In memoria di Rossana Rossanda che seppe conciliare coerenza e libertà di critica

Già il sol fatto di pronunciare il nome, Rossana Rossanda, rende difficile trovare le parole giuste per descriverne la statura. È morta nella sua casa di Roma, all’età di 96 anni, la figura che forse più di ogni altra ha segnato un’epoca storica e ha imposto uno stile di pensiero. Perché “La ragazza del secolo scorso”, per riprendere il titolo di un suo celebre libro, prima di essere una giornalista, una scrittrice, una politica, fu una filosofa. Allieva di Antonio Banfi all’Università di Milano dal quale ereditò il rigore del razionalismo critico di stampo kantiano, e con esso l’incrollabile fiducia nella ragione come dispositivo conoscitivo demistificante nei confronti della realtà, fu così coraggiosa da aderire come staffetta alla lotta partigiana con il nome di Miranda. Nella sua lunga vita ebbe sempre incarichi di vertice, come quando divenne Responsabile delle politiche culturali del PCI. Guardando le tante foto che la ritraggono, l’immagine di Rossanda trasmette dolcezza e verticalità. Non è nostra intenzione ripercorrere la nota vicenda della radiazione dal Partito per i fatti della primavera di Praga. Da quel dissenso nei confronti della brutalità dell’URSS, vissuto assieme a Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri, nacquero prima Il Manifesto – Rivista e poi Il Manifesto – Giornale. Come ha scritto Tommaso di Francesco proprio sul giornale di cui fu fondatrice: “lei non si omologava ai modelli intellettuali dominanti, era in disparte a vedere prima degli altri lo sviluppo dei processi sociali in corso e a prevederne i risultati”. D’altra parte, il suo procedere in direzione ostinata e contraria l’aveva portata a rompere perfino con la redazione del Manifesto, quando nel 2012 i dissidi con la nuova Direttrice erano diventati sempre più intensi. Eppure, proprio Norma Rangeri, che è ancora al timone del quotidiano comunista per eccellenza, ricorda con parole sincere l’incommensurabile statura intellettuale e morale della fondatrice, e scrive nel suo editoriale: “le sue idee sono ancora oggi forza intellettuale di un pensiero non usuale, capace di guardare e capire al di là delle apparenze e dei superficiali giudizi che hanno contagiato molti intellettuali, e non solo italiani. Il suo non era e non poteva essere un pensiero <<social>>, e in questo marcava la differenza con altri pensatori travolti dalla potenza comunicativa dei nuovi media. Era impensabile per lei, abituata a considerazioni meditate allergiche all’avanspettacolo politico.” La vicinanza espressa ai movimenti giovanili del Sessantotto e in seguito l’adesione ad Antigone, nota associazione che si batte per i diritti dei detenuti, rappresentano due tasselli chiave di un pensiero ad un tempo coerente e fuori dagli schemi. L’importanza del lascito culturale di Rossanda per la sinistra italiana è ben evidente nelle parole di Massimo D’Alema che, in un’intervista a Cosimo Rossi, ne coglie un aspetto centrale: “Se il PCI non ha avuto verso il Sessantotto l’atteggiamento ottuso e autodistruttivo dei comunisti francesi è dovuto proprio a lei”. Non stupisce la scelta, altrettanto coraggiosa e molto sofferta, di accompagnare in Svizzera Lucio Magri, affetto da una grave forma di depressione, per il suicidio assistito. È un’altra protagonista indiscussa del Manifesto, come Luciana Castellina, a ricordare quei giorni terribili: “Ebbi, fino all’ultimo, lunghe telefonate con l’uno e con l’altra, fino a quando Rossana mi chiamo per dirmi che Lucio se ne era andato tenendole la mano. Fu tristissimo, ma in quei colloqui ci dicemmo anche che la nostra avventura politica era stata bella”. Qualche settimana prima di morire, Rossana Rossanda, sebbene sofferente per via dell’ictus che l’aveva quasi paralizzata, è riuscita ad esaudire il desiderio di rivedere il mare e fare il bagno. Una donna integralmente libera come lei non avrebbe potuto scegliere luogo più appropriato per congedarsi dalla vita avendo sentito sulla pelle la leggerezza della libertà.

Foto tratta da repubblica.it

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