La casa al civico 6 della scrittrice Nela Rywiková, l’ultima uscita editoriale de Le Assassine

La casa al civico 6 della scrittrice Nela Rywiková, l’ultima uscita editoriale de Le Assassine

Di Francesca Ghezzani

Per la collana Oltreconfine della casa editrice Le Assassine è da poco uscito il libro La casa al civico 6 della scrittrice Nela Rywiková, pubblicato per la prima volta in Italia grazie al sostegno del Ministero della Cultura della Repubblica Ceca e di cui ci parla l’editrice Tiziana Prina.

L’ambientazione presenta un Paese ancora parzialmente scosso e influenzato, sia nei luoghi che nella mentalità dei cittadini, dal totalitarismo comunista, durato fino alla Rivoluzione di velluto (1989). L’autrice mostra ai lettori la realtà di Ostrava, un tempo città dell’industria pesante e delle fabbriche, ora quasi tutte chiuse: “una città grigia”, come grigi erano i pensieri di chi vi abitava.

Tiziana, ci parli dell’autrice? Come ne sei venuta a conoscenza?

Ti ricordi i mitici tempi pre-Covid, dove si poteva viaggiare e andare alle fiere? Bene, a Francoforte, durante la Buchmesse, ho incontrato l’agente di Nela Rywikova ovvero Dana Blatna e le ho chiesto se avesse qualche libro del genere giallo che però parlasse un po’ del suo Paese. Tra i tanti che mi ha inviato, grazie anche all’aiuto di Raffaella Belletti, la traduttrice, sono arrivata a La casa al civico 6.

La vicenda dove e quando è ambientata?

La vicenda si svolge a Ostrava, una città situata a nord est della Repubblica Ceca, vicino al confine polacco e slovacco. La città costituiva in epoca comunista il cuore di carbone e acciaio del Paese con tutte le sue industrie. La vicenda narrata si svolge invece dopo la Rivoluzione di velluto del 1989, rivoluzione di velluto perché i Velvet Underground facevo da colonna sonora ai manifestanti.

L’incipit del romanzo di Nela Rywiková rimanda all’affresco dickensiano della Londra industriale dell’Ottocento, non trovi?

Sì, certamente ed è quello che mi ha subito colpito: sono un’appassionata di romanzi inglesi dell’Ottocento e la descrizione che viene fatta mi ha riportato appunto alla Londra di Dickens. Eccone un piccolo esempio: “Dalle ciminiere della fabbrica e dai vagoncini di carbone si levava una polvere fine che ricopriva ogni cosa di una patina grigia. Per giorni e giorni attraverso la densa coltre di fumo e polvere non faceva capolino neppure un raggio di sole. A perdita d’occhio si vedevano solo le silhouette delle ciminiere e i contorni delle torri di estrazione e degli altiforni. Una città grigia, gente grigia, e grigi erano spesso anche i pensieri nelle loro teste”.

La trama in realtà nasconde una metafora o una denuncia?

Direi entrambe le cose: la denuncia perché in fondo coloro che sono usciti già adulti dall’esperienza comunista, non essendo più tanto giovani, avevano la strada già tracciata e in un certo senso sono stati lasciati a se stessi nel ricostruirsi una vita. A loro sono forse mancati gli strumenti per capire il mondo diverso (per la DDR il discorso è stato diverso, perché la Germania ha avuto la capacità e diciamo anche la potenza economica per integrare velocemente la parte orientale del Paese, anche se anche lì non è mancata la nostalgia del “si stava meglio quando si stava peggio”. La metafora la vedo invece nello stato di passività dei personaggi, in quell’affidare agli altri la risoluzione dei propri problemi e l’incapacità di aprirsi e di modificare i propri pregiudizi e le idee preconcette.

 

Comunismo vs. capitalismo: quale realtà emerge?

Direi una realtà in cui nessuno emerge vincente: solo i giovani danno l’impressione di avere un futuro, per gli altri non c’è molto da fare: ingabbiati dalle vecchie ideologie e lasciati a sé dalla nuova realtà capitalistica. Va detto però che qui parliamo di Ostrava, la città ceca con il più alto tasso di disoccupazione, dovuto alla chiusura delle fabbriche, per cui forse non bisogna proprio generalizzare. L’ultima volta che sono stata a Praga, ho visto una città vivace e piena di proposte interessanti, ben diversa da quella che ho visitato prima della fine della Cortina di Ferro.

A te, Tiziana, che pubblichi autrici di tutto il mondo, vengono in mente parallelismi con altri Paesi?

Mi viene in mente un altro danno, frutto di un’ideologia, se così possiamo definire l’Islam radicale. Infatti nella Sedia del custode di Bahaa Trabelsi, il serial killer, che ha dei connotati psicopatici, è stato istruito solo alla scuola coranica, e quindi ha una visione molto limitata del mondo. Questa visione manichea della vita lo porta a dividere in maniera netta tra buoni e cattivi, e a punire ferocemente chi, a suo avviso, non rispetta i precetti del Corano.

Pensi che l’incapacità di ritenersi artefici del proprio destino sia riconducibile a ideologie e regimi?

Personalmente credo che ci sia dell’altro. Non solo le ideologie e i regimi ci mettono in gabbia, a volte ci si mette la società in cui viviamo, anche se democratica, per un’uniformità a certi stereotipi; poi c’è il condizionamento familiare e infine ci sono delle caratteristiche personali che possono impedirci di esprimerci liberamente.

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