Daniele Radini Tedeschi su Jago: il critico d’arte non le manda a dire

Daniele Radini Tedeschi su Jago: il critico d’arte non le manda a dire

(Il fatto) Ieri la scultura di Jago – all’anagrafe Jacopo Cardillo, già noto per aver scolpito la statua “nuda” raffigurante Papa Benedetto XVI – intitolata “Sono pronto al flagello” collocata, già da agosto, su ponte Sant’Angelo in Roma e raffigurante un profugo disteso su un fianco a grandezza naturale è stata deturpata tanto da essere rimossa. L’assessore alla sicurezza del I Municipio Giulia Silvia Ghia ha definito “incivili” gli autori dello sfregio ribadendo l’impegno a perseguire “anche grazie alle nuove norme che tutelano i beni culturali” chi ha commesso tali azioni.

A tal proposito il famoso critico d’arte Daniele Radini Tedeschi sembra assumere una posizione fuori dal coro nell’intervento pubblicato sulla pagina Facebook del suo ufficio stampa. Apre così la riflessione ponendo l’interrogativo se l’opera in questione possa presentare un interesse artistico e quindi in tal caso se possa parlarsi di vandalismo in senso proprio. In luce al delicato significato a cui l’opera si riferisce, ossia la difesa dei migranti, Radini Tedeschi esordisce con una premessa: “La critica ha ancora il potere di bocciare un’opera, avente un messaggio sociale, qualora non rispondesse a determinati parametri estetici oppure, in virtù del senso sotteso, si è costretti ad applaudire quel lavoro a tutti i costi?”. Riassumendo il pensiero di Radini Tedeschi l’atto critico deve restare libero e può definirsi vandalo colui che distrugge un capolavoro universalmente riconosciuto. Raggiunto al telefono ha poi affermato: “Visto che Jago deve gran parte del suo successo all’apprezzamento diretto della gente, tanto da essere conosciuto come l’artista dei social che attraverso dirette streaming e post ha raggiunto 787 mila follower, deve mettere in conto che quel pubblico possa anche, talvolta, non capirlo. Lui piace ai grandi numeri, certamente gli si riconosce la dote di aver saputo instaurare un rapporto diretto col pubblico che magari stenterebbe a capire un Rothko, un Grünewald o un Jacopo da Bologna poiché forse troppo introspettivi e non immediati nella comunicazione. L’azione incriminata la considero incivile ma non vandalica, che invece sarebbe tale se si verificasse a danno di un bene del patrimonio collettivo a fronte del quale c’è un oggettivo interesse alla tutela, interesse certificato dagli enti preposti. In tal caso dubito fortemente che alla scultura di Jago possa essere stato riconosciuto lo stesso valore delle statue collocate sul ponte e realizzate dagli allievi di Bernini. Quindi tanto rumore per nulla: nel 2004 un anonimo signor Franco, a Milano, si arrampicò per liberare due bambini impiccati da Murizio Cattelan ad una quercia; più recentemente David Datuna staccò una banana dal muro, altra creazione di Cattelan, e la mangiò. L’arte contemporanea gioca, vive e si nutre di un pubblico che non la capisce o finge di non capirla, quasi a voler consegnare l’immagine melodrammatica dell’artista incompreso. Giotto non ne avrebbe avuto bisogno.”

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