IL DESERTO DEI TARTARI.
LA FORTEZZA – 

IL DESERTO DEI TARTARI.
LA FORTEZZA – 

Momento unico per tre attori soli da Dino Buzzati

drammaturgia e adattamento di Massimo Roberto Beato

regia Jacopo Bezzi

con Massimo Roberto Beato, Alberto Melone, Alessandro Lori

musiche originali Giorgio Stefanori


aiuto regia Ferrante Cavazzuti


assistente alla regia Federico Malvaldi

TEATRO SPAZIO 18B- Roma

 dal 14 al 17 ottobre

TEATRO GALLERIA TOLEDO- Napoli

 dal 4 al 7 novembre

Dopo il successo di critica e pubblico della stagione 2019/20, torna in scena prima a Roma al Teatro Spazio 18B dal 14 al 17 ottobre, e poi a Napoli presso Galleria Toledo – teatro stabile di innovazione, dal 4 al 7 novembreIL DESERTO DEI TARTARI. LA FORTEZZA, spettacolo diretto da Jacopo Bezzi. Massimo Roberto Beato cura l’adattamento della vicenda, ideata da Dino Buzzati, del maggiore Giovanni Drogo rievocata nella stanza della locanda dove egli è giunto, malato, costretto suo malgrado, a lasciare la Fortezza sotto assedio.

Drogo, seduto su una poltrona mentre osserva fuori dalla finestra la sera e la notte incombente, in quest’ultimo atto di lucidità che precede la sua morte – e che egli vive come la sua “vera battaglia”– procede a ritroso con la mente per approdare a vari momenti della sua vita e domandarsi se essa poteva o doveva essere vissuta diversamente.

Il protagonista è lui, il Tenente Giovanni Drogo, neodiplomato all’Accademia Reale, pronto a prendere servizio alla Fortezza Bastiani, sua prima destinazione. Si agitano in lui sentimenti contrastanti: la pena di lasciare la casa materna, la vita comoda della città e la sensazione che grandi eventi lo stiano aspettando. Una volta giunto però, una nuova indistinta malattia si impossessa lentamente di lui: è l’effetto della malìa esercitata dal deserto che si intravvede dalla Ridotta Nuova al confine con il nord, e dell’infinita attesa dei Tartari, popolo misterioso e leggendario che potrebbe attaccare da un momento all’altro, immortalando gli abitanti della Fortezza in un destino di gloria.

Primo capitolo della “Trilogia degli sconfitti” – progetto di ricerca triennale a cura de “La Compagnia dei Masnadieri” di indagine sulla generazione nata a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 del’900, attraverso gli echi e gli spunti offerti sia dalla letteratura classica che dalla drammaturgia contemporanea – Il Deserto dei Tartari offre l’occasione, attraverso il personaggio di Drogo, di riflettere sul destino degli ‘anti-soggetti’, coloro che seppur incapaci di adattarsi a un mondo di cui non comprendono le regole, sono tuttavia destinati a viverci. Più o meno consapevoli di essere l’incarnazione di una cultura minoritaria e inesorabilmente condannati al fallimento quando tentano di opporsi all’arbitrarietà e inconsistenza della vita, questi personaggi riescono a realizzare il proprio destino nel momento in cui accettano di combattere, fino in fondo, la battaglia degli sconfitti: consci delle circostanze date essi ingaggiano, infatti, una costante lotta interiore, dagli esiti incerti, per tradurre in atti consapevoli gli ideali superiori di cui sono portatori.

Il deserto dei Tartari è una riflessione infinitamente malinconica sul tempo che scorre inesorabile, senza che l’uomo ne abbia percezione nel suo distillare goccia dopo goccia la vita. In un luogo grigio e placido come la Fortezza Bastiani, sorvegliando l’immobile deserto dal quale un giorno o l’altro potrebbero spuntare i temuti Tartari, il tempo sembra non passare mai e il tenente Drogo (Alberto Melone) appena ventenne, ritiene una punizione l’essere stato assegnato di guardia in un posto così ostile. Solo il rapporto sempre più simile, forse, ad un’amicizia con il suo superiore, il capitano Ortiz (interpretato da Massimo Roberto Beato) lo consola dai giorni sempre più simili tra di loro, fino a quando finalmente qualcosa si muove.

Nella regia c’è un’impostazione ben precisa nel gestire la prossemica fra gli attori, nel forgiarli in un corpo che diventa per prima cosa strumento drammaturgico e anche scenografico. I tre sono distintamente caratterizzati, accomunati solo dai movimenti cadenzati, quasi fossero soldatini a carica o marionette, imbrigliati nel codice militaresco che impone rigidità e fissità nei movimenti così come nelle parole. L’andamento dei dialoghi segue una modulazione ben delineata, scandendo ogni episodio della vicenda con l’ausilio di fermo immagine accompagnati dalle musiche originali di Giorgio Stefanori. Tre attori soli dunque, due dei quali calzano i panni dello stesso personaggio per tutto lo spettacolo mentre Alessandro Lori è una sorta di jolly, impegnato nell’interpretazione delle numerose figure di contorno con le quali Drogo entra in contatto, partendo dal dottore che vuole esimerlo dal servizio alla Fortezza, al sarto al quale chiede un mantello, e addirittura alla ragazza che aveva sperato di amare ancora durante il breve congedo in città.

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