Sara Favarò nominata Cavaliere della Repubblica Italiana

Chista sugnu, forza della natura, donna senza tempo, giornalista, scrittrice, cantautrice e attrice, studiosa di cultura e religione popolare, si tutto vero. Sara Favarò è però soprattutto una persona appassionata che sente di avere una missione e che ha speso ad oggi tutta la sua vita al servizio della comunità nel costruire una cultura di pace inclusiva, aliena da ogni qualsivoglia divisione. Impegno che rinnova quotidianamente con amore, cura e dedizione. A riconoscimento di tale nobile attività il 2 giugno nella Prefettura di Palermo, in occasione del cerimoniale previsto per la ricorrenza della festa della Repubblica le sarà consegnata l’onorificenza. In verità durante la sua poliedrica attività ha ricevuto numerosi premi, e già altre autorità le hanno riconosciuto grandi meriti come l’ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che ha desiderato congratularsi per il suo libro “Le ragazze dello Zen”, diario di un periodo di volontariato allo Zen due di Palermo o la lettera con la foto autografata di Papa Francesco arrivata direttamente dal Vaticano. Anche il sindaco di Palermo Leoluca Orlando l’ha insignita di un importante riconoscimento in qualità di “Tessera Preziosa del Mosaico Palermo”.

In questi giorni Sara Favarò è presente al Salone Internazionale del libro di Torino con le sue ultime 4 pubblicazioni: “L’Aquilone della Pace”, Albo illustrato da Umberto Marsala, Villaggio Letterario editore; “Cunti” Racconti popolari siciliani, Di Girolamo Editore; “Lenzuola nel Vento”, Albo illustrato da Angela Barbiera, Nuova Ipsa Editore; “Qualcosa è cambiato. Attilio Manca. Suicidio?”, Libro inchiesta, con prefazione di Don Luigi Ciotti, presentazione di Marina Baldi e postfazione di Salvatore Borsellino, Villaggio Letterario editore. “L’Aquilone della Pace” è il primo ed unico albo tradotto in cinque lingue: italiano, russo, inglese, ucraino e cinese, perché la Pace non ha bandiera e per essere attuata concretamente deve divenire un messaggio universalmente sentito e condiviso. L’opera è rivolta a tutti coloro che superando le diversità di razza, sesso, cultura, desiderano diventare i cultori e i promotori dell’educazione alla Pace. Il 25 marzo scorso in occasione della Giornata Mondiale della poesia indetta dalla FUIS e da Federintermedia, la favola “L’Aquilone della Pace” è stata letta presso la Biblioteca della Camera dei Deputati. Il secondo albo “Lenzuola nel Vento” si dispiega da un ricordo personale dell’artista che si rivede bambina mentre corre tra le lenzuola profumate, fresche di bucato, teli candidi messi ad asciugare al sole, dove inabissarsi, perdere e riacquistare coscienza di sé, creando spazi immaginifici e fantastici. La lettura dell’opera se da una parte ci fa partecipi del mondo affettivo dell’autrice grazie all’espediente narrativo del ricordo, dall’altra si ripropone di stimolare le nuove generazioni a creare giochi fantasiosi che superino il codificato e iterativo linguaggio telematico al fine di recuperare anche gli spazi e i tempi dei rapporti familiari. In “Cunti” l’autrice continua la sua battaglia contro il concreto rischio dell’omologazione culturale derivante dalla globalizzazione, narrando dei racconti, i cunti appunto ad un pubblico adulto nella lingua dei padri affinché non smarriscano le proprie origini e traggano conforto, calore, lasciandosi accarezzare dai ricordi fanciulleschi, e rivolgendosi ai Zoomers affinché acquisiscano la lingua degli avi e ne comprendano il valore culturale.

Sara Favarò in questi anni ha svolto molte ricerche approfondite sulla cultura, la lingua, le tradizioni della sua Sicilia bedda, costituendo un vero e proprio archivio immateriale a cui attingere e da tramandare alla futura memoria. Questa donna, vera fonte inesauribile di entusiasmo e volontà ha costantemente impiegato il proprio cangiante talento a favore dell’accrescimento culturale della collettività, in un lavoro di una vita, quaranta lunghi anni, durante i quali si è dedicata alla ricerca, registrazione, trascrizione e studio di reperti della tradizione orale. Sara teme che una vita sola non

sia abbastanza ma si batte affinché possiamo opporre almeno una stregua resistenza al livellamento culturale dilagante che ci impoverisce intellettualmente. Nella sua missione la sorregge e anima l’intima convinzione che debba restituire nel modo a Lei più congeniale tutto l’amore che fin da piccola ha respirato nel suo nido domestico a Vicari, coccolata dalle amorevoli attenzioni e cure dei suoi genitori e dei suoi nonni che l’hanno introdotta al mondo della musica. Sara ricorda il dono più prezioso di sua mamma che le ha insegnato a sorridere e dove vi è il sorriso regna sovrano il desiderio di armonia e pace. Eppoi la capacità di aprirsi all’altro, accoglierlo, comprenderlo e all’occorrenza saperlo anche perdonare. Dal papà ha ereditato quel senso critico, la volontà di non fermarsi all’apparenza ma di indagare e ricercare l’essenza, ciò che non appare subitaneamente. Le ha insegnato ad amare la poesia, la scrittura, l’arte e la ricerca del bello. Genitori e figli avvolti in un manto di amore vero che l’ha forgiata e le ha fornito l’opportunità di divenire l’adulto ricco spiritualmente ed intellettualmente di oggi. Della sua formazione si sono occupati anche i nonni, entrambi coinvolti nella banda musicale del loro paesino che le hanno trasmesso la passione e l’amore per la musica.

Ha soli 11 anni Sara quando con la famiglia si trasferisce a Palermo e comprende fin da subito il valore del patrimonio culturale degli avi, l’importanza di tramandare e condividere racconti, aneddoti, proverbi in una lingua a Lei familiare, carica emotivamente anche dei sapori e dei profumi delle prelibatezze a cui la mamma l’aveva abituata fin da piccina ma che la sua classe di coetanei cittadini ignorava. Cresce Sara e acquisisce la consapevolezza del suo posto nel mondo e della sua missione grazie all’incontro con Ignazio Buttitta che insieme al pittore Pippo Madè, pubblica per primo e a proprie spese il suo primo libro di poesia: Chista sugnu! Poi il mentore la introduce nelle scuole, piazze e circoli culturali dove inizia a recitare le sue poesie e a divulgarle, fino ai viaggi più impegnativi, raggiungendo tutte le località della Sicilia e della Calabria in compagnia di altri artisti quali Rosa Balistreri, Ciccio Busacca, Fortunato Sindoni, Otello Profazio, veri mostri sacri del canto popolare da cui ha l’occasione di apprendere i ritmi, le modulazioni vocali, i canti. A loro Sara Favarò è rimasta molto legata perché hanno contribuito a creare le fondamenta del suo bagaglio esperenziale, offrendole gli stimoli culturali e l’ispirazione per la sua produzione letteraria e per la sua attività di cantautrice. L’artista infatti scrive testi teatrali che rappresenta con la sua compagnia musicale e teatrale “Gruppo Arte Sikelia”. Nel 1979 ha fondato con Giovanni suo fratello un gruppo artistico musicale “Sikelia” con il quale sono andati in tournée oltre che in Italia, in Canada, Germania, Australia facendo conoscere i suoi testi a cui l’intero gruppo proveniente da diverse esperienze ha dato il proprio contributo nello scrivere gli arrangiamenti. Di fatto Sara e Giovanni con i Sikelia sono stati gli antesignani di un genere definito folk in progress, all’epoca all’avanguardia e visto di sbieco da quei parrucconi della musica che accomunavano il folk alle canzoni con i “trarallalleru” come è accaduto con il testo più oltraggiato di sempre “Vitti na crozza” di Franco Li Causi, composto per il film di Pietro Germi “Il cammino della speranza” del 1950.

Non solo favole e racconti, Sara Favarò come giornalista collabora con testate nazionali ed estere. I suoi articoli sulle tradizioni popolari siciliane pubblicati da Sikania anche in inglese sono risultati ai primissimi posti nelle top ten delle testate più lette in Italia e America. Si è distinta come autrice di un libro, il suo 76° che contiene un’inchiesta criminologica sulla tragica morte di Attilio Manca, urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, specializzato in interventi chirurgici alla prostata, rinvenuto cadavere il 12 febbraio del 2018. Nonostante infatti la morte sia stata archiviata come un caso di suicidio, le indagini della giornalista mettono in luce delle incongruenze e degli elementi che accomunano l’evento ad altre vicende di morti sospette. Sara Favarò sollecita e auspica la riapertura del caso.

 

Foto Giulio Azzarello

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