Gilliam, Cuaròn e i (diversi) ritorni di Fellini

Parlare di ritorno è inappropriato, Fellini, come tutti i classici, non se ne va mai. Da Woodey Allen a Wes Anderson fino a Sorrentino, si aggira tra le inquadrature di ogni aspirante maestro che, in primo luogo, è suo allievo. A distanza di quasi quarant’anni il regista emiliano ricompare però, quest’anno, in modo evidente in due film diversissimi. Roma di Alfonso Cuaròn, di cui qui si è già parlato, e L’uomo che uccide Don Chisciotte di Terry Gilliam. Perché? Perché ancora oggi Fellini, e perché in modi così distanti?

La statura imponente del Maestro non è sufficiente a spiegare la sua ingombrante presenza nell’opera dei suoi allievi in questi giorni. Altri maestri, Antonioni a Bergman per citarne solo alcuni, hanno influenzato il cinema mondiale, eppure, specialmente nel periodo più recente, non sono stati citati e ripresi così esplicitamente. Invece Fellini ricompare oggi in modo evidente. Lo si trova in quasi tutta la recente produzione di Sorrentino (in particolare ne La grande Bellezza, in The young Pope e anche il Loro 1 e 2), e quest’anno in questi due film, come si è detto, molto distanti.

Cuaròn ha voluto raccontare, nei dettagli, la sua infanzia. La sua Roma (dal quartiere di Città del Messico in cui è vissuto) è una amarcord che richiama anche quella formidabile scena di Otto e mezzo in cui i bambini sono accuditi dalle balie e pronunciano la formula magica: “Asa nisi masa”. Cuaròn, per sua stessa ammissione, è uno di quei bambini, quello vestito da astronauta, che cresciuto girerà Gravity. Fellini è dunque presente in quanto incarnato in Cuaròn bambino, che per raccontare la sua storia d’infanzia utilizza lo stesso linguaggio semplice e puro del suo Maestro.

Terry Gilliam, similmente, ma anche diversamente, parla di sé riprendendo Fellini. Lui nel film è Toby Grisoni, il regista divo e maturo ormai bloccato per il troppo successo e corrotto dai compromessi del mondo dello spettacolo. Il modello chiaro è Otto e mezzo, ma il vortice caotico di meta-narrazioni richiamano le altre opere del regista inglese, Il barone di Munchhausen o La leggenda del re pescatore, o anche, in misura maggiore per la disperazione sottesa all’opera, Brasil.

Si nota però tra i due una fondamentale diversità di ottiche e di modi di creare un’opera autobiografica, seppure entrambi “alla Fellini”. Paradossalmente, Cuaròn fa un film profondamente autobiografico parlando della sua badante indios e relegandosi a comparsa (il bambino vestito da astronauta), mentre Gilliam, ponendosi sempre al centro dell’inquadratura, raccontandoci lo psicodramma isterico di un regista, cita più se stesso che Fellini, e così facendo in fin dei conti non rivela veramente sé stesso, ma solo la maschera che da tempo indossa. In maniera opposta a Cuaròn, che ci cala nella vita quotidiana di un cortile messicano, Gilliam ci fa perdere con lui nella sua eterna fuga dalla realtà dentro i suoi sogni. La vita vera risulta contraffatta, così come risulta poco credibile la storia d’amore fra Toby e Angelica, e l’intera trama, che si incarta in un finale che è una discesa agli inferi priva di catarsi.

Guilliam riprende Fellini nel modello, ma a differenza del Fellini di Otto e mezzo, che raccontava in filigrana il suo dramma personale, esistenziale e affettivo, fortemente commovente per lo spettatore, concludendolo in una danza comune, Guilliam-Toby si perde nel deserto, e rimane un cavaliere solitario e delirante, distante dal pubbilco. Questo perché il regista inglese si racconta (con un po’ di autoironia che maschera un inevitabile egocentrismo), solo in quanto regista “geniale”, e dunque si chiude e si perde in sé stesso enei suoi problemi. Alla fine Don Chisciotte è lui stesso, e lui stesso uccide Don Chisciotte, cioè si suicida. Il risultato è un film irrisolto, come irrisolta era la produzione del film Don Chisciotte che prova a dirigere da 25 anni: un film fondamentalmente disperato. In maniera opposta, Cuaròn cita più fedelmente il Fellini de La strada e del menzionato finale di Otto e mezzo (“la vita è una festa, viviamola insieme”): si immerge nella vita, fuori dalla finzione, nella sua durissima sofferenza e brutalità, nel mare in tempesta in cui Guilliam si perde, e da cui invece Cuaròn ne ritorna salvo, seppure stanco, mostrandoci, nella meravigliosa scena finale, ciò che resta dopo la tempesta: un abbraccio.

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