ARTEMISIA GENTILESCHI MUSEO DI ROMA A PALAZZO BRASCHI 30 NOVEMBRE 2016 – 7 MAGGIO 2017

Un viaggio nell’arte della prima metà del XVII secolo seguendo le tracce di una grande, vera donna. Una pittrice di prim’ordine, un’intellettuale effervescente, che non si limitava alla sublime tecnica pittorica, ma che seppe, quella tecnica, declinarla secondo le esigenze dei diversi committenti, trasformarla dopo aver assorbito il meglio dai suoi contemporanei, così come dagli antichi maestri, scultori e pittori.zzzzzLa parabola umana e professionale di Artemisia Gentileschi (1593-1653), straordinaria artista e donna di temperamento, appassiona il pubblico anche perché è vista come un’antesignana dell’affermazione del talento femminile, dotata di un carattere e una volontà unici. Un talento che le consentì, giovanissima, arrivata a Firenze da Roma, prima del suo genere, di entrare all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze; che le fece imparare, già grande, a leggere e scrivere, a suonare il liuto, a frequentare il mondo culturale in senso lato; una volontà che le consentì di superare le violenze familiari, le difficoltà economiche; una libertà la sua che le permise di scrivere lettere appassionate al suo amante Francesco Maria Maringhi, nobile raffinato quanto tenero e fedele compagno di una vita. Una tempra la sua, che pure sotto tortura (nel processo che il padre intentò al suo violentatore Agostino Tassi) le fece dire: “Questo è l’anello che tu mi dai et queste le promesse”, riuscendo così a ironizzare, fino al limite del sarcasmo, sulla vana promessa di matrimonio riparatore.

La mostra che si apre il 30 novembre al Museo di Roma a Palazzo Braschi, con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, promossa e prodotta da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Arthemisia Group e organizzata con Zètema Progetto Cultura, e che copre l’intero arco temporale della vicenda artistica di Artemisia Gentileschi, consentirà al visitatore di ripercorrere vita e opere dell’artista a confronto con quelle dei colleghi: circa 100 sono in totale le opere in mostra, provenienti da ogni parte del mondo, da prestigiose collezioni private come dai più importanti musei in un confronto serrato tra l’artista e i suoi colleghi, frequentati, a Roma, come a Firenze, ancora a Roma e infine a Napoli, con quel passaggio veneziano di cui molto è da indagare, così come la breve intensa parentesi londinese.

L’esposizione, che rimane aperta sino al 7 maggio 2017, nasce da un’idea di Nicola Spinosa ed è curata dallo stesso Spinosa per la sezione napoletana, da Francesca Baldassari per la sezione fiorentina, e da Judith Mann per la sezione romana. È accompagnata da un catalogo edito da Skira che dà conto dei diversi periodi artistici e umani di Artemisia e riporta le schede delle opere esposte, frutto dei più recenti studi scientifici e degli ultimi documenti rinvenuti.

Oltre quindi ai magnifici capolavori di Artemisia come la Giuditta che taglia la testa a Oloferne del Museo di Capodimonte, Ester e Assuero del Metropolitan Museum di New York, l’Autoritratto come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum di Hartford Connecticut, si vedranno la Giuditta di Cristofano Allori della Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze o la Lucrezia di Simon Vouet del Národní galerie v Praze di Praga, solo per citarne alcuni: dopo i dipinti della

prima formazione presso la bottega del padre Orazio, quelli degli anni fiorentini, segnati dai lavori dei pittori conosciuti alla corte di Cosimo de Medici come Cristofano Allori e Francesco Furini, ma anche le tangenze con Giovanni Martinelli; altri che recano echi, e non solo, della sua amicizia e frequentazione con Galileo, come del mondo, allora nascente, del teatro d’opera.

Scandite all’interno di un itinerario cronologico, le successive opere di Artemisia sono messe in relazione con quelle dei pittori attivi in quegli anni d’oro a Roma: Guido Cagnacci, Simon Vouet, Giovanni Baglione, fonte d’ispirazione rispetto ai quali la pittrice aggiorna, di volta in volta, il suo stile proteiforme e mutevole.

A concludere, i dipinti eseguiti nel periodo napoletano, quando ormai Artemisia può contare su una sua bottega e sulla protezione del nobile Don Antonio Ruffo (1610-1678), lavori in cui, grazie ai confronti, sarà possibile capire il suo rapporto professionale coi colleghi partenopei: da Jusepe de Ribera e Francesco Guarino a Massimo Stanzione, Onofrio Palumbo e Bernardo Cavallino; tele come la splendida Annunciazione del 1630 – presente anch’essa in mostra – paradigmatiche di questa fiorente contaminazione, scambio e confronto.

Sponsor della mostra Generali Italia, sponsor tecnico Trenitalia.

L’evento è consigliato da Sky Arte HD.

ARTEMISIA GENTILESCHI

Artemisia Lomi Gentileschi. Artemisia Gentileschi. Artemisia. È così ormai che il mondo la conosce, gli storici dell’arte come la gente comune. Chi la reputa pittrice di prim’ordine, in grado di eguagliare e superare nell’arte i tanti pittori del suo tempo, e non solo, e chi resta stregato dalle sue Giuditte vendicatrici, dalle Cleopatra, Ester, Maddalene, sante, dame e suonatrici, dai suoi colori, dalle ombre caravaggesche e terribili di suoi lavori. Artemisia per anni, per decenni, complice la biografia parecchio romanzata di Anna Banti, è sembrata essere solo una bambina violata dall’amico e sodale del padre, quell’Agostino Tassi che non fece un solo giorno di esilio o galera. Sembrava Artemisia, uscita dalle pagine travagliate della grande storica dell’arte, non voler altro che l’approvazione del padre, come pittrice, e il suo amore, come figlia. Sembrava Artemisia far ricorso all’orgoglio per salvare la sua vocazione, al punto da allontanare l’unico uomo amato, il padre della figlia, il vicino di casa Pierantonio Stiattesi, sposato per cancellare la macchia dello stupro dalla sua reputazione di donna. E sembrava aver avuto un’unica figlia, trascurata e negletta, che detestava colori e pennelli e odiava quella madre che affetto e attenzioni non poteva dare, troppo impegnata a farsi strada in un mondo fatto solo di uomini, impossibilitata a svelare emozioni, pena il crollo della sua autorevolezza. Una figlia che, con gli occhi e le parole, pare esser sempre pronta a rimproverarle modi e costumi, che preferisce la pudicizia delle monache e la tranquillità economica di un matrimonio di interesse. E parte Artemisia, attraversa mezza Europa per giungere alla corte della Regina di Inghilterra, dove si trova il padre che la accoglie, ma al tempo stesso è geloso del suo successo. La corte è tetra e fredda, il padre se ne sta nascosto e infine muore, tra le sue braccia, e a lei non resta che tornare indietro e forse morire sola in una qualche locanda prima di arrivare nel porto di Napoli.

Artemisia non è questa, non lo è mai stata. Il tempo, i documenti, le carte uscite fuori dagli archivi, e forse ancora molte da trovare, han reso giustizia a una donna, a un’artista, a un’eroina che non si fa scrupoli perché solo in questo modo è possibile esser donna e pittrice in quell’epoca, in quel mondo. Non era affatto bambina quando conobbe il Tassi che amò per quasi un anno. E certo il processo ci fu e alla fine non si sposarono. Sposò lo Stiattesi ma chi tra i due ci guadagnò, non è chiaro. Amò furiosamente un suo coetaneo alla corte di Firenze, il nobile Francesco Maria Maringhi, come testimoniano le sue lettere appassionate, che la salvò dall’accusa di furto di colori quando scappò con i figli, che molti ne ebbe, da Firenze a Roma. Cambia case, si fa nuovi amici, non paga i debiti, pur di lavorare e di essere grande tra i grandi del suo tempo. L’amico Vouet ci lascia un suo ritratto (ma il suo volto lo si conosce a memoria, che lo regala alle sue donne di pennello più crudeli). È a Venezia e poi a Napoli. Si fa agente di se stessa. Ha a che fare coi grandi della nostra penisola, come d’Europa, raccomandando perfino famiglia e parenti, rimandando consegne di lavori, scrivendo lettere tanto supplichevoli quanto furbe. Scrive a Galileo di cui è amica. Il suo amante di sempre, il Maringhi, la raggiunge a Napoli. Girolamo Fontanella compone un’ode per lei e negli anni successivi addirittura sette per le sue opere. Parte per Londra, dove raggiunge il padre, e dove rimane anche dopo la sua morte per rientrare poi a Napoli dove lavora molto e molto promette, pur di farsi anticipare danari e colori.

Secondo le fonti vien sepolta nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini. “Heic Artemisia” sulla sua lapide. Perché da questo momento è solo Artemisia, la grande, immensa pittrice.

LA MOSTRA

1606-1613 – Artemisia a Roma: gli esordi

Orazio Gentileschi ebbe quattro figli e la primogenita Artemisia (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 14 giugno 1653), unica femmina, era quella dotata di maggior talento. Cresciuta nel mondo del naturalismo caravaggesco, si formò nella bottega del padre, che eccelleva nella riproduzione realistica di materiali e particolari quotidiani. La giovane assimilò da Orazio l’attitudine a registrare tutto ciò che osservava, come dimostra il notevole Susanna e i vecchioni dipinto nel 1610. Artemisia sviluppò una spiccata capacità di ritrarre la figura umana, che è il tratto per il quale è più nota e ammirata.

La Roma degli anni giovanili di Artemisia era una città vibrante, in pieno cambiamento. La ristrutturazione delle chiese paleocristiane, la progettazione di strade più ampie ed efficienti, il miglioramento del sistema di circolazione dell’acqua e la realizzazione di nuove fontane: tutto ciò attirava numerosi pellegrini che avvertivano il richiamo della città santa e molti artisti stranieri. Tra questi Agostino Tassi, divenuto un collega del padre, aggredì e stuprò nel 1611 Artemisia.

Malgrado il trauma, in questo periodo difficile l’artista eseguì alcuni dei suoi lavori più ispirati, tra cui la Danae (1612 ca.) proveniente da Saint Louis. È difficile stabilire con certezza quali altri artisti Artemisia conoscesse direttamente ma è evidente che la pittrice assimilò i gesti espressivi, la luce drammatica e gli scorci intimi che caratterizzavano il linguaggio visivo della pittura romana dell’epoca.

Nella prima sezione di mostra le opere di Artemisia Gentileschi sono: Susanna e i vecchioni (1610), Danae (1612 ca.), Giuditta e la fantesca Abra (1613 ca.) accanto al David con la testa di Golia (1610 ca.) di Orazio Gentileschi e Maddalena in meditazione di Jusepe de Ribera. In mostra anche Giuditta consegna la testa di Oloferne alla serva di Giovanni Baglione, La morte di Cleopatra e Santa Cecilia di Antiveduto Gramatica, Giuseppe e la moglie di Putifarre (1610) di Lodovico Cardi detto Il Cigoli e Maddalena penitente di Carlo Saraceni.

1613-1620 – Artemisia a Firenze

Nel 1613 Artemisia, dopo la violenza e il processo subiti a Roma, giunse con il novello sposo Pierantonio di Vincenzo Stiattesi pittore fiorentino, alla corte di Firenze allora in vivace fermento sotto il gusto raffinato di Cosimo II de’ Medici.

Durante i quasi otto anni di soggiorno presso la capitale del granducato toscano, Artemisia si distinse come una delle personalità di primo piano nel panorama cittadino dominato dalla presenza di Galileo e originale snodo artistico, segnato anche da influenze caravaggesche. La posizione di rilievo acquisita è testimoniata dalle prestigiose committenze e dall’ammissione – prima donna della storia – all’Accademia del Disegno nel 1616. Per Artemisia Firenze significò soprattutto l’incontro e il dialogo con gli artisti attivi sul suolo toscano nella prima metà del Seicento, primo tra tutti Cristofano Allori, inventore della “poetica degli affetti”. Allori, oltre a fare da padrino al figlio omonimo della pittrice, svolse un ruolo fondamentale nell’evoluzione del suo stile, inducendola ad adottare soluzioni più eleganti e decorative, già magistralmente padroneggiate dal maestro Ludovico Cigoli che Artemisia seppe coniugare all’uso di una tavolozza preziosa e di una pennellata morbida sull’ulteriore esempio di Jacopo da Empoli. La celebre Giuditta dell’Allori oggi a Pitti, con l’intrigante immagine della Mazzafirra, amante dell’artista, che seduce dall’alto della sua statura brandendo il capo mozzo dello stesso Cristofano nei panni di Oloferne, rimane senz’altro una lezione indimenticata da Artemisia. Il segreto degli ori del damasco che languisce e lievita sotto il pennello di Cristofano è ormai di pieno dominio gentileschiano nella Maddalena convertita oggi a Pitti. Fondamentale per il successo professionale di Artemisia che, lontana dal padre, riuscì ad acquisire un proprio stile originale, fu la figura di Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568-1646), suo mecenate e protettore. Fu forse proprio il Buonarroti a fare da tramite tra Artemisia e la famiglia Corsi, e in particolare Laura Corsini, consorte del geniale Jacopo Corsi, l’inventore della Camerata de’ Bardi. Laura Corsini è l’ipotizzata committente della Giuditta oggi a Capodimonte, gemella dell’eroina che compare nella tela più tarda e di soggetto analogo oggi agli Uffizi, forse realizzata proprio a Firenze o comunque commissionata e ideata in terra toscana, come attestano la composizione scenograficamente più curata in chiave teatrale, la cura dei dettagli e la vesta sontuosa.

Opere di Artemisia Gentileschi presenti in questa sezione sono: La Conversione della Maddalena (1616-17 ca.), Giuditta che decapita Oloferne (1620-21 ca.), Giuditta decapita Oloferne (1617, da Capodimonte il cui prestito è stato concesso dal 17 febbraio 2017), Giaele e Sisara (1620); accanto magnifiche tele quali Giuditta con la testa di Oloferne (1620) di Cristofano Allori, Giuditta e la fantesca (1620 ca.) di Andrea Commodi, Pietà (1618) di Filippo Tarchiani, Venere piange la morte di Adone (1625-26 ca.) di Francesco Furini, Davide uccide Golia (1620-1622 ca.) di Filippo Tarchiani, Apollo che scortica Marsia (1630 ca.) di Bartolomeo Salvestrini, Noli me tangere (1618 ca.) di Battistello Caracciolo.

L’Aurora di Artemisia e la sua influenza nella pittura fiorentina del Seicento

Nella cerchia di Michelangelo Buonarroti il Giovane figuravano personalità di spicco per l’arte, la scienza, la musica e la letteratura. Tra quest’ultime svetta lo scienziato pisano Galileo Galilei (1564-1642), i cui studi e interessi avevano avuto una diffusione importante a Roma, dove lo scienziato era affiliato all’Accademia dei Lincei, e nella città granducale dove godeva del favore della famiglia Medici. Il più giovane principe Leopoldo de’ Medici contribuì, nel 1657, quando lo scienziato era mancato ormai da oltre un decennio, alla nascita dell’Accademia del Cimento.

Il legame di sincera amicizia tra Galileo e Artemisia è documentato anche dall’interesse mostrato, fin dagli esordi, dalla pittrice per gli studi dello scienziato sull’atmosfera. Se nella figura dell’Inclinazione, compiuta tra il 1615 e il 1616 per Casa Buonarroti a Firenze, è palese l’omaggio a Galileo, ancor più evidente è nella grande tela raffigurante l’Aurora databile al 1625 circa. La figura di Aurora ebbe una grande eco nell’immaginario pittorico del Seicento fiorentino, come attestano il Ratto di Proserpina di Giovanni Bilivert (1633), il Pan e Siringa di uno dei suoi allievi più dotati, Agostino Melissi, le sensuali bellezze femminili di Francesco Furini, le eroine come la Ghismunda di Mario Balassi o l’Olimpia di Giovanni Martinelli. Tra Artemisia e i pittori fiorentini vi fu un legame bivalente di reciproco scambio, fatto non solo di debiti, ma di crediti importanti.

Se Artemisia attinse al linguaggio figurativo imparato a Firenze, appropriandosi della sensuale eleganza, dei colori brillanti e vividi, del gusto teatrale e della languida morbidezza dell’Empoli, del Cigoli e dell’Allori, gli artisti che intrecciarono le proprie vicende artistiche con quelle della pittrice ne guadagnarono i plateali toni drammatici, nonché la sinuosa sensualità delle figure femminili, come attestano mirabilmente le Tre Grazie del Martinelli e la Lucrezia di Felice Ficherelli.

Opere di Artemisia Gentileschi presenti in questa sezione sono: Aurora (1625 ca.), accanto a Arianna abbandonata da Teseo nell’isola di Nasso (1625-30 ca.) di Francesco Morosini, detto il Montepulciano, Ghismunda riceve il cuore di Guiscardo (1635 ca.) di Mario Balassi, Olimpia abbandonata da Bireno (1640 ca.), Maddalena (1630 ca.) e Le tre Grazie, (1635-40 ca.) di Giovanni Martinelli, Tarquinio e Lucrezia (1640 ca.) di Felice Ficherelli, detto il Riposo.

1620-1627 – Il ritorno a Roma: gli orizzonti si ampliano

Artemisia tornò a Roma nel febbraio del 1620 ma il rientro non fu propriamente trionfale. I crescenti problemi di debiti e il logorarsi del rapporto con la corte medicea l’avevano spinta a lasciare Firenze. L’amante Francesco Maria Maringhi le aveva fornito il denaro necessario per ritrasferirsi nella città natale, dove si trovò nuovamente coinvolta nel rapporto conflittuale con il padre e i fratelli.

In questo soggiorno romano la sua vita e il rapporto con la Roma città d’arte furono del tutto diversi. Artemisia tornava da donna sposata e con in più un amante premuroso. Nel 1621 abitava in via del Corso con il marito, la figlia Palmira e i servitori e poteva permettersi anche l’affitto di una seconda casa in via della Croce. Adesso era finalmente libera di godersi l’eredità della Roma antica e paleocristiana, così come le opere dei contemporanei.

Fra gli artisti attivi a Roma in quel periodo, il pittore che probabilmente esercitò una maggiore influenza su Artemisia fu Simon Vouet, il quale ammirava talmente le sue doti da volerla ritrarre in un celebre dipinto. A volte la pittrice si ispirava ancora a modelli caravaggeschi, come dimostra il Ritratto di gonfaloniere (Costanzo di Giasone?) dipinto nel 1622, o la composizione sviluppata per la Maddalena penitente. Di certo la pittrice interagì con molti artisti che lavoravano a Roma negli anni venti del Seicento e i lavori esposti permettono di valutare le affinità e le differenze tra Artemisia e i colleghi romani.

Opere di Artemisia Gentileschi presenti in questa sezione sono: Santa a mezzo busto (1630 ca.), Ritratto di gonfaloniere (1622), Ritratto di dama con ventaglio (1620-25 ca.) accanto a opere quali Il suicidio di Lucrezia (1624 ca.) e La circoncisione (1622) di Simon Vouet, Giuseppe e la

moglie di Putifarre (1620 ca.) e Giaele e Sisara (1620 ca.) di Giuseppe Vermiglio, Giuditta con la testa di Oloferne (1626) di Domenico Fiasella, Sibilla (1618-21 ca.) di Orazio Gentileschi; Salomè con la testa del Battista (1627-28) di Charles Mellin, David con la testa di Golia (1625-26 ca.) di Nicolas Regnier.

Artemisia a Napoli

Nel 1629, lasciata Venezia, Artemisia dopo una breve sosta romana si trasferisce a Napoli su invito del viceré, duca di Alcalá, che era stato già a Roma suo committente e collezionista.

Tra le prime opere dipinte nella Capitale meridionale l’Annunciazione del 1630 (Museo di Capodimonte) e la Nascita del Battista del 1635, appartenente a una serie di tele con storie del Santo (Museo del Prado) per l’Eremitaggio di San Giovanni nel parco del Buen Retiro a Madrid, realizzata su incarico del viceré, conte di Monterrey, da Massimo Stanzione, con la partecipazione anche di Paolo Finoglio. Due dipinti, questi degli esordi napoletani della pittrice, stilisticamente influenzati sia da esempi recenti dello Stanzione, sia da opere romane di Simon Vouet prima del ritorno in Francia, che dal classicismo del Domenichino, impegnato dal 1631 proprio a Napoli nella decorazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro. Tra il 1635 e il 1637, con Ribera, Stanzione, Lanfranco, Finoglio, Francesco Fracanzano e Agostino Beltrano, Artemisia realizza tre tele per il Duomo di Pozzuoli, restaurato dopo l’eruzione del Vesuvio del 1631, con l’Adorazione dei Magi, San Gennaro che placa le fiere nell’Anfiteatro Flavio e San Procolo con Nicea: dipinti nei quali, avvalendosi della collaborazione di Viviano Codazzi e di Domenico Gargiulo, Artemisia concilia aspetti del naturalismo di Jusepe de Ribera con il preziosismo cromatico degli ultimi dipinti di Vouet. Contemporaneamente, pur esercitando un’influenza solo marginale sui pittori locali, si avvale anche della collaborazione del giovane Bernardo Cavallino, come nel Loth e le figlie del Museo di Toledo (Ohio). Trasferitasi a Londra nel 1638 per assistere il padre Orazio malato, rientra a Napoli tra la fine del 1639 e l’inizio del 1640 dove, per far fronte alle numerose richieste di prestigiosi committenti, è costretta a ricorrere all’aiuto del modesto Onofrio Palomba, con il quale realizza un Trionfo di Galatea di collezione privata e una Susanna e i vecchioni della Pinacoteca Nazionale di Bologna. Opere dipinte negli ultimi anni di vita che confermano il mito, oggi più che mai attuale, di una donna che per impegno professionale e a dispetto della violenza subita, fu capace di imporsi in un ambiente, quello delle arti, che era e sarebbe stato ancora a lungo dominato dalla prevaricante presenza della sola figura maschile.

Opere di Artemisia Gentileschi presenti in questa sezione sono: Ester e Assuero (1626-29 ca.), Lasciate che i pargoli vengano a me (1629-30 ca.), Annunciazione (1630), Cleopatra (1640-45 ca.), Corisca e il satiro (1635-37 ca.), Maddalena penitente (1640-42 ca.), Nascita di san Giovanni Battista (1635 ca.) accanto a opere come Salomè con la testa del Battista (1625 ca.) di Battistello Caracciolo, Madonna con il Bambino nella bottega di san Giuseppe (1640-42 ca.) e Compianto su Cristo morto (Pietà) (1633) di Jusepe de Ribera, Lucrezia (1630-35 ca.), Commiato di san Giovanni Battista dai suoi genitori (1634-35 ca.) e Loth e le figlie (1635-40 ca.) di Massimo Stanzione, Santa Lucia (1645 ca.), Santa Cecilia al cembalo (1640-45 ca.) e Maria Maddalena pentita (1640-50 ca.) di Francesco Guarino, Allegoria della pittura (1645) e Santa Lucia (post 1645) di Bernardo Cavallino, Giuditta mozza la testa di Oloferne (1635 ca.) di Filippo Vitale.

Artemisia a Londra

Artemisia si trasferì a Londra per raggiungere il padre Orazio, ormai anziano e malato, che dalla fine del 1625 vi risiedeva, lavorando prima per George Villiers, duca di Buckingham, quindi, alla sua morte avvenuta nel 1628, per la corte di Carlo I Stuart e della regina Henrietta Maria.

Le trattative per avere Artemisia a Londra furono lunghe e complicate e il viaggio appare tra i più misteriosi della pittrice per la brevità del soggiorno e per la scarsità di notizie ad esso legate.

La pittrice giunse infatti in Inghilterra in un momento imprecisato del 1638 (certamente dopo il 28 novembre 1637, quando è ancora a Napoli) e lasciò Londra per fare rientro in Italia circa un anno dopo la morte del padre, avvenuta nel febbraio del 1639, al principio del 1640. Nei suoi viaggi venne scortata dal fratello Francesco, agente del re e della regina, che più volte avevano richiesto i suoi servigi, nonostante la riluttanza di Artemisia a muoversi verso il Nord dell’Europa. La fama della Gentileschi doveva essere giunta a Londra prima del suo arrivo, poiché entro il 1633 vi pervenne un suo dipinto raffigurante Tarquinio e Lucrezia, oggi perduto.

Delle tele attribuite alla Gentileschi registrate negli inventari dei beni del re e della regina è oggi identificabile soltanto l’Allegoria della pittura di proprietà della Royal Collection. Le altre opere furono disperse alla vendita dei beni di proprietà della corona dopo la decapitazione di Carlo I nel 1649. Tra di esse vi è una misteriosa Santa che poggia la mano sulla frutta non ancora rintracciata, la cui descrizione sembra suggestivamente corrispondere alla Cleopatra della Galerie Sarti qui esposta che, per la maestà ed eleganza della resa pittorica, può essere riconducibile al periodo inglese. In questo momento Artemisia risulta infatti in stretto contatto stilistico con il padre, come attesta il magnifico Loth e le figlie di Bilbao, collaborando con lui in modo assai ravvicinato all’esecuzione del soffitto per la Queen’s House oggi a Londra, Marlborough House.

Opere presenti in questa sezione: Loth e le figlie (1628) di Orazio Gentileschi e Cleopatra (1639-40 ca.) di Artemisia Gentileschi.

Materiale stampa e immagini in HD http://bit.ly/ARTEMISIA_GENTILESCHI

Sede

Museo di Roma Palazzo Braschi

Ingresso da Piazza Navona, 2 e da Piazza San Pantaleo, 10

Informazioni

T. +39 06 0608 (tutti i giorni ore 9 – 21)

www.museodiroma.it; www.museiincomuneroma.it; www.arthemisia.it

@museiincomune #ArtemisiaRoma

Orari

Dal martedì alla Domenica

Dalle ore 10 – 19 (la biglietteria chiude alle 18)

Giorni di chiusura: lunedì; 25 dicembre, 1 gennaio, 1 maggio

Catalogo

Skira

Uffici stampa

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SKIRA

Lucia Crespi

lucia@luciacrespi.it | T. +39 02 89415532 | T. +39 02 89401645

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