Sambuca, l’ennesima storia “eccellente” italiana

La Sambuca è un liquore tra i più apprezzati e conosciuti al mondo. In pochi sanno, però, che la sua origine è legata a doppio filo con la storia di un personaggio nato a Ischia. Parliamo di Luigi Manzi, imprenditore di fede garibaldina vissuto tra il 1809 e il 1873: a lui si deve la ricetta originale della Sambuca, quella da cui prese ispirazione il celeberrimo Angelo Molinari. Si tratta di un classico liquore civitavecchiese, ricavato dalla lavorazione del fior d’anice che, creata appunto da Manzi nel 1851, e lanciata a livello internazionale da Angelo Molinari a partire dal 1945, viene apprezzato non solo per il gradevole sapore e per il raffinato bouquet, ma anche per le sue qualità digestive e carminative. E’ bene precisare subito che l’origine della denominazione ci è stata tramandata dallo stesso suo “inventore” il quale, verso la metà del secolo scorso, in una lettera scriveva: “Produco un’anisetta fina che fa ottimamente allo stomaco dopo il pasto [chiamata Sambuca] per via dei sambuchelli, gli acquaioli delle parti mie [Napoli e l’isola d’Ischia] che vanno né campi a dissetare i contadini recando loro acqua e anice”).Una leggenda metropolitana vorrebbe che Luigi Manzi, la cui distilleria si trovava vicino ad una Chiesa in un locale situato sopra il porto, avesse fatto un foro nel pavimento per introdurre l’alcool di contrabbando e, siccome quel “buco” era per lui da considerare veramente “santo”, in quanto gli consentiva di realizzare notevoli risparmi sui costi di produzione, egli avrebbe denominato il liquore in modo da immortalare la presunta trovata truffaldina. Non ha invece fondamenta quanto tramandato relativamente all’origine del nome che deriverebbe dall’omonima pianta del Sambuco. In effetti, un tempo, la farmacopea popolare comprendeva anche il cosiddetto “Vino di sambuco”, ricavato per fermentazione dei frutti di questa pianta, ma tale medicamento non presentava alcuna analogia con l’anisetta né per quanto riguarda il sapore e l’odore, né per il colore, tendente al rosso, e nemmeno per le proprietà curative: il Vino di sambuco, infatti, non era consigliato come digestivo e carminativo, ma come emolliente, diaforetico e diuretico. La definizione “d’autore” di cui sopra è pertanto da considerare non veritiera. Di diversa portata è invece il quesito che riguarda gli ingredienti usati per la fabbricazione della Sambuca, e il loro dosaggio, in merito al quale c’è sempre stato il massimo riserbo da parte sia di Luigi Manzi e dei suoi eredi, che della famiglia Molinari. I montanari della Valle del Gran San Bernardo producono un liquore d’anice, somigliante alla Sambuca ed altre ricette possono essere facilmente reperite nei vari libri e manuali di liquori d’erbe esistenti in commercio, ma non si può negare che in fin dei conti è proprio il tocco di fantasia, il “segreto” del produttore, che riesce a trasformare una comune anisetta nella famosa Sambuca di Civitavecchia. Da documenti legati agli studi sull’origine di questo liquore, ci si convince che la “pennellata d’artista”, il “tocco magico”, fossero dati dall’aroma del finocchio ed emerge il racconto di come una volta, nottetempo, fu visto Cornelio Manzi (figlio di Luigi) scaricare un grosso involucro in una scarpata e che due giovani amici, ritornando sul posto l’indomani e disfatto il pacco gettato via dal Manzi, individuarono i residui della lavorazione della Sambuca comprendenti anche semi di finocchio. Attualmente il liquore viene commercializzato sotto due diversi marchi: Sambuca Manzi, leggermente più secca e da considerare la discendente più immediata dell’originario prodotto ideato da Luigi Manzi, con un mercato essenzialmente regionale e la Sambuca extra Molinari, conosciuta in tutto il mondo, la cui produzione risale, come è stato già detto, al “mitico” Angelo Molinari. Entrambi i marchi sono di proprietà della “Molinari International Spa”: era avvenuto, infatti, che dopo la Seconda guerra mondiale le figlie di Cornelio Manzi avevano trasferito la ditta di famiglia ad Erminio Ricci che a sua volta, negli anni ’80 del Novecento, non essendo più in grado di sostenere la concorrenza della “Molinari”, aveva maturato la determinazione di chiudere l’attività e di restituire la licenza al Comune. Venuto a conoscenza delle intenzioni di Ricci, a Marcello Molinari fu proposta la trattativa per l’acquisizione della “Manzi” da parte della “Molinari” e salvaguardare la continuità del prestigioso prodotto civitavecchiese. Negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale è stata attiva anche un’altra distilleria produttrice di Sambuca, che immetteva sul mercato un prodotto contraddistinto dall’etichetta FA.MA, acronimo dei cognomi dei soci Gerlando Fanuele ed eredi Manzi. Nel dopoguerra l’azienda fu rilevata per intero dai Fanuele mentre i Manzi riprendevano a produrre il liquore con il loro nome di famiglia. Nel 1960 la FA.MA iniziò ad operare un rilancio dell’attività anche grazie alla creazione di un’indovinata Sambuca al caffè seguendo la moda nata nel dopoguerra, di gustare la Sambuca con la “mosca” (cioè con uno o più chicchi di caffè torrefatto). La FA.MA resta tutt’oggi nel cuore dei vecchi civitavecchiesi non solo perché essa fu un’importante realtà commerciale locale, ma anche perché costituì l’anello di congiunzione tra le sambuche Manzi e Molinari: fu proprio per collaborare nella produzione della Sambuca FA.MA, infatti, che approdò nell’azienda, forte di una lunga esperienza di liquorista acquisita in Italia e all’estero, quel grande personaggio imprenditoriale che è stato Angelo Molinari, fattivo creatore dell’ennesima storia italiana legata all’ennesima eccellenza per cui veniamo oggi ammirati in tutto il Mondo. Dunque, buona raffinata digestione a tutti!

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