Spesso, negli ultimi anni, la politica e una certa parte della stampa si sono scagliate contro la Magistratura in una caccia alle streghe che, in alcuni casi, ha assunto i contorni della farsa. Alcuni politici, dal comportamento non proprio limpido e qualche giornalista, dalla dubbia professionalità, hanno dimenticato che la Magistratura è un organo dello Stato, al pari del Parlamento e come tale meriterebbe il rispetto e la considerazione, dovuto a chiunque serva il popolo con coscienza e spirito di servizio. È altresì vero, però, che in Italia spesso avere giustizia non è cosa facile per i cittadini. A pochi giorni fa risale, ad esempio, la sentenza di secondo grado nel processo ai presunti responsabili della morte di Stefano Cucchi. Non credo che ci sia bisogno di ripetere qui i particolari della vicenda, ampiamente descritti da giornali e telegiornali, nonché da “crime show” andati in onda su tutti i canali (altra peculiarità inquietante dei media italiani). Gli imputati erano più di dieci, tra guardie carcerarie e personale dell’ospedale “Sandro Pertini” di Roma e sono stati tutti assolti perché «il fatto non sussiste», che intermini giuridici significa che non è mai accaduto. Nessuno può immaginare quanto faccia male ai familiari di Cucchi questa decisione; infatti, con quella frase, il giudice ha di fatto affermato che la morte del giovane romano non è stata un omicidio, dando così fiducia alle perizie di alcuni esperti che hanno parlato d’incidente e di una presunta caduta per le scale. Chiunque abbia visto le foto del cadavere, però, può affermare che una caduta non provoca quelle lesioni e quei lividi e quindi, in sostanza, il tribunale ha sostenuto che Stefano Cucchi è morto, ma non si sa di chi sia la responsabilità benché, in quel momento, fosse sotto la custodia e la tutela di uomini e donne che indossavano la divisa o il camice e si ponevano così al servizio dello Stato. Anzi, in una certa misura, si può affermare che in quel frangente Cucchi fosse nelle mani dello Stato. «La legge è uguale per tutti», recita la frase ripetuta in ogni aula di tribunale italiana e ancora di più dovrebbe esserlo per chi è indifeso ed è stato vittima d’ingiustizia e violenza mentre era affidato ai “tutori della legge”; più severa la sua mano dovrebbe abbattersi su chiunque compia un reato mentre avrebbe dovuto adempiere il suo dovere tradendo in questo modo tutti i cittadini, il giuramento che ha prestato e le istituzioni che rappresenta. Sarebbe bello affermare che quello di Cucchi è un caso isolato in Italia, ma purtroppo non è così e oggi molte famiglie aspettano ancora di sapere quale sorte sia capitata ai loro cari o chi sia il responsabile della loro morte, per vedere finalmente la giustizia al loro servizio, a parziale risarcimento dell’irreparabile danno subito. Le colpe sono molteplici e da attribuire alla burocrazia elefantesca di questo Paese, alla corruzione e al malcostume, alle pressioni dei poteri forti ancora troppo presenti sulla scena pubblica. A farne le spese sono, come sempre, i cittadini che ripongono la loro fiducia nello Stato, per vedere sanciti i propri diritti e chiedere la punizione per chi li calpesta. E invece, in Italia, regna non già l’ingiustizia ma l’assenza di giustizia, l’incapacità o lo scarso impegno nel cercare la verità, che possa dare a tutti la sensazione di essere tutelati e riconosciuti.
Patrizio Pitzalis