Stagione 2020/2021 Teatro Storchi

Stagione 2020/2021

Teatro Storchi

Largo Garibaldi 15, Modena

da martedì 29 settembre a domenica 11 ottobre 2020

29 e 30 settembre, 1, 2 e 6 ottobre: ore 21.00, I parte

3 ottobre: ore 20.00, I parte

4 ottobre: ore 16.00, I parte

7, 8 e 9 ottobre: ore 21.00, II parte

10 ottobre: ore 20.00, II parte

11 ottobre: ore 16.00, II parte

Il peso del mondo nelle cose

drammaturgia Alejandro Tantanian

traduzione Davide Carnevali

regia Claudio Longhi

con Simone Baroni, Daniele Cavone Felicioni, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Diana Manea,

Elena Natucci, Massimo Vazzana
violino Renata Lack
ó / Mariel Tahiraj

pianoforte Esmeralda Sella

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione

prima assoluta

durata: 1 ora e 45 minuti – I parte

1 ora e 20 minuti – II parte

La stagione 2020/2021 Una volta, c’era… del Teatro Storchi di Modena si apre martedì 29 settembre con la prima assoluta de Il peso del mondo nelle cose, la nuova regia di Claudio Longhi che lavora sulla drammaturgia originale di Alejandro Tantanian.

In scena fino a domenica 11 ottobre, lo spettacolo, prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, vede sul palco sette attori della Compagnia permanente di ERT – Simone Baroni, Daniele Cavone Felicioni, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Diana Manea, Elena Natucci, Massimo Vazzana –, Renata Lackó in alternanza con Mariel Tahiraj al violino, ed Esmeralda Sella al pianoforte.

Partendo da due racconti dello scrittore tedesco Alfred Döblin, Fiaba del materialismo e Traffici con l’aldilà, Alejandro Tantanian, figura di riferimento del teatro contemporaneo argentino, poliedrico artista che con Longhi condivide l’idea di un teatro aperto, vivo e dinamico, in stretto dialogo con la comunità, prova a immaginare un avvenire luminoso in cui l’uomo ritrova la sua relazione con il mistero e riconosce la signoria immensa e inesorabile della natura.

«Al centro dei due cunti – per Alejandro Tantanian e Claudio Longhi – generati da un medesimo sconvolgimento cosmico figlio nell’un caso della crisi depressiva della natura subentrata alla sua presa di coscienza di essere mera materia e nell’altro di una temporanea nausea della natura stessa, ahinoi così attuale!, tutta intenta a rivomitare i trapassati sui viventi (o forse i viventi sui trapassati?), le dicotomie di conoscenza esatta/mistero, prova/intuizione, scienza/fantasia esplorate in tutte le loro infinite declinazioni e possibilità. Orizzonte comune dei due divertissement: la morte, nella sua ottusa insuperabilità di gusto quasi canettiano e nel suo incessante e sin quasi indecente flirtare con la vita…

Da un rocambolesco montaggio ejzenstejniano delle due svelte allegorie (d’altronde, “se un romanzo non può essere tagliato in dieci pezzi come un lombrico”, era uso ripetere il Nostro, “e ogni parte non è in grado di muoversi da sé, allora non vale niente”), è nato dunque Il peso del mondo nelle cose, una fantasmagoria a matrioska (non per nulla figlia dell’amore infinito di Marina Cvetaeva e di Boris Pasternak consumato tra lo sbuffare dei treni alla stazione) sceneggiata per ripensare “in maschera” alla nostra fantomatica “Fase 2”. Una favola rappresentativa tutta contemporanea e neoperformativa, messa in scena per dissolvere il palcoscenico nel gran teatro del (nostro sconvolto) mondo…».

Fra il 1940 e il 1945, Döblin, tedesco di origine ebraiche in esilio negli Stati Uniti, vive con forte disagio l’impatto con la civiltà americana industrializzata mentre in Europa divampa la furia nazifascista: in quegli anni, con il suo penetrante senso dell’umorismo e con l’acutezza del suo sguardo critico, costruisce due straordinarie invenzioni letterarie in cui i concetti di natura e umanità, presente e futuro entrano in tensione mentre si spinge a esplorare i misteri dell’aldilà, il mondo degli spiriti, passando in rassegna i modi in cui i morti continuano a comunicare con noi, qui, dall’altro lato dello specchio. E per farlo, mette mano ai generi popolari: la fiaba, il racconto fantastico, il thriller… dando loro un nuovo impulso e nuove forme.

In Fiaba del materialismo (pubblicato in Italia da Ibis) Döblin sceglie la strada del “divertissement” per interrogarsi sulla rottura nell’equilibrio dei rapporti fra natura e civiltà, fra scienza e vita, e indagare con humour gli spettri del caos in cui si sentiva immerso: un improvviso sovvertimento delle leggi fisiche e delle regole naturali getta nello scompiglio il mondo, il disordine ha capovolto la realtà. La specie umana è isolata, sopraffatta, incapace di capire e di agire. Poi una tregua improvvisa riporta l’ordine. Ma non è più come prima, c’è una nuova consapevolezza nel rapporto tra l’uomo e la realtà.

Traffici con l’aldilà (edito in Italia da Adelphi) è un thriller occultistico, una detective-story vorticosa e piena di humor. In una piccola città della provincia inglese, durante la Seconda guerra mondiale, si indaga su un inspiegabile delitto, l’omicidio del birraio van Steen, rinvenuto con la testa fracassata. Un circolo di spiritisti ritiene di poter utilizzare un medium, tal Wiscott, reduce da una clinica per malati di nervi, per entrare in contatto (nell’aldilà) con l’assassino. La principale indiziata è la non irreprensibile soubrette Eveline Dutort, che si dice abbia conosciuto da vicino il defunto van Steen. Indaga la polizia, indagano gli spiritisti. Anzi, l’inchiesta finisce ben presto per concentrarsi su una serie di sedute spiritiche quanto mai bizzarre e animate da paradossali sorprese, nel corso delle quali sembrano prendere il sopravvento le forze dell’aldilà.

Dunque, il mondo dei defunti ci viene presentato in maniera scherzosa come una pittoresca comunità che introduce il caos nelle indagini per la morte del protagonista, il birraio van Steen – morto che non sa di essere morto, convinto com’è di essere partito per un viaggio e di trovarsi semplicemente «altrove».

Due opere che raccontano un quanto mai attuale senso di sconvolgimento cosmico e le tensioni fra i concetti di conoscenza esatta e mistero, prova e intuizione, scienza e fantasia, che abbiamo vissuto dolorosamente in questi ultimi mesi. Dal montaggio di queste allegorie nasce Il peso del mondo nelle cose, una favola contemporanea che gioca con i codici del teatro – dal cabaret al mélo – per riflettere sul potere e sulla funzione dell’immaginazione nel rapporto con la realtà, chiamando a raccolta gli spettatori in una sorta di festa: un invito alla celebrazione permanente del teatro, uno spettacolo per tornare a credere nella forza della fantasia.

Note di Alejandro Tantanian e Claudio Longhi

C’era una volta l’Hubei,

un’arcana contrada annidata tra le alture a nord del lago remoto, sin dalla lunga notte delle primavere e degli autunni patria del potentissimo regno di Chu…

31 dicembre 2019: le autorità cinesi riferiscono all’OMS l’emergenza di diversi casi di una misteriosa polmonite. Epicentro della malattia la città di Wuhan, con origine probabile da un mercato di pesci e animali della città stessa.

31 gennaio 2020: A fronte dei primi due casi di contagio riscontrati nel Paese, l’Italia proclama lo stato di emergenza sanitaria nazionale per sei mesi.

4 marzo 2020: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dichiara: «La verità è l’antidoto più forte, la trasparenza il primo vaccino di cui dotarci».

11 marzo 2020: l’OMS comunica che l’epidemia da Covid 19 «può essere caratterizzata come una situazione pandemica»…

Per effetto di un improvvido starnuto della natura nelle sue manifestazioni più infime (sua altezza un microscopico virus, rigorosamente incoronato, però – recapitatoci, come nelle più angosciose fiabe del terrore, da un sinistro e svolazzante lacchè in livrea di pipistrello), da alcuni mesi il nostro mondo sembra uscito dai suoi cardini. Dopo decenni di dotte e affilate anatomie della modernità e dei suoi miti, il «rischio globale» si è finalmente – e improvvisamente – palesato qui ed ora, non decentrato nei consueti ed esotici “altrove” dei terzi e quarti mondi cui siamo stati per anni avvezzi o rinviato al prossimo decennio che perpetuamente verrà, ma schiantato con forza e brutale innocenza nel nostro quotidiano, annichilito nell’orrore indicibile della morte seriale o straniato nelle sterminate file per fare la spesa al supermercato o nei cori serotini alle finestre per cantare, impotenti, la nostra libertà… E di fronte all’ammattire del pianeta, il controverso confronto con la scienza: ora alla ricerca di risposte rassicuranti, ora per protestare contro inutili cautele, ma sempre sconcertati dall’inattesa e ventriloqua polifonia relativistica dell’amica Sofia – incapaci di accettare la mancanza di una verità.

Nello strepito di questo «dramma grandioso» che giorno dopo giorno marchia a ferro caldo la nostra carne, che spazio resta all’inutile teatro – se non quello di tracciare labili e ipotetiche mappe dei nostri amletici «brutti sogni» per tentare di rimettere un eventuale (per quanto precarissimo e, non già aperto, ma spalancato) ordine nella realtà, raccontando storie (anzi, al possibile, «histoires» ancora «significatives»)? Sì! A un dipresso: una volta, c’era…

Navigando nel «pulviscolo delle storie» ci siamo così imbattuti in due operine di Döblin, l’Omero – per dirla con Brecht – del Novecento (il cantore della Neue Zeit, della metropoli e della violenza della tecnica), in un’inedita veste, però, di iniziato ai segreti eleusini: La favola del materialismo e Traffici con l’aldilà (entrambe pubblicate nel ’48, ma entrambe nate durante gli anni tribolati dell’esilio americano dell’autore). Una favoletta in forma di palinodia paralucreziana della dottrina democritea à la manière de La Fontaine e un giallo degno della miglior Agatha Christie, condotto a colpi di sedute spiritiche, perso in una verdeggiante contea della «superba Albione»… Indiscutibilmente, due trascurate “nugae”, a petto del monstrum Berlin Alexanderplatz, epperò due diabolici e sofisticatissimi ordigni letterari, nella loro ostentata leggerezza e ironia. Al centro dei due cunti – generati da un medesimo sconvolgimento cosmico figlio nell’un caso della crisi depressiva della natura subentrata alla sua presa di coscienza di essere mera materia e nell’altro di una temporanea nausea della natura stessa, ahinoi così attuale!, tutta intenta a rivomitare i trapassati sui viventi (o forse i viventi sui trapassati?) – le dicotomie di conoscenza esatta/mistero, prova/intuizione, scienza/fantasia esplorate in tutte le loro infinite declinazioni e possibilità. Orizzonte comune dei due divertissement: la morte – nella sua ottusa insuperabilità di gusto quasi canettiano e nel suo incessante e sin quasi indecente flirtare con la vita…

Da un rocambolesco montaggio ejzenstejniano delle due svelte allegorie (d’altronde, «se un romanzo non può essere tagliato in dieci pezzi come un lombrico», era uso ripetere il Nostro, «e ogni parte non è in grado di muoversi da sé, allora non vale niente»), è nato dunque Il peso del mondo nelle cose, una fantasmagoria a matrioska (non per nulla figlia dell’amore infinito di Marina Cvetaeva e di Boris Pasternak consumato tra lo sbuffare dei treni alla stazione) sceneggiata per ripensare “in maschera” alla nostra fantomatica “Fase 2”. Una favola rappresentativa tutta contemporanea e neoperformativa, messa in scena per dissolvere il palcoscenico nel gran teatro del (nostro sconvolto) mondo…

Giocando “a soggetto” coi codici del teatro e incastonando uno sgangherato cabaret di provincia, in vago odor di Muppet Show, a un mélo in bilico tra El baso de la mujer araña e La ley del deseo, senza però dimenticare le Contemplations di Victor Hugo, Il peso del mondo nelle cose è anche e soprattutto una festa di teatro. Una riflessione sul potere e la funzione dell’immaginazione (mimetica e non) nel rapportarsi alla realtà, così come essa è. Del farsi comunità. Dello stare sospesi, come nel teatro, come nella vita, «insieme, una volta ancora, qui convocati, in attesa che tutto questo diventi finalmente qualcos’altro, riuniti, decisi, fatali, accesi, ritardatari, timorosi, così coraggiosi, così uniti, così separati, così preoccupati e così senza pensieri, malati, sani, vivi, morti, insieme, una volta ancora».

Venite! Siate tutti voi i benvenuti!

C’era (forse) una volta…

Alejandro Tantanian è nato a Buenos Aires nel 1966. Nei primi anni ’80 inizia a lavorare come attore. Da allora porta avanti le attività di scrittore, regista, cantante, insegnante e traduttore. Ha fatto parte del collettivo di autori “Caraja-ji” (dando il via a una proficua collaborazione con Daniel Veronese, una delle figure di riferimento del teatro argentino di Buenos Aires nel periodo della post-dittatura) e di “El Periférico de Objetos” – un “paradigmatico” gruppo indipendente di teatro sperimentale argentino (fondato con Rafael Spregelburd e Mónica Duarte). Le sue regie sono state presentate in numerosi festival teatrali internazionali e hanno ricevuto diversi premi nazionali. È stato il primo artista argentino del settore teatrale selezionato per la borsa di studio Akademie Schloss Solitude, Stoccarda, Germania.Ha fondato nel gennaio 2010 Panorama Sur: piattaforma di scambio e formazione per artisti con sede a Buenos Aires, di cui ha ricoperto il ruolo di direttore artistico fino alla chiusura della piattaforma stessa nell’agosto 2019. Dal 2015 al 2016 ha lavorato come curatore di arti performative presso il Museo d’Arte Moderna di Buenos Aires (MAMBA).

Da gennaio 2017 a gennaio 2020 è stato Direttore Artistico del TNA / Teatro Nacional Argentino – Teatro Cervantes. Durante i suoi tre anni alla guida del TNA, Tantanian ha cambiato completamente il volto del Cervantes e vi ha impresso un’estetica nuova e ben riconoscibile, dando spazio a opere teatrali di autori sia affermati che emergenti come Rafael Spregelburd, Mariano Tenconi Blanco, Emilio García Wehbi, artista che lavora incrociando diversi linguaggi artistici, anche lui tra i fondatori di “El Periférico de Objetos”.

Nel 2018 Tantanian ha partecipato alle Giornate internazionali di studio e riflessioni Teatri abitatori di città, organizzate da ERT Fondazione, con una relazione sui diversi modi di vivere il Teatro Nazionale Argentino, collocato nella città di Buenos Aires. Il Convegno, svoltosi dal 15 al 17 febbraio nelle città di Modena, Bologna e Cesena, ha ospitato gli interventi di numerosi altri intellettuali e artisti di prestigio, quali Saskia Sassen, Richard Sennet, Chiara Guidi, Theodoros Terzopoulos, Marina Davydova, Vincent Baudriller, Davide Carnevali.

Da febbraio 2019 a gennaio 2020 ha fatto parte del Consiglio di Amministrazione del Fondo Nacional de las Artes. Come drammaturgo è stato premiato in Brasile, Uruguay, Francia, Spagna, Belgio, Austria, Germania e i suoi testi teatrali sono tradotti in portoghese, inglese, francese e tedesco. Ad aprile 2020 ha dato il suo contributo, assieme ad altri artisti internazionali, nella sezione Postcards di ERTonAIR, leggendo un estratto del suo testo inedito Rusia.

A fine ottobre 2020 uscirà per ERT Fondazione e Luca Sossella Editore, nella collana LineaExtra, l’antologia di testi argentini che comprende La vida extraordinaria di Mariano Tenconi Blanco, Nou Fiuter di Franco Calluso ed El día perfecto di Maria Marull.

Il peso del mondo nelle cose

drammaturgia Alejandro Tantanian

traduzione Davide Carnevali

regia Claudio Longhi

con Simone Baroni, Daniele Cavone Felicioni, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Diana Manea, Elena Natucci, Massimo Vazzana

violino Renata Lackó / Mariel Tahiraj

pianoforte Esmeralda Sella

elementi scenici a cura del Laboratorio di Emilia Romagna Teatro Fondazione

costumi Gianluca Sbicca

luci Vincenzo Bonaffini

disegno sonoro Alberto Tranchida

arrangiamenti musicali Renata Lackó

preparazione al canto Cristina Renzetti

assistente alla regia Davide Gasparro

direttore tecnico Massimo Gianaroli

direttore di scena Gianluca Bolla

capo elettricista Uria Comandini

elettricista Nicolò Fornasini

fonico Pietro Tirella

attrezzista Elena Giampaoli / Eugenia Carro

sarta realizzatrice e sarta di scena Eleonora Terzi

responsabile del Laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini

costruttori Sergio Puzzo, Marco Fieni, Riccardo Benecchi

scenografe decoratrici Ludovica Sitti e Sarah Menichini, Benedetta Monetti, Rebecca Zavattoni, Martina Perrone (tirocinante)

foto di scena e documentazione video Francesca Cappi

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione

Informazioni e prenotazioni Teatro Storchi:

Prezzi dei biglietti € 15 / 12

Biglietteria Teatro Storchi – Largo Garibaldi 15, Modena

Orari apertura al pubblico: martedì, venerdì e sabato ore 10.00 – 13.00 e dalle 16.30 -19 – mercoledì e giovedì ore 10.00 -14.00

biglietteria@emiliaromagnateatro.com | modena.emiliaromagnateatro.com | www.vivaticket.it

Biglietteria telefonica – tel. 059 2136021

Dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 13.00

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