e inesorabile verso l’assuefazione di fronte a raccapriccianti spettacoli di totale disprezzo della sacralità della propria vita e di quella degli altri.
Ecco perché sempre più decisamente sento la necessità di dare al teatro e alla scrittura teatrale il suo compito di sondare e riflettere su ciò che significa “essere umani” e “agire da umani”.
Andare ad attingere nel patrimonio immenso della tragedia greca è vitale come attaccarsi a una bombola di ossigeno quando il respiro non basta.
Essere madre oggigiorno, in un momento di esodi imponenti e dolorosi vuole dire “sentire” attraverso la pelle e la sensibilità di una madre che “canta la sua pena” di fronte al disfacimento del suo mondo che considerava “normalità” .
La perdita della patria, della terra, della tranquillità e, ancor più, la perdita dei figli che se ne vanno a uno a uno è il toccante leitmotiv delle tappe della vita di questa
“mater dolorosa” che vive il passaggio fra due periodi storici in cui il futuro è una paurosa incognita.
L’Ecuba di Euripide urla: “Una terra grama, se un dio interviene al momento giusto, diviene fertile di spighe: una terra feconda, se le viene a mancare il necessario, produce gramo raccolto. Non è così che succede cogli uomini: il malvagio non può che essere malvagio, il buono buono: le avversità non guastano l’indole, che rimane sempre uguale” .
Questa Ecuba moderna parla un linguaggio “misto”, un susseguirsi di racconto di una piccola vita che si scontra con i terreni problemi del quotidiano con improvvise impennate poetiche, che elevano la sua sensibilità al “linguaggio di tutte le madri”, alla lingua del cuore di chi dà la vita e non si rassegnerà mai al vedere questa stessa vita che si dissolve, preda dell’ingiustizia che si annida nel potere, nelle guerre, nelle prevaricazione.
E’ un’Ecuba che viaggia a piedi fra i binari dell’Europa in cui c’è chi erige muri di filo spinato e c’è chi chiude pesanti porte di vecchi treni. Ma c’è anche chi si accosta al viandante per passargli una bottiglietta d’acqua e c’è chi offre una branda di una stanza di una casa modesta per condividere il viaggio terreno con altri esseri umani compagni di cammino.