Il Prete bello, di Goffredo Parise

Goffredo Parise nasce a Vicenza l’8 dicembre del 1929; la mamma Ida Wanda Bertoli, ragazza madre, cerca con grandi sacrifici di riempire il vuoto della mancanza del padre.

Nel 1937 la madre sposa il giornalista Osvaldo Parise, direttore del Giornale di Vicenza; il piccolo Goffredo, sempre alla ricerca di una figura paterna, gli si affeziona ed è ricambiato e Parise dopo otto anni lo riconosce come figlio.

Goffredo appena quindicenne partecipa alla resistenza nella provincia di Vicenza; finita la guerra consegue la maturità classica da privatista. In seguito si iscrive a vari indirizzi universitari, senza arrivare mai a una laurea; sarà laureato «ad honorem» in Lettere solo nel 1986 dall’Università degli Studi di Padova.

Tramite alcune conoscenze, il padre adottivo lo introduce al mondo della carta stampata. Goffredo incomincia a scrivere per quotidiani come Alto Adige di Bolzano, L’Arena di Verona e il Corriere della Sera e in questo periodo il giovane capisce la sua vera passione: l’inclinazione a scrivere storie. Parise nel 1950 si trasferisce a Venezia e in una stanza in affitto scrive il suo primo libro, il «cubista» Il ragazzo morto e le comete, pubblicato dall’amico Neri Pozza.

Dopo un’iniziale stroncatura sia dalla critica sia dal pubblico Parise pubblica nel 1953 il libro La grande vacanza, con una lusinghiera recensione di Eugenio Montale sul Corriere della Sera: affascinato dall’abilità di Parise e dal suo calarsi nell’infanzia senza modi nostalgici e crepuscolari»; questo libro viene definito nel 1968 da Carlo Bo autentica poesia.

Nel 1953 si trasferisce a Milano, dove lavora alla casa editrice di Livio Garzanti e dove conosce Leo Longanesi che lo incoraggia a continuare a scrivere.

Si sposa il 29 agosto 1957 con Mariolina Sperotti, detta «Mariola», giovane vicentina. Testimone di nozze è l’amico Giovanni Comisso.

Cominciano gli anni di spostamenti e viaggi. Tornando a Vicenza incontra Guido Piovene, del quale diventa amico, scoprendo però di non volere più tornare nella sua città.

Dopo una vacanza a Capri è indeciso se tornare a Milano o a Venezia o andare a Roma, dove vive un altro amico, Carlo Emilio Gadda, del quale diventerà nel 1964 vicino di casa e da cui, in qualità di ingegnere, fu aiutato a scegliere l’appartamento al secondo piano di via della Camilluccia.

Nel 1956 pubblica Il fidanzamento e nel 1959 Amore e fervore (che poi verrà intitolato Atti impuri).

Nel 1961 fa un lungo viaggio in America, dove Dino De Laurentiis vorrebbe che scrivesse un film per il regista Gian Luigi Polidoro.

È insieme colpito e deluso da New York, ma soprattutto è affascinato dai viaggi e, appena uscito Il padrone (1965), visita la Cina, il Laos, il Vietnam, la Malaysia, e di nuovo New York, Londra, Parigi, Giacarta, Tokyo, Mosca.

È ormai uno scrittore affermato e frequenta intellettuali, scrittori, registi e pittori nella Roma degli anni sessanta. Ma i suoi punti di riferimento sono Gadda, Moravia e La Capria e poi nel 1963 incontra Giosetta Fioroni che considera la sua nuova compagna (con la moglie il matrimonio è naufragato da tempo).

In occasione de Il padrone è passato da Garzanti a Feltrinelli, e qui pubblica anche Il crematorio di Vienna (1969).

Escono I sillabari, il primo volume nel 1972 presso Einaudi e il secondo nel 1982 nella collana «Medusa» di Arnoldo Mondadori Editore, che raramente pubblica italiani, ma nella quale Parise voleva essere incluso perché vi aveva letto i suoi amati Ernest Hemingway e William Somerset Maugham, che sono i suoi principali riferimenti non italiani con Yasunari Kawabata e Truman Capote, oltre a Lev Tolstoj e Charles Darwin.

Nella primavera del 1979 ha un infarto. In estate scrive il romanzo L’odore del sangue, che sarà pubblicato postumo. Nel 1980, ristabilitosi, fa un lungo viaggio in Giappone che gli ispira «quell’interpretazione o meditazione sull’Estremo Oriente» intitolata L’eleganza è frigida.

Ricoverato all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso, muore alle 9 di mattina del 31 agosto 1986.

Il prete bello è stato uno dei primi bestseller italiani del dopoguerra, contando molte edizioni stampate e traduzioni all’estero-

Uscito nel maggio del 1954, Il prete bello riscuoterà un clamoroso successo. E rileggendolo oggi, quando ormai le etichette impugnate per celebrarlo o denigrarlo sono alle nostre spalle, ci accorgiamo che il suo segreto sta tutto in quella genesi: nella festosa eccentricità dei personaggi che popolano un labirintico e fiabesco caseggiato nella Vicenza del 1940, e di colui che saprà stregarli tutti: don Gastone, il «prete bello». Personaggi quali la ricca signorina Immacolata, con i suoi strani cappellini a piume e l’occhialino d’oro cesellato; le Walenska, madre e figlia, che si scaldano ingrandendo con una enorme lente l’unico raggio di sole che al tramonto penetra nella loro stanza; il cav. Esposito, che tiene sotto chiave le cinque figlie concupiscenti; Fedora, la cui rigogliosa natura si spande dagli occhi e da tutto il corpo, quasi che «dai pori uscisse un polline dolciastro»; e la cenciosa banda di ragazzi truffaldini e sentimentali che nei vicoli e sotto i portici cercano ogni giorno di sopravvivere trasformandosi in ladri, ruffiani e mendicanti – in particolare Sergio, il narratore, e il suo amico Cena. In tutti loro, nelle vene e nel sangue, l’atletico, elegante, vanesio don Gastone si infiltra come una passione oscura, violenta ma capace di dare improvvisamente vita – e come nel Ragazzo morto e le comete ci troviamo di fronte a «una sostanza poetica che ribolle e rifiuta di assestarsi entro schemi definiti», secondo la lettura critica di Eugenio Montale.

Con il romanzo Il prete bello lo scrittore acquisisce grande notorietà non solo in Italia, ma, con decine di traduzioni, anche all’estero.

La storia narrata da Sergio ne Il prete bello ben incarna il viaggio che ognuno di noi intraprende fin dalla inconsapevolezza dell’infanzia per giungere alla maturazione ed alla durezza della vita, e per descrivere al meglio questo mutamento Parise utilizza il piccolo mondo che si trova all’interno di un cortile di una cittadina cattolica e asservita al fascismo.

Se bellissime sono le descrizioni sensoriali adoperate dall’autore (come quella di Sergio che col vestito nuovo sembra “uno strano uccello con la gola coperta di morbide e delicate penne”), una menzione d’onore meritano certamente anche quelle situazioni e quegli oggetti (come il presepe composto da statuine di mollica di pane) che Parise tratteggia all’interno di questo romanzo picaresco dal sapore autobiografico che il critico Emilio Cecchi definì su “Il Corriere della sera” come attraversato da una “vena di angosciosa poesia, un dono verbale agile e impetuoso”.

Di certo all’interno de Il prete bello (dal quale nel 1989 è anche stato tratto un film per la regia di Carlo Mazzacurati) l’allegria è quasi un sussurro che si insinua nelle miserie umane, nei dolori e nelle tragicità di uomini e donne che si trovano a dover affrontare una sopravvivenza quotidiana.

Ne emerge un ritratto dolce e struggente di una società, di un’epoca e di un luogo i cui residui ancora oggi si possono scorgere in controluce (la morbosità per le vite altrui, la povertà umana e culturale, i riti di iniziazione), filtrati dagli occhi di un fanciullo che si apre al mondo.

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