Diritto di resistenza Si può resistere al diritto in nome del diritto stesso?

Diritto di resistenza

Si può resistere al diritto in nome del diritto stesso?

 

Mercoledì 11 marzo, per Edizioni Gruppo Abele, esce in libreria Diritto di resistenza. Come fare la rivoluzione attraverso il diritto, di Michele Marchesiello. Nuova edizione di un saggio che esplora il rapporto fra leggi, resistenza e rivoluzione: è possibile resistere alle leggi di uno stato di diritto per promuovere cambiamenti nella società?

 

Da Antigone a Carola

«Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all’oppressione è diritto e dovere del cittadino». Questa la proposta di Giovanni Dossetti, deputato dell’Assemblea Costituente, per l’articolo 50 della nascente Costituzione italiana. Una proposta in seguito scartata – non a caso – che testimonia il dilemma mai risolto di ogni Stato moderno: può esistere un preminente diritto alla resistenza? Le cittadine e i cittadini possono disapplicare una norma che violi il patto di fiducia fra la cittadinanza e le istituzioni?

La storia e la letteratura ci riportano molteplici esempi, da Antigone di Sofocle fino alla capitana Carola Rackete, di leggi infrante in nome di norme superiori – divine, etiche, morali – che giustificassero la resistenza ad esse. Ma quale può essere il rapporto fra lo Stato e la resistenza? Una Costituzione può contraddirsi?

 

Diritto, delitto o dovere di resistenza?

Michele Marchesiello, da ex magistrato, si interroga in questo saggio – giunto alla sua seconda edizione – sul rapporto fra leggi e resistenza. Anzi, fa un passo ulteriore: non si limita a chiedersi se questo rapporto possa esistere, ma come l’ordinamento possa ammettere e assicurare protezione a forme di resistenza al suo dispiegarsi nella pratica. L’autore infatti si chiede se il diritto di resistenza sia o meno intrinseco di ogni sistema democratico, come punto mediano fra la totale accettazione delle leggi statali e la rivoluzione violenta. Una posizione di equilibrio che è però produttiva, perché obbliga – quando riesce – i cittadini e le istituzioni a comunicare fra loro per raggiungere un compromesso positivo per tutte e tutti, evitando di sfociare da una parte nella violenza e, dall’altra, nella repressione: «La resistenza o la disobbedienza civile possono essere, o proporsi di essere, strumenti per l’ampliamento dello spazio democratico partecipativo (esigenza di cui costituiscono espressione estrema)». Per questo, dice Marchesiello, ogni Costituzione dovrebbe prevedere un diritto – addirittura un dovere – alla resistenza quando questa si configuri come modalità per raggiungere una società più giusta. Un anelito collettivo che metta al sicuro l’intera società da soprusi totalitari, dittature e ogni forma di tirannia.

 

L’autore

Michele Marchesiello è nato a Bolzano ma cresciuto a Genova, dove si è laureato in giurisprudenza. Una vita da giudice. Lasciata la magistratura, cerca di aiutare le persone ad avere più fiducia nella giustizia e la giustizia ad avere più fiducia nelle persone. Vive e lavora tra Genova e il Monferrato. Collabora al Secolo XIX e al giornale online Blitzquotidiano. Un suo saggio dal titolo Politica e magistratura: la vocazione della Responsabilità è uscito per l’editore Il Canneto nel 2012.

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