GENDER

Le politiche di pari opportunità radicano nella tutela del mercato del lavoro per poi allargarsi alle rivendicazoni di principio. La questione è stata affrontata in riferimento alla partecipazione delle donne alla vita lavorativa remunerata, resa necessaria da una struttura economica che non poteva lasciare inoperosa la metà della popolazione attiva.

Il passo da compiersi è ora quello di comprendere che le questioni di genere non attengono le donne in quanto tali, sono bensì opportunità offerte all’intera società nel suo paradigma essenziale, poiché non si può pensare di vivere una comunità democratica ove, di fatto, metà della popolazione è ignorata. E qui non discorriamo di interessi di gruppo, l’appartenenza ad un sesso biologico non è sufficiente a determinarne valenze qualitative intrinseche, è semplicemente una naturale aspirazione: il riconoscimento del diritto di esistere e di manifestarsi per come si è. E questo concetto passa sì per la previsione normativa, ma, soprattutto, nel mutamento culturale.

Se non decidiamo di impegnarci tutti e tutte nel fare lo sforzo di ridisegnare la mappa dei rapporti sociali, percorrendo nuove strade alla ricerca di soluzioni alternative, non basterà normazione, per quanto pedissequa ed articolata, ad imporre il cambiamento.

La nostra Costituzione, così moderna in termini di enunciazioni, segue di soli 6 anni la riforma del codice civile, eppure ci sono voluti 30 anni per varare la riforma del diritto di famiglia, ed ancora stiamo aspettando leggi ordinarie che rendano attuabili i principi costituzionali perché la società civile non era, non è, ancora pronta a tradurre in prassi le previsioni sancite nella carta. L’assenza, poi, d’interesse che le questioni di genere esercitano sul potere, si traduce in una esasperante lentezza nell’esame delle norme specifiche, rendendo ancor più stridente il confronto tra la sublime opera dell’Assemblea costituente, e lo scadente livello culturale del sistema in cui andavano ad incidere.

Sabrina Cicin121212

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