La “comunicazione 3.0”, ossia, come cambia la comunicazione nell’era dei social media.

Se uno stesso “messaggio” lo scrivo su un quotidiano, lo trasmetto in Tv, lo invio su Twitter, lo “posto” su Facebook o ne parlo a voce è la stessa cosa?

Cosa cambia quando nella comunicazione si modifica il canale che si adopera? Il messaggio non dovrebbe essere sempre lo stesso, così come la fonte e il/la ricevente?

La risposta, semplice e diretta, è “si, cambia”. Cambia perché si modificano il tempo di esposizione (vale a dire, per quanto tempo posso vedere il messaggio e riflettere sul suo contenuto), l’accessibilità (se posso reperire un certo messaggio ) quanto sono attenta/o a quello che leggo/sento, se posso o meno replicare, chi parla/comunica e quale ruolo ha.

La teoria psicologica e sociologica sulla comunicazione si è evoluta molto nel corso degli anni.

Siamo passate/i dall’approccio del “proiettile d’oro”, secondo il quale il messaggio viene inviato e ricevuto allo stesso modo, immodificato, alla teoria del “flusso a due vie della comunicazione”, secondo la quale vi è una co-costruzione del messaggio fra l’inviante e il/la ricevente, fino alle teorie più moderne, come quelle di Petty e Cacioppo o di Chaiken, secondo le quali la comunicazione persuasiva segue due percorsi diversi: se ci sono interesse, attenzione e competenza per l’argomento, allora l’interpretazione avviene cognitivamente (percorso principale), oppure, se la persona è distratta o conosce poco l’argomento, dedicherà minore attenzione al tema e si affiderà all’opinione di una persona più esperta (percorso periferico).

Quello che accade in rete non è virtuale o circoscritto al mondo virtuale, ma interessa la realtà. È importante quindi distinguere fra espressione del proprio pensiero e libertà di comunicazione, che sono cose diverse dalle fake news, dai comportamenti persecutori, dalla diffamazione. La responsabilità delle proprie esternazioni, sia online sia su carta stampata o in TV, deve comunque essere riferita a chi la pronuncia ed essere perseguibile allo stesso modo. La normativa dovrebbe pertanto evolversi in questo senso e una riflessione andrebbe fatta sul fenomeno del “mailbombing” o del “tweetstorming”, ossia, sull’invio di messaggi di uguale contenuto (“messaggi fotocopia”) da parte di più persone verso o contro uno stesso destinatario.

Occorre considerare peraltro anche i vantaggi dei social media, con la nascita di nuove professionalità, ma anche dei rischi derivanti dai comportamenti di chi si nasconde dietro i social e utilizza la copertura dello schermo per sentirsi deresponsabilizzato dal manifestare i propri pensieri anche in modo aggressivo. Sarebbe quindi necessario sviluppare un’“educazione digitale” dei giovani e degli adulti.

Pertanto, il web non è solo uno strumento o un diverso modo di comunicare, ma anche un modo diverso di esprimere le relazioni interpersonali. Si consideri, per esempio, il caso di un giudice che prescrive l’uso di Skype e di Facebook per mantenere i rapporti con i figli/le figlie in caso di separazione o di divorzio dei genitori.

Ma qual è il grado di fiducia che i lettori/le lettrici hanno verso i mass-media? Secondo alcuni/e scarso e in progressiva diminuzione, come dimostra la preferenza verso social media: molti/e preferiscono informarsi attraverso le news online. La grande novità offerta dai mezzi social, infatti, è la possibilità per il pubblico di improvvisarsi giornalisti/e di farsi loro stessi/e promotori/ici di informazione. E questo comporta una serie di vantaggi e di svantaggi. Basti pensare all’affidabilità dei contenuti o alle modalità di diffusione (es. fake news, notizie non verificate o che suscitano allarme sociale). Cambia anche il modo in cui approfondiamo le notizie: leggiamo la notizia sui social media (Twitter e Facebook, per esempio) e poi sfogliamo i giornali. E c’è anche un altro aspetto da considerare: l’algoritmo alla base dei social va a intercettare e a raccogliere informazioni sulle preferenze del lettore/della lettrice. Questo significa che diminuisce la gamma delle informazioni che riceviamo (per es. leggiamo solo quello che ci interessa e i social continuano a riproporcelo), si restringe il numero delle fonti dalle quali riceviamo le informazioni, e queste ultime sono sempre più in accordo con il nostro modo di pensare sicché ci sarà poca diversificazione e possibilità di comparare le diverse posizioni su uno stesso argomento.

La questione dell’algoritmo che “conosce i nostri gusti e li anticipa” è al al centro di un ampio dibattito. Soprattutto con riferimento alla privacy. La responsabilità e il diritto alla privacy. Nel rapporto pubblico/privato, oggi affidiamo molta parte della nostra vita agli operatori privati (anche il controllo di eventuali abusi). Occorre quindi ri-bilanciare questa situazione sollecitando un maggior intervento del settore pubblico, come per esempio l’approvazione del “Codice delle comunicazioni digitali”. Il problema è che l’evoluzione della tecnologia e delle comunicazioni è più rapida di quella normativa.

Inoltre, occorre considerare i “bubbles” (“bolle”), ossia, il numero relativamente ristretto e omogeneo di fonti informative che i lettori/le lettrici utilizzano e di come questo finisca per creare delle “affiliazioni per interessi”, che polarizzano l’attenzione e circoscrivono la quantità e la diversità delle informazioni ricevute. È un po’ un circolo vizioso quello al quale stiamo assistendo attualmente: c’è poca fiducia verso le fonti tradizionali di informazione e si ricorre ai social media e al “giornalismo diffuso”; allo stesso tempo, aumenta la diffidenza verso le fonti non verificate e si cerca conferma nei mezzi di comunicazione tradizionali.

La domanda che sorge è: si tratta di un’evoluzione democratica oppure di un pericoloso strumento di influenzamento delle masse e dei contenuti delle informazioni? Occorrerebbe convergere verso la promozione di un’”educazione digitale” capace di aumentare la competenza a “leggere le notizie” e a distinguere quelle vere da quelle false. Solo così è possibile ripristinare la fiducia dei lettori/delle lettrici.

Ma perché considerare i social media in antitesi ai giornali e alla TV? Vi è piuttosto la necessità di un’interazione che si alimenti reciprocamente. Anche se, al momento, in modo “sleale” perché la TV è regolata da norme precise, mentre i social no. Quello che caratterizza questo rapporto è l’ibridazione dei contenuti e la maggiore attivazione di un consumo individuale con i social. Vale a dire che la fruizione dei social media avviene prevalentemente da parte di una persona singola e isolata da altri/e, ma anche che i contenuti sono più “a misura” degli interessi di ciascuno/a.

Ma dov’è la differenza? La differenza sta nel fatto che la Tv ha il ruolo di mediazione nel raccontare la realtà e quindi svolge una funzione di controllo della qualità dell’informazione, oltre che di spiegazione degli eventi, mentre i social media sono “diretti”.

Ma l’essere “diretti” è anche la finalità che si è posta la televisione, pubblica e privata. Arrivare a tutte/i, parlando a ciascuna/o. Insieme con lo sviluppo della competenza digitale da parte di una platea vasta ed eterogenea (per genere, età, istruzione etc) è quindi importante tenere insieme i diversi pubblici (per es. distribuendo lo stesso contenuto attraverso diversi canali). Per questo è spesso necessario creare una direzione digitale e un team per la gestione dei contenuti. L’asse portante di questa evoluzione è certamente l’“educazione digitale”, che spesso viene accompagnata da una “profilazione” degli utenti/delle utenti, ossia dal tracciamento di una sorta di “identikit” delle preferenze e agendo quindi in piena trasparenza.

In sintesi pertanto sono necessari: il monitoraggio del web, il controllo di qualità sulle informazioni, la centralità dell’“educazione digitale”, la specializzazione e, insieme, l’interazione e l’integrazione fra i diversi canali multimediali.

Tempo fa, l’Economist ha pubblicato un interessante articolo sull’argomento, in cui valuta le opportunità e i rischi (oltre alle modalità per arginarli!), di una corretta ed efficace comunicazione attraverso i social media. Vale la pena leggerlo (https://www.economist.com/news/leaders/21730871-facebook-google-and-twitter-were-supposed-save-politics-good-information-drove-out).

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