Salviamo Meriam

salviamo_meriam_Meriam Yehya Ibrahim, donna sudanese di 27 anni, di fede cristiana e all’ottavo mese di gravidanza, è in carcere da febbraio per aver sposato un uomo cristiano e quindi “ripudiato” la fede musulmana. Secondo il tribunale sudanese che l’ha condannata a morte per impiccagione, Meriam è un’ “apostata”, poiché ha rinnegato la sua fede islamica. Mentre la notizia della condanna ha fatto il giro del mondo ed è cresciuta la mobilitazione per fermarla, alcuni media internazionali hanno diffuso la foto che di fatto potrebbe aver portato alla condanna di Meriam: si tratterebbe semplicemente di uno scatto delle sue nozze con rito cristiano. In base a quanto dichiarato da Antonella Napoli, presidente di Italians For Darfur, citando rassicurazioni di avvocati raccolte da Khalid Omer Yousif della Ong Sudan Change Now, la donna “avrà un nuovo processo” che esclude la pena di morte. Come spiega Amnesty International Italia sul suo sito: “Il tribunale aveva dato alla donna tre giorni per rinunciare alla sua fede, ma la donna si è rifiutata”. Secondo la legge della Shari’a, così come applicata in Sudan, “a una donna musulmana non è permesso sposare un uomo non musulmano e questo matrimonio è considerato adulterio”. Il tribunale l’ha accusata di apostasia nel febbraio del 2014, quando lei ha affermato di essere cristiana e non musulmana. Spiega ancora Amnesty: “Meriam sostiene di essere stata educata da cristiana ortodossa, la religione di sua madre, perché suo padre, un musulmano, era assente durante la sua infanzia. Il codice penale sudanese prevede, all’articolo 146, un massimo di 100 frustate per adulterio; l’articolo 126 prevede la pena di morte qualora vi fosse il rifiuto di rinunciare alla fede cristiana”. Alla campagna lanciata da Avvenire su Twitter con l’hashtag #meriamdevevivere ha aderito, con un tweet, anche il premier Matteo Renzi: “Mi unisco alla campagna di Avvenire #Meriamdevevivere. L’Italia farà sentire la sua voce anche nelle sedi diplomatiche #Libertàdifede”. Al-Fateh Ezzedin, presidente del Consiglio nazionale sudanese, ha affermato che l’attenzione dei media internazionali per il caso di Meriam “mira a danneggiare la reputazione del Paese”. Ezzedin ha quindi invitato i media a “non diffondere informazioni non veritiere” dichiarando che “la donna è cresciuta ed è stata educata da due genitori di fede islamica”. La 27enne sudanese sarebbe stata la prima persona nel Paese africano condannata a morte per questa accusa. Finora altre persone sono state accusate di apostasia, ma sono riuscite ad evitare il carcere rinnegando la propria fede. Meriam ha scelto una via diversa. Il fatto che la condanna a morte sia stata scongiurata, non elimina il problema all’origine, ovvero finire sotto processo per aver preteso di professare una religione diversa da quella che la legge le impone.

Silvia Di Pasquale

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