LA DISCIPLINA FISCALE DEL SETTORE AGRICOLO

La disciplina fiscale del settore agricolo è formata da un insieme di norme alquanto articolato le cui giustificazioni derivano dalle peculiarità e dal tipo di attività svolta.

Il regime fiscale riservato all’agricoltura è, caratterizzato dalla presenza di regimi forfetari, riduzioni dell’imponibile e applicazione di aliquote ridotte.

Il ricorso a sistemi forfettari è quasi necessitato in relazione ad attività per le quali sussistono obiettive difficoltà per la puntuale individuazione dei costi, come appunto si verifica per le attività agricole “atipiche”, che sono sempre esercitate in connessione con una attività agricola principale (coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di animali), utilizzando gli stessi beni e le stesse risorse, anche umane. Premesso quanto sopra, e prima di illustrare la disciplina fiscale riservata ai redditi fondiari, è necessario nel nostro documento esaminare la figura dell’imprenditore agricolo così disciplinata dal codice civile, in quanto assai frequentemente la normativa fiscale richiama e presuppone quella civilistica.

L’imprenditore agricolo è colui che svolge, in forma individuale o societaria, una delle attività previste dall’art. 2135 c.c.. La figura dell’imprenditore agricolo è stata ridisegnata dal Dlgs 18 maggio 2001 n.228 con il riconoscimento della multifunzionalità e pluriattività dell’impresa agricola, prevedendo oltre la coltivazione, l’allevamento e le attività connesse, anche l’offerta di altri beni e servizi per la collettività, l’agriturismo, la valorizzazione del territorio rurale, la ricezione e l’ospitalità e la produzione di energia.

La norma codicistica, anche dopo la modifica legislativa, mantiene comunque la distinzione tra attività agricole principali e attività connesse. Quanto alle prime, ai fini che qui interessano, esse consistono nell’esercizio, anche congiunto, di una delle seguenti attività: ai sensi del co. 2 dell’art. 2135 c.c. la coltivazione del fondo è da intendersi come l’attività diretta alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso dell’essere vegetale che utilizza o può utilizzare il fondo; l’attività selvicolturale consiste nella cura e sviluppo (del ciclo biologico) del bosco22. Tale attività si caratterizza per la particolarità del suo oggetto costituito dal bosco che non solo dà il legname, ma anche servizi per la collettività; è richiesta non solo la cura del ciclo biologico di carattere animale, ma anche che questa avvenga attraverso l’effettiva o potenziale utilizzazione del fondo inteso non solo come terreno agricolo, ma riferendosi tale termine anche ad altre basi produttive (quali il bosco33, le acque dolci, salmastre o marine.

Le attività agricole per connessione sono sottoposte alla disciplina dell’impresa agricola solo in quanto “connesse” ad un’attività essenzialmente agricola; tali attività, se svolte in forma autonoma, senza cioè alcun nesso con l’attività agricola, rientrerebbero invece nell’ambito dell’art. 2195 c.c. costituendo imprese commerciali.

Tali attività, per espressa previsione normativa40, devono infatti essere svolte dallo stesso soggetto che esercita l’attività principale e possono distinguersi in attività di produzione di prodotti agricoli e attività di prestazione di servizi.

Costituiscono redditi fondiari quelli inerenti ai terreni situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni. Lo stesso dicasi per i fabbricati per i quali vale il riferimento al catasto edilizio urbano. Il reddito fondiario concorre, a prescindere dalla percezione, a formare il reddito complessivo del possessore dell’immobile a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale (salvo quanto è stabilito in materia di reddito agrario) per il periodo d’imposta in cui si è verificato il possesso.

I redditi dei terreni si dividono in: reddito dominicale, che va imputato al proprietario del terreno ovvero al soggetto che possiede un diritto reale sullo stesso; reddito agrario, che va imputato al soggetto che esercita l’impresa agricola ai sensi dell’art. 2135 c.c..

Il reddito dominicale è costituito dalla parte dominicale del reddito medio ordinario riferibile al terreno attraverso l’esercizio delle attività agricole (art. 27 TUIR). Si tratta, in sostanza, della parte di rendita catastale che va attribuita al possessore del terreno quale remunerazione figurativa della titolarità del fattore di produzione essenziale per lo svolgimento dell’attività agraria.

La rendita catastale è determinata mediante l’applicazione di tariffe di estimo determinate per ciascuna unità colturale in dipendenza della qualità e classe di terreno (art. 28, co. 1). In caso di sopravvenuta variazione nella quantità e nel prezzo dei prodotti e dei mezzi organizzativi occorrenti per la produzione agricola, e comunque ogni dieci anni, si deve procedere ad una revisione delle tariffe d’estimo sulla base di una procedura regolata dalla legge 26 (art. 28, co. 2 e ss.). Il reddito dominicale delle superfici adibite a serra o alla funghicoltura, in mancanza di una corrispondente qualità catastale, è determinato facendo ricorso alla tariffa di estimo più elevata in vigore nella provincia (art. 28, co. 4-bis).

Se nell’anno è trasferita la titolarità del terreno, ciascun possessore deve indicare nella propria dichiarazione la propria quota di reddito, ripartita in proporzione al periodo di godimento. Nel caso di contratto di comodato, che è gratuito, il comodatario titolare di un mero diritto personale di godimento su di un bene di proprietà altrui è considerato soggetto d’imposta.

Ai soli fini delle imposte sui redditi (art. 3, commi 50 e 51, della l. 23 dicembre 1996, n. 662), il reddito dominicale va rivalutato nella misura dell’80% (del 25% per il calcolo del valore ai fini delle imposte di registro, sulle successioni e donazioni, ipotecarie e catastali). L’aumento dell’80% non si applica per i terreni concessi ad uso agricolo a giovani agricoltori (art. 14, commi 3 e 4, della l. 15 dicembre 1998, n. 441).

La variazione del reddito dominicale in aumento ha luogo quando la qualità di coltura allibrata in catasto è sostituita con altra di maggiore reddito. Sono ininfluenti il miglioramento della classe del terreno, nonché il passaggio di oneri di irrigazione e di manutenzione di opere di difesa, bonifica e scolo a carico dello Stato o di altri enti pubblici. Danno luogo a variazioni in diminuzione la sostituzione di qualità di coltura allibrata in catasto con altre di reddito minore, nonché la diminuzione della capacità produttiva del terreno per esaurimento naturale, per causa di forza maggiore, anche senza cambiamento di coltura, e per causa di eventi fitopatologici o entomologici interessanti le piantagioni. Non rileva il passaggio degli oneri di irrigazione, ecc., a carico dei possessori. La denuncia che aumenta il reddito dominicale produce il suo effetto dall’anno in cui si sono verificate le condizioni indicate. Invece quella che lo diminuisce manifesta il suo effetto: – dall’anno in cui ha avuto luogo se la variazione è intervenuta entro il 31 gennaio dell’anno successivo al verificarsi del fatto rilevante; – dall’anno in cui la denuncia è stata presentata se la comunicazione è stata presentata successivamente. Le variazioni di carattere permanente producono i loro effetti dall’anno successivo a quello di pubblicazione del decreto di approvazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Il reddito agrario, che esprime la redditività media, deriva dal capitale d’esercizio e dal lavoro dell’organizzazione dei fattori della produzione, impiegati nei limiti della potenzialità del fondo, per l’espletamento delle attività agricole sui terreni atti alla produzione agricola posseduti a titolo di proprietà, di enfiteusi, di usufrutto o di altro diritto reale (art. 32 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917).

Il terreno non deve essere pertinenza di fabbricati urbani o destinato esclusivamente a servizi pubblici gratuiti o all’esercizio di specifiche attività commerciali o dato in affitto per usi non agricoli. In qualsiasi caso, il terreno deve essere iscritto in catasto con attribuzione di rendita. Il reddito agrario concorre a formare il reddito complessivo del possessore del terreno relativamente al periodo d’imposta nel quale si è verificato il possesso. Nel caso di modifiche intervenute nella titolarità delle quote di contitolarità si rimanda a quanto è già stato illustrato a proposito del reddito dominicale. Se il fondo è stato ceduto in affitto, il reddito rileva in capo all’affittuario dalla data in cui ha effetto il contratto (art. 33 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917); per contro, l’affittante deve dichiarare il reddito agrario nella misura riferita dal giorno 1° gennaio alla data in cui ha effetto il contratto ed è esonerato dall’obbligo dal periodo di imposta successivo. Non rientrano nelle attività agricole gli allevamenti di animali del tutto indipendenti dallo

sfruttamento del terreno, nonché le attività dirette allo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e acque interne. Sono attratte nel reddito agrario le attività di coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi svolte nell’ambito dell’art. 32, comma 2, lett. b) (art. 1, comma 176, della l. 24 dicembre 2007, n. 244).

La determinazione del reddito agrario avviene in maniera forfettaria sulla base del reddito medio ordinario del terreno che è attribuibile all’impiego del capitale d’esercizio ed al lavoro dell’organizzazione dei fattori produttivi. È un presunto reddito ordinario (e non effettivo) determinato in base alle tariffe di estimo stabilite dalla legge catastale. Per le variazioni delle colture e le revisioni del classamento si rimanda a quanto trattato in materia di reddito dominicale. La tariffa di reddito agrario deve essere aumentata del 70%, eccetto che per i terreni concessi in affitto per uso agricolo a favore dei giovani agricoltori (art. 14, commi 3 e 4, della l. 15 dicembre 1998, n. 441).

Nel caso di mancata perdita per eventi naturali di almeno il 30% del prodotto ordinario del fondo, il reddito agrario non concorre a formare il reddito complessivo del possessore o dell’affittuario se sono state espletate le procedure indicate all’art. 28 (art. 35).

Le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura danno origine al reddito agrario in quanto esercitate su fondi, posseduti o condotti in affitto, nel limite della loro potenzialità. Per coltivazione del fondo e silvicoltura si intendono «le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale» (art. 2135, comma 2, c.c.). Il terreno deve essere suscettibile di reddito dominicale e, conseguentemente, anche di reddito agrario, attribuibili al possessore del terreno per il periodo di tempo del possesso. Non si applica il reddito agrario quando l’intervento del capitale d’esercizio e del lavoro organizzativo sono di terzi.

Le attività «agricole connesse» Nel reddito agrario sono comprese le attività indicate all’art. 2135, comma 3, c.c. dirette alla manipolazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali con riferimento ai beni individuati nel d.m. 13 febbraio 2015 e ottenuti dall’imprenditore agricolo in misura «prevalente» dall’attività propria. Una o più fasi del processo produttivo possono essere eseguite fuori dall’azienda agricola (ad esempio, i servizi di un frantoio per la molitura delle olive, ecc.).

Si applica l’art. 56-bis, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e non la tariffa di reddito agrario se le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli hanno per oggetto prodotti che sono ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento del bestiame ma che sono diversi da quelli elencati nel D.M. 13 febbraio 2015. In questo caso il reddito è determinato applicando il coefficiente di redditività del 15% sull’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate (o soggette a registrazione) ai fini dell’IVA.

Secondo la circolare 15 novembre 2004, n. 44/E, “alle attività di trasformazione e manipolazione di prodotti diversi da quelli sopra elencati (n.d.r. indicati ora nel d.m. 13 febbraio 2015) si applicherà il regime forfetario previsto dall’art. 56-bis, comma 2” citato.

Le società di persone, le società a responsabilità limitata e le società cooperative in possesso della qualifica di «società agricola» di cui all’art. 2 del d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, possono determinare il reddito applicando le tariffe di reddito agrario (art. 1, comma 1093, della l. 27 dicembre 2006, n. 296), su opzione esercitata ai sensi del D.M 27 settembre 2007, n. 213. Dal beneficio sono escluse le società per azioni e le società in accomandita per azioni.

L’opzione per la tassazione in base al reddito agrario vincola per almeno un triennio, trascorso il quale l’opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a revoca. L’opzione cessa dal periodo d’imposta in

cui vengono meno le condizioni prescritte in materia di «società agricola». L’opzione e la revoca si desumono dal comportamento concludente per cui la relativa validità è subordinata soltanto dalla sua concreta attuazione sin dall’inizio dell’anno o dell’attività, ferma restando la validità della scelta pur se è sanzionabile l’omessa, tardiva o irregolare comunicazione.

Questa riveste carattere esclusivamente formale, senza rilevare ai fini sostanziali” (risoluzione 11 aprile 2018, n. 28/E). Se la società ha omesso di comunicare l’opzione per la regola catastale e ha calcolato le imposte sul reddito determinato in base alle risultanze del bilancio, ma ha presentato la dichiarazione applicando le regole catastali nella determinazione del reddito imponibile, si ravvisa il c.d. ‘comportamento concludente’ ferma restando la sanzionabilità dell’omessa comunicazione” (risoluzione citata).

La «società agricola» determina il reddito applicando le tariffe di reddito agrario (art. 32 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917). Per le attività esercitate anche attività che non sono comprese nell’art. 32, il reddito è determinato applicando le regole in materia di reddito d’impresa (art. 3, comma 2, del d.m.).

Nella dichiarazione dei redditi vanno indicati i valori fiscali degli elementi dell’attivo e del passivo applicando le regole previste qualora non fosse stata esercitata l’opzione. La procedura è necessaria per rilevare i valori nel caso di revoca dell’opzione o di perdita di efficacia della stessa, poiché gli elementi dell’attivo e del passivo sono assunti in base a tale indicazione.

Se la società ha contabilizzato componenti positivi e negativi relativi a valori che sono stati iscritti in bilancio in precedenti periodi di imposta rispetto a quello in cui è esercitata l’opzione, la cui tassazione o deduzione è stata rinviata in base alle norme vigenti, queste poste concorrono, in via ordinaria, alla determinazione del reddito d’impresa (artt. 55 e ss. per le società di persone e artt. 75 e ss. per le s.r.l. e le società cooperative).

Le perdite rilevate anteriormente sono deducibili ai sensi dell’art. 84 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Le plusvalenze e le minusvalenze patrimoniali non hanno alcun rilievo fiscale solo se sono riferite a beni strumentali acquisiti nei periodi d’imposta con reddito determinato su base catastale. Se si riferiscono a beni acquisiti anteriormente, sussiste la rilevanza fiscale, secondo le regole previste dalla normativa.

Per i beni immobili, invece, le plusvalenze e le minusvalenze sono determinate osservando le regole ordinarie. In altri termini, anche se è applicato il regime catastale, tali componenti concorrono a formare il reddito secondo la disciplina prevista in linea generale per cui (risoluzione 11 aprile 2018, n. 28/E) è da ritenere che le plusvalenze e le minusvalenze vadano determinate considerando che “le quote di ammortamento effettuate in vigenza di regime riducano il costo fiscale del bene da confrontare con il corrispettivo di cessione”. È possibile ripartire le plusvalenze in quote costanti nell’arco massimo di cinque anni se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni.

Nello stesso articolo 34, del Dpr. 26 ottobre 1972, n. 633, sono inserite anche le opzioni per la rinuncia al regime di esonero (comma 6) e per l’applicazione dell’imposta nei modi ordinari (comma 11). È esclusa la detrazione forfetizzata per le cessioni di prodotti agricoli il cui acquisto derivi da atto non assoggettato ad Iva, sempre che il cedente, il donante o il conferente sia soggetto al regime ordinario.

Per le «attività agricole connesse» si applica il successivo art. 34-bis. L’art. 1 della l. 30 dicembre 2019 n. 145, ha aggiunto l’art. 34-ter che disciplina i raccoglitori occasionali (comma 698, lett. a) e il regime speciale per la produzione di prodotti selvatici non legnosi (comma 699).

Non sono soggette all’Iva le prestazioni di servizi effettuate nell’esercizio delle attività di custodia e pascolo di animali su terreni montani destinati ad alpeggio (art. 66, comma 12, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331).

Si tratta di un regime speciale nel quale hanno rilievo sulle cessioni di prodotti agricoli si applicano le aliquote IVA ordinarie, mentre la detrazione dell’imposta è pari alla percentuale di compensazione; chi

applica il regime speciale fattura le cessioni di beni con l’aliquota ordinaria, opera la detrazione forfetaria prevista e versa la differenza d’imposta (ad esempio, sulla cessione di vino si applica l’aliquota del 22% e la detrazione è pari alla percentuale di compensazione del 12,3%, per cui va versata la differenza del 9,7%); la durata dell’opzione per l’applicazione al regime normale è prevista fino a revoca che non può essere eseguita prima di un triennio.

L’art. 34 del Dpr. 26 ottobre 1972, n. 633, si applica, in presenza dei presupposti oggettivi, per le imprese individuali, le società e gli enti ammessi.

L’applicazione forfetaria dell’Iva è consentita se è esercitata un’attività considerata dall’art. 2135 c.c., cioè la coltivazione del fondo, la silvicoltura, l’allevamento di animali (intendendo per tali le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine) e le attività connesse intendendo per tali le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali; nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge; la pesca in acque dolci, la piscicoltura, la mitilicoltura, l’ostricoltura; l’allevamento di rane; la coltura di altri molluschi e di altri crostacei.

La detrazione forfetizzata non è consentita per le cessioni di prodotti agricoli il cui acquisto derivi da atto non assoggettato ad Iva, sempre che il cedente, il donante o il conferente sia soggetto al regime ordinario.

Il regime speciale si applica se ricorrono i seguenti presupposti i prodotti agricoli ceduti sono indicati nella Tabella A, parte I, allegata al decreto; le cessioni di tali prodotti sono effettuate da «produttori agricoli».

Le «attività connesse» sono qualificate «attività agricole» se hanno per oggetto «prevalentemente» prodotti ottenuti dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali.

L’elencazione è tassativa: le operazioni diverse sono escluse dalla forfetizzazione dell’IVA anche se rientrano nell’ambito rurale. Per i prodotti acquistati presso terzi, la detrazione forfetaria si applica se nell’ambito dell’azienda è svolta almeno una fase di «produzione», ma è esclusa se l’operazione è una mera commercializzazione o se la permanenza in azienda è solo una mera «sosta tecnica».

Il regime speciale, che prescinde dal volume d’affari realizzato nell’anno precedente, è così strutturato sulle cessioni di prodotti agricoli (escluse quelle fatte da produttori esonerati) si applicano le aliquote IVA previste; la detrazione dell’IVA si determina applicando, sulla medesima base di computo, le percentuali di compensazione.

Il regime speciale IVA costituisce un regime di detrazione forfetaria dell’imposta, secondo cui il tributo da utilizzare in detrazione non corrisponde a quello effettivamente conteggiato sugli acquisti e sulle importazioni, ma mediante l’applicazione delle percentuali di compensazione stabilite con d.m. sull’ammontare delle cessioni di beni. In sostanza, le fatture di vendita espongono le aliquote IVA ordinarie (4%, 5%, 10% e 22%), mentre il produttore agricolo versa la differenza tra l’aliquota ordinaria e la percentuale di compensazione, che è più bassa o uguale a quella ordinaria.

Con la Circ. n. 50/E del 2010 l’Agenzia ha fornito indicazioni in merito alle condizioni (oggettive e soggettive) che devono ricorrere perché una società possa definirsi agricola.

Relativamente a quelle soggettive, la società deve possedere la qualifica di IAP (imprenditore agricolo a titolo professionale), che nel caso di società di capitali viene acquisita quando almeno un amministratore

sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale, mentre qualora si tratti di società di persone, la stessa deve essere rivestita da almeno un socio, e nel caso di società cooperative deve ravvisarsi in capo ad almeno 1/5 dei soci.

Quelle oggettive, invece, consistono nell’esclusivo esercizio da parte della società di una o più delle attività di cui all’art. 2135 c.c. e nell’indicazione di “società agricola” nella ragione o denominazione sociale, a seconda che si tratti di società di persone o di capitali.

Ricorrendo le condizioni (soggettive e oggettive) perché la società possa definirsi agricola, il reddito da assoggettare ad imposizione sarà rappresentato dalle due componenti del reddito dominicale, se i terreni sono di proprietà della società agricola (o se la stessa risulti essere titolare di diritti reali di godimento sugli stessi) e del reddito agrario relativo all’attività agricola di fatto esercitata55. Da ciò consegue che la tassazione avrà ad oggetto esclusivamente il reddito agrario nel caso in cui la società agricola non sia titolare dei terreni agricoli (né di diritti reali sugli stessi), ma li detenga in base a contratti di affitto.

Se il volume di affari realizzato nell’anno precedente, purché costituito per almeno 2/3 da cessioni di prodotti agricoli e ittici, non è superiore a € 7.000, sussiste l’esonero dagli adempimenti contabili e dalla presentazione della dichiarazione annuale e delle liquidazioni periodiche.

Il produttore agricolo esonerato deve essere in possesso del numero di partita IVA ma non deve emettere la fattura, nemmeno in formato elettronico, e non ha l’obbligo di certificare i corrispettivi (art. 2, comma 1, lett. c), del d.P.R. 21 dicembre 1996, n. 696).

Non ha l’obbligo di inviare le comunicazioni “esterometro” di cui all’art. 1 del d.lgs. 5 agosto 2015, n. 127, per le operazioni fatte fino al 30 giugno 2022 e della trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni fatte e ricevute da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato. L’acquirente emette l’autofattura applicando la percentuale di compensazione forfetaria (e non l’aliquota ordinaria), copia della quale va consegnata all’agricoltore esonerato. Inoltre, deve annotarla distintamente nel registro degli acquisti. L’operatore emette l’autofattura elettronica (indicando tra i dati del cedente i dati del produttore e tra quelli del cessionario i propri dati), con il codice TD01 al momento della trasmissione elettronica.

Il produttore agricolo esonerato deve osservare gli obblighi di numerazione progressiva e conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali d’importazione; conservazione dei documenti di trasporto relativi ai beni venduti (rilasciati in copia dagli acquirenti) e acquistati; conservazione delle autofatture che gli acquirenti sono obbligati ad emettere; comunicazione del numero di partita IVA ai fornitori e ai clienti.

Il produttore agricolo esonerato non ha l’obbligo di emettere la fattura elettronica, ma per gli acquisti fatti riceve la fattura di acquisto nella sua area riservata del sito web dell’Agenzia delle entrate ovvero riceve una copia informatica o analogica della stessa (n. 3.3, lett. d), del provvedimento 30 aprile 2018).

L’imprenditore agricolo esonerato deve osservare gli obblighi contabili, per forza di legge se nell’anno solare precedente è stato superato il limite di € 7.000 di volume d’affari, ovvero se, pur essendo inferiore a € 7.000, è costituito per oltre 1/3 da operazioni diverse dalle cessioni dei prodotti agricoli; per opzione se è accompagnata anche da quella di rinuncia all’applicazione dell’art. 34, è vantaggiosa poiché permette di ottenere il rimborso dell’IVA se si prevede di effettuare notevoli investimenti; per effetto della sola rinuncia al regime di esonero, da segnalare nella dichiarazione annuale successiva, l’agricoltore applica il regime speciale.

Il regime speciale IVA agricoltura non è un regime obbligatorio e il produttore agricolo può rinunciarvi optando per l’applicazione del regime ordinario.

L’opzione per il regime ordinario risulta particolarmente vantaggiosa nel caso in cui il produttore agricolo presuma di trovarsi, a fine esercizio, in condizioni di credito d’imposta. Infatti, come si è visto, il regime

speciale IVA, a differenza di quello ordinario, non consente al produttore agricolo di esercitare il diritto al rimborso dell’IVA eventualmente a credito. L’opzione per il regime ordinario viene effettuata mediante comportamento concludente, seguito dalla presentazione di apposita comunicazione ed è vincolante fino a quando non viene revocata. In ogni caso, una volta optato per il regime ordinario, il medesimo dovrà essere applicato almeno per un triennio, a decorrere dal 1° gennaio dell’anno in cui la scelta è stata esercitata.

In caso di cambio di regime applicativo dell’IVA, sorge la necessità di procedere alla rettifica dell’imposta relativa ai beni in giacenza e ai beni strumentali (art. 19-bis del d.P.R. n. 633 del 1972), onde evitare che il soggetto finisca per usufruire di una doppia detrazione: quella ordinaria effettuata prima del mutamento di regime e quella forfettaria operata al momento della cessione del bene.

In particolare, in caso di passaggio dal regime IVA ordinario a quello speciale agricoltura, sarà necessario redigere un inventario dei beni giacenti al 31 dicembre (se il passaggio di regime avviene a seguito di apposita opzione) o alla data del mutamento (nel caso in cui il passaggio di regime avvenga in funzione di operazioni straordinarie), rideterminare un debito d’imposta in base all’imposta a suo tempo detratta; conteggiare tale debito d’imposta nella prima liquidazione periodica successiva alla dichiarazione annuale relativa al periodo durante il quale si è verificato il mutamento di regime.

Nel caso in cui si passi dal regime speciale agricoltura al regime IVA ordinario, sarà necessario redigere un inventario dei beni giacenti al 31 dicembre (se il passaggio di regime avviene a seguito di apposita opzione) o alla data del mutamento (nel caso in cui il passaggio di regime avvenga in funzione di operazioni straordinarie); rideterminare un credito d’imposta in base all’imposta a suo tempo non detratta; › computare tale credito d’imposta nella prima liquidazione periodica successiva alla dichiarazione annuale relativa al periodo durante il quale si è verificato il mutamento di regime.

Le prestazioni di servizi intracomunitarie, territorialmente rilevanti in Italia, scambiate fra due soggetti passivi IVA (le c.d. operazioni business to business o B2B), devono essere assoggettate ad imposta mediante applicazione del regime di inversione contabile (o reverse charge), ai sensi dell’art. 17, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972. Sotto il profilo operativo, ai sensi di quanto disposto dal comma 5 dell’art. 17 del d.P.R. n. 633 del 1972, il prestatore deve fatturare l’operazione senza addebitare l’imposta, indicando nella fattura medesima la norma che prevede l’applicazione del regime di inversione contabile (o reverse charge). La fattura, quindi, deve essere annotata, a cura del medesimo prestatore, nel registro delle fatture emesse e riportata nella comunicazione dei dati IVA e nella dichiarazione annuale. L’operazione così realizzata integra per il prestatore un’operazione soggetta ad IVA e, di conseguenza, la medesima implica la piena detraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti. Il prestatore, inoltre, avrà diritto ad esercitare l’eventuale rimborso IVA secondo le modalità previste dall’art. 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, qualora l’aliquota media sulle vendite sia minore di quella sugli acquisti.

Dal suo canto, il committente deve integrare il documento contabile ricevuto mediante l’applicazione dell’imposta, indicando, quindi, sulla fattura sia l’imposta che l’aliquota applicata.

L’art. 38-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (che richiama l’art. 30), disciplina il rimborso con la dichiarazione annuale. Il rimborso si applica solo alle imprese agricole che esercitano esclusivamente o prevalentemente attività che comportano (art. 34, comma 11) l’applicazione di aliquote d’imposta inferiori a quelle applicate sugli acquisti e sulle importazioni; l’effettuazione di operazioni non imponibili per un ammontare superiore al 25% del totale delle operazioni effettuate; si tratta di cessioni di beni destinati all’esportazione (art. 8, comma 1, lett. a) e b)), a soggetti che si avvalgono della facoltà di effettuare acquisti senza pagamento dell’imposta (art. 8, comma 1, lett. c)), e in base a trattati e accordi internazionali (art. 72), nonché cessioni intracomunitarie (artt. 41 e 58 del d.l. 30 agosto 1993, n. 331); limitatamente all’acquisto di beni ammortizzabili, beni e servizi per studi e ricerche. Fuori dei suddetti casi, il contribuente può chiedere il rimborso del credito risultante dalla dichiarazione annuale, se dalle dichiarazioni dei due anni precedenti risultano eccedenze detraibili; il rimborso può essere richiesto per un ammontare

comunque non superiore al minore delle predette eccedenze. Il credito IVA va chiesto a rimborso con la dichiarazione annuale, da presentare a decorrere dal 1° febbraio e fino al 30 aprile.

Nessuna avvertenza va osservata se l’aliquota applicata sulle cessioni è inferiore a quella indicata nelle fatture di acquisto. Chi effettua operazioni non imponibili può presentare la richiesta se queste sono superiori al 25% del volume di affari. È possibile chiedere il rimborso dell’IVA maturata nel trimestre per acquisti e importazioni «di beni ammortizzabili per un ammontare superiore ai 2/3 dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni di beni e servizi imponibili ai fini dell’IVA».

Il rimborso (ovvero l’utilizzazione in compensazione) del credito IVA che deve essere di importo superiore a € 2.582,20 va richiesto con il Mod. IVA TR entro l’ultimo giorno del mese successivo al trimestre solare (escluso l’ultimo) in via telematica all’Agenzia delle entrate (cioè entro il 30 aprile per il primo trimestre, il 31 luglio per il secondo e il 31 ottobre per il terzo).

Nel cambiamento del regime, le cessioni di prodotti sono assoggettate all’aliquota ordinaria anziché alla percentuale di compensazione forfetaria: va rettificata la detrazione per i beni non ancora stati ceduti, per i servizi non ancora utilizzati e per i beni ammortizzabili se non sono ancora trascorsi tre anni dalla loro entrata in funzione.

La verifica della condizione di “prevalenza” dei beni di propria produzione implica il confronto, in termini quantitativi, fra i prodotti ottenuti dall’attività agricola principale ed i prodotti acquistati da terzi soltanto per i beni che fanno parte dello stesso comparto agronomico e che sono della stessa specie.

Il ricorso ai beni di terzi è consentito solo se è finalizzato a migliorare la qualità del prodotto finale (ad esempio, il viticoltore che acquista vino da taglio da terzi o, per le attività di trasformazione, l’acquisto di latte da terzi per produrre formaggio della stessa qualità di quello ottenuto dal latte di propria produzione o, per le attività di manipolazione, il produttore di radicchio che acquista anche radicchio da terzi e, dopo la pulitura e il confezionamento, lo rivende insieme a quello proprio). Possono essere ricondotti ai citati regimi impositivi anche i redditi prodotti nell’esercizio di attività connesse che comportino l’utilizzo di prodotti acquistati da terzi per migliorare la gamma di beni complessivamente offerti dall’impresa agricola, sempreché i beni acquistati siano riconducibili al comparto produttivo in cui opera l’imprenditore agricolo (ad esempio, l’acquisto di pesche destinate alla produzione di marmellata di pesche parallelamente alla produzione di marmellata di albicocche ottenuta con frutta di produzione propria ovvero l’acquisto di uva bianca al fine di ottenere vino bianco, a cura di un viticoltore che produce direttamente uve rosse).

Relativamente alle operazioni di manipolazione, non decade l’applicazione del reddito agrario se il produttore di radicchio acquista da terzi carote che, in funzione della vendita, sono sottoposte a procedure di pulizia e selezione. Se i prodotti ottenuti dalla trasformazione di beni acquistati presso terzi non rientrano nella tipologia di appartenenza dei beni ottenuti dalla trasformazione dei prodotti propri, manca il presupposto di accessorietà e strumentalità rispetto all’attività agricola principale. Se non è possibile operare il confronto tra le quantità relative a beni diversi (ad esempio, pesche con albicocche, pomodori con cipolle, ecc.) la verifica deve tenere conto del valore normale dei prodotti agricoli ottenuti dall’attività agricola principale e del costo dei prodotti acquistati presso terzi.

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