“Primule fuori stagione”. I grovigli della vita raccontati, con ironia, da Luciana Pennino

recensione libro di Moses Littlebear “Naturalmente, in questo preciso istante non ho la più pallida idea che la mia vita, finora, sinceramente, in una fase piuttosto insulsa, piatta, routinaria, vuota, totalmente priva di sprazzi di effervescenza, stia per ricevere un poderoso scossone”.

Prendete una donna che a quarantasei anni, si trova, improvvisamente, stravolta, in mezzo al ciclone della sua vita. Quella vita così fatta di routine, piatta, grigia, stancante, trova un lampo in mezzo al buio, e ti ritrovi costretta a cambiare tutto: priorità, esigenze, piani; sei costretta a metterti in discussione, a ricominciare nuovamente daccapo, proprio ora che credevi che la tua nave placidamente e stancamente si avvicinava sempre più al suo dolce porto.

Questa è la storia della protagonista del romanzo d’esordio di Luciana Pennino, “Primule fuori stagione”, pubblicato da Iuppiter Edizioni.

Una protagonista che non ha un nome, perché in essa ci si possono riflettere molte donne, e la cui storia è un esempio di come si riesce anche a parare i colpi della vita, a stravolgere la propria esistenza, perché ti ci hanno costretto, a ritrovare il bandolo di una matassa che si è ingarbugliata parecchio. Basta sapersi mettere di nuovo in discussione; anche a quarantasei anni.

Una donna qualsiasi, con la sua quotidiana routine, fatta di sveglia, colazione, doccia, “trucco, riordino in bagno, bucato steso, obbligatoriamente sullo stendino posizionato in casa, vista la pioggia, tupperware con la verdura per il pranzo. Borsa, chiavi, ombrello, tapparelle giù, manopole del gas controllate, e ricontrollate, e poi, largo spazio alla legge dell’attrazione!”, che, un bel giorno, si ritrova disoccupata, così improvvisamente.

Una tragedia, la perdita del lavoro, quando si è sulla soglia della menopausa; una tragedia smarrire senza preavviso la propria collocazione sociale e personale. Una tragedia, ma forse anche una nuova occasione, che la vita ci offre, togliendoci la sicurezza del nostro lavoro.

“Nel reagire a questa notizia sconquassante, mi si rivela l’esistenza di un vasto assortimento di stati d’animo, balordamente antitetici, che vanno da un infinito senso di scoramento a un’esaltazione immotivata, da una rabbia acuta e sorda a un abbandono fatalistico a quel che sarà, da uno sconvolgente smarrimento a una reattività incontrollata. Nulla, però, rispetto all’emozione che mi scorterà a lungo: la paura!”.

Il romanzo di Luciana Pennino si trasforma così in un chiassoso ed ironico teatro di vita, nel quale il lettore, rapito, insegue i pensieri ed i ragionamenti del monologo della protagonista, e attraverso essi, s’interroga, sempre più avvinto alle sue vicende.

Un racconto nel quale la protagonista si perde e si ritrova, cancella vecchi punti fermi e ne ritrova di nuovi, perde antiche certezze e riscopre se stessa.

E scopre di essere come una primula, fiore che sboccia quando spunta la primavera, ma fuori stagione, perché quella che sta vivendo è, ormai la stagione dell’autunno.

E ci riesce ad emergere perché tra tormenti e paure, tra ansie e smarrimenti, lei non perde mai la speranza.

“Ma sperare non vuol dire attendere inerti eventi felici, che semmai non si produrranno mai. Sperare è essere convinti di possedere determinazione e strumenti per riuscire a

cambiare le condizioni infelici. Dovrei rimpinzarmi di nuovo di sogni e di speranze, senza alcuna paura di ingrassare, e così riuscirei a vivere con più leggerezza e a sviluppare più difese immunitarie”.

È questo, il messaggio profondo che ci lascia l’autrice: noi possiamo stravolgere la nostra esistenza, siamo capaci di rialzarci, dopo una caduta, sappiamo come rimarginare le nostre ferite dell’animo.

Basta mettersi di nuovo in discussione, cercare un nuovo lavoro, anche se pensi: “A 46 anni sono fuori mercato”, dare un nuovo senso alla propria esistenza, alla propria quotidianità, e, anche all’amore.

Passi difficili, impacciati, insicuri, che trovano, via, via, forza e vigore e nuovo slancio per permetterti poi, di camminare, di correre di nuovo, più leggera, più libera, da pesi e insicurezze.

“Mi sento più esperta nel muovermi nel mondo del lavoro, e così mi avvio su questo nuovo percorso abbandonando il concetto del per sempre, e abbracciando la filosofia dell’oggi ce l’ho e domani non lo so, del lavorare/poter essere licenziati/ricollocarsi come ‘fisiologica curva esistenziale’ del lavoratore del nuovo millennio”.

E questo vale per il lavoro, come pure per i sentimenti.

“Mi sento più esperta nel muovermi anche nel mondo dell’amore, e così so che, se vivrò nuove storie, continuerò a godermele senza l’aspettativa del for ever, abbracciando la filosofia dell’hic et nunc, del mai dire mai, del vivere-soffrire/vivere-gioire come ‘fisiologica curva esistenziale’ delle relazioni sentimentali”.

E, solo allora, ci guarderemo indietro, e scopriremo quanta strada abbiamo fatto, e che la fatica compiuta, ci ha donato, a noi, ora un futuro più roseo.

“Esco per qualche attimo da me stessa e mi osservo con addosso gli ultimi 26 anni, quelli che conto dal debutto nell’adultità. In questo tempo, ho vissuto, semplicemente vissuto; e mi sono persuasa che l’essenza assoluta del mio fluire sta nel prendere in carico, opposti eppur sempre congiunti, il buio e la luce, le macerie come la ricostruzione, gli occhi pieni di pianto e le risate fino alle lacrime. 26 anni fa, però, non portavo, in valigia, le tisane per favorire il mio transito intestinale né, in un sacchetto, una piantina di primule…”

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