Roma, 16 ottobre 1943

Il 16 ottobre 1943 è una data triste per la Comunità ebraica, un lutto per la Nazione intera.

Il rastrellamento del ghetto di Roma, non fu solo la dolorosa e progressiva applicazione anche sul suolo patrio della follia delle razze, fu la folgorante rivelazione che il Paese era dilaniato in una guerra fratricida. La deportazione fu un’imposizione straniera, cui molti, troppi italiani collaborarono. Per motivi più vari: soldi, politica, religione, invidia, pregiudizio o ignoranza, tanti delatori, complici, talvolta persecutori, affiancano i tedeschi nei crimini.

Quell’alba dello Shabat di Sukhot furono strappati dalle loro case 1.024 persone, di cui 207 bambini, che nei giorni successivi arrivarono a 2.091, qualcuno lo evitò e si salvò per caso fortuito, dai campi di sterminio fecero ritorno solo in 16.

Lo strappo sociale fu insanabile, una ferita ancora sanguinante. L’occupazione nazista di Roma, il colpevole silenzio della S.Sede, l’abulia e l’indifferenza internazionale hanno investito la Storia di correità a Kapler e Himmler nella Judenoperation.

La Comunità, perfettamente integrata nel tessuto sociale ed economico italiano e romano, in particolare, incredula e delusa all’emanazione delle leggi razziali del 1938, confidava nella blanda applicazione delle stesse. Gli ebrei di Roma, insediati nella città dal II sec. a.C., lavoravano, studiavano, commerciavano, servivano la Patria alla pari di qualsivoglia cittadino, parteciparono alle guerre di indipendenza ed alla grande Guerra per formare il nuovo Stato italiano, molti aderirono al disegno fascista e contribuirono al fermento politico e culturale dei tempi. Non esistevano differenze, né volute, né provocate, come tanti tedeschi prima dell’avvento di Hitler, si sentivano patrioti, non ospiti, della terra abitata. Così il pericolo venne sottostimato e solo un’esigua parte della popolazione ebraica emigrò tra il 1938 ed il 1945, di questi pochissimi gli ebrei romani che consideravano l’appartenenza alla città fattore di orgoglio e di lustro da generazioni.

Ogni anno la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica di Roma ricordano insieme quel tragico giorno, una marcia della memoria in quegli stessi vicoli, perché nessuno possa dimenticare l’orrore di quei tempi e resti monito, soprattutto ai giovani, affinché non si ripetano simili tragedie.

Sabrina Cicin

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